venerdì 29 novembre 2019

Origami di una rondine, altrimenti detto ogni tanto migro ancora qua, come le rondini a fine estate.

Sono molti mesi che non scrivo più qua, in realtà sono molti mesi che non scrivo più in generale. Non perché io non ne abbia bisogno, tutt'altro. Non scrivo più perché scrivere è, per me, fare auto-terapia e negli ultimi mesi, dove con ultimi mesi intendo da fine marzo fino ad arrivare a oggi, non ho avuto - e non ho - la forza di poter affrontare una seduta di auto-terapia.
Ogni tanto, in questi mesi di silenzio, sono tornata a leggere i vecchi post, a leggere quelli degli altri. Ogni tanto ho anche tentato di scrivere un po', ma faceva tutto troppo male per poterlo fare. Non che ora faccia bene, ma forse avevo troppo bisogno di farlo per resistere ancora.
E' stato un anno duro, terribile, spietato in cui ho sperimentato le paure più nere, ansie così paralizzanti da togliermi letteralmente il fiato, ma allo stesso tempo ho fatto delle piccole conquiste.
Sono indietro con l'università.
Una notte di fine marzo mio padre mi ha chiamato per dirmi che aveva avuto un infarto ed era ricoverato.
Il fratello di mamma è parecchio grave.
Mamma sta male, quella piccola grande roccia di nonna mi ha abbracciata così forte che per un momento ho rischiato di non sorreggerla.
Io ho l'ansia a fare qualsiasi cosa che esca un minimo dalla mia comfort zone.
Dormo pochissimo, quel poco che dormo dormo male.
Non scrivo, leggo tre pagine dei libri e perdo il filo.
In realtà, nel mezzo, ci sono state tante piccole ferite, come dei tagli con la carta, di quelli che non ti rendi neanche conto di esserti fatto fino a che non senti bucare la pelle. Non dolorosi, ma fastidiosi, pungenti. Sono stati tanti, ho più tenuto dentro che altro, perché tutti erano troppo impegnati a stare dietro ai propri problemi che io, quella sempre forte, sempre pronta ad ascoltare tutti e tutto, non aveva nessuno con cui parlare. Non piango da mesi, non ho pianto neanche quando mio padre era in ospedale, neanche quando nonna mi ha abbracciato forte con gli occhi lucidi. Mai una lacrima.
Avete presente il marmo? Bene, da fuori sono diventata uguale: bianca, lucida, fredda. Peccato che il marmo non sia poi così resistente, ci sono materiali più resistenti di cui, purtroppo per me, non sono fatta.
Certo, non è stato tutto sempre negativo, ogni tanto ci sono stati spiragli di luce, come il maltempo dell'ultimo mese: giornate intere di pioggia e poi, per caso, spunta un po' di sole. Per poco, ma spunta.
Allora ho fatto un saggio in un palazzetto, vincendo la mia paura del pubblico, la mia consapevolezza che nel corso di aerea sono sempre un passo indietro.
Ho imparato a uscire dalla mia comfort zone, ad andare a sentire qualcuno da sola perché mi va e nessuno vuole venire con me o se ne va via prima.
Ho guadagnato di poter fare due programmi nella radio dell'università, devo imparare, la strada è lunga, ma è una cosa che faccio volentieri.
Ho ricevuto la responsabilità di tutta l'area musicale, la gestisco io e solo io so quanto questo mi stressa ma mi riempie di gioia.
Ho visto bei posti, incontrato bella gente.

E' stato un anno duro, durissimo e per scrivere queste righe confuse ho usato così tanta energie che potrei benissimo dire di aver partecipato alla maratona di Boston, ma invece ho solo cercato di svuotarmi un po'.
Chissà se tornerò a scrivere, se mi riuscirà mai.

venerdì 15 marzo 2019

Pesci: due stelle.

Per la mia non troppo segreta passione per l'oroscopo, ieri Paolo Fox mi aveva dato due stelle. Io sono fermamente convinta che quando dà voti alti, porta male (ad esempio di questo, le giornate più brutte le ho avute quando ero nei primi posti della classifica).
A controprova di questa mia teoria, ieri:
  • Ho partecipato a un programma radio, partecipando attivamente all'intervista.
    (E' per un programma della Radio dell'università, uno dei nostri primi programmi e il musicista intervistato è uno che canta e suona nella scena italiana da anni (la sua carriera è più lunga dei miei anni di vita), uno che anche indirettamente ho sentito per anni, ma tutto questo è secondario alla mia emozione di sentire la mia voce in cuffia ed essere davanti a un microfono a fare quello che vorrei riuscire a fare nella vita. Mi stavo cagando addosso, ce l'ho fatta solo perché non ero da sola, ma sapevo di essere nel posto giusto al momento giusto.)
  • Ho scritto una recensione per i social con le amiche che è stata letta dai due musicisti, che hanno interagito in maniera super carina.
  • Uno dei due musicisti è, tra le altre cose e oltre uno dei miei artisti preferiti e autore di un brano la cui frase finirà sulla mia pelle, uno speaker radiofonico per cui nutro una stima infinita (la prima volta che me lo sono ritrovato davanti Amica mi ha sputtanato con "è quella a cui ti faccio mandare gli audio e che ti segue sempre!"), quindi il suo apprezzamento per me conta doppio.
Due stelle.

Ho avuto due stelle.
Infondo, il due è il mio numero porta fortuna.

lunedì 11 marzo 2019

Twenty-five years and my life is still trying to get up that great big hill of hope for a destination.

Durante il silenzio tra questo e il post precedente ho compiuto un quarto di secolo, compleanno che per certi versi ho vissuto piuttosto male. E' un'età che non sento mia, che mi sembra così grande, così definitiva come se dovessi per forza aver realizzato qualcosa, raggiunto dei traguardi, quando invece non ho fatto granché nella mia vita se non collezionare una lunga serie di fallimenti. Non riesco a pronunciarla, la mia età, senza un nodo allo stomaco, uno brutto, allora cerco di sviare: 21+4, il quarto anniversario dei ventuno. Qualcuno lo trova uno scherzo, qualcuno sa che dietro a questo mio modo di contare c'è tutta la mia difficoltà a crescere, a sentirmi un'adulta, ad accettare che i miei fallimenti e che non posso confrontare il mio percorso di vita con quello degli altri, perché ognuno ha i suoi tempi.
Non voglio mai festeggiare, a maggior ragione quest'anno e c'ero quasi riuscita: partendo per la montagna il giorno del mio compleanno stava passando in sordina, poi qualcuno ha urlato "buon compleanno!" a tavola, qualcun'altro si è ricordato che il mio compleanno cadeva in quel periodo mentre portavamo gli sci in paese - "era la scorsa settimana?" "no, oggi" "cazzo, auguri! Stasera andiamo a festeggiare!" - e mi sono ritrovata trascinata in un vortice che si è concluso all'alba del giorno dopo rientrando in una camera d'albergo ubriaca e sorridente. Una parte di me ha pensato che avere la mia età non è la fine, non è un punto d'arrivo dove si contano i punti accumulati fino a quel momento, è solo una tappa. Un'altra parte di me, ora, pensa solo che era ottimismo da alcol, ma questa è un'altra storia.
Ho iniziato il mio quarto anniversario dei ventuno con mio padre, lontana da casa e con persone che conoscevo poco o niente. L'ho iniziato andando a dormire sempre troppo tardi e alzandomi sempre troppo presto, portando le mie gambe al limite della loro resistenza spingendole giù dalle piste finché ne avevo voglia, ridendo e parlando di cose più o meno serie, ballando, prendendomi della pigra per non voler camminare un metro di più con gli scii in spalla, sentendomi coinvolta in un gruppo di cinque persone che si conoscono e tra cui io ero la nuova, l'estranea, ma non mi ci hanno fatto mai sentire. L'ho iniziato con il sapore di speranza di aver trovato nuovi amici, nuove persone con fare le cose senza il bisogno di riuscire a incastrare i miei impegni con quelli delle amiche più lontane. Certo, so che è solo una speranza, che ora che sono tornata a casa le cose non saranno proprio così, ma ieri ci siamo visti in tre su cinque, io col mal di pancia pensando di essere di troppo, di essere lì solo per il loro tabacco che poco importava se l'avessimo deciso ben prima di andare al cinema tutti insieme quella domenica una volta tornati a casa ("credo andrò a vederlo da sola" "vieni con noi! A me farebbe piacere!" - "Bionda, ci rivediamo prima o poi?" "M. la rivediamo domani!"), ma poi li ho visti arrivare: lei sorridente, lui ancora a sfottermi perché non sono andata alla spa. Lui che mi definisce "un'amica" in un discorso, lei che mi dice "magari ci vediamo in settimana" e io la sento ancora quella speranza di tempi migliori, di una zona che forse forse non può essere così terribile.
So che alla fine queste speranze verranno deluse, perché io non so comportarmi, perché gli altri si dimenticano facilmente di me, ma per ora mi piace questa speranza di tempi migliori.

Ah, sciare porta consiglio e tempi migliori: ho chiuso il capitolo Cantante. Lui è sparito, io ho sciato via la voglia di corrergli dietro.

domenica 24 febbraio 2019

Origami e i Casi Strani che attira senza neanche volerlo: Il Cantante #2.

E' stato deciso in un po' di corsa di andare a quel concerto che lui mi aveva buttato lì: scende un'amica da Milangeles, qua non c'era nulla da fare e Pisa è solo un'ora di strada, e, oltretutto, mi si era presentata pure la scusa di andare per via della radio, serviva qualcuno a fare il report della serata.
Sentivo la pressione, porto un'amica a bere nella piazza degli studenti giusto perché volevo allontanarmi dal posto del concerto, dalla possibilità di vederlo, dalla possibilità di non vederlo.
Certo, il Caso è strano: tempo di allontanarmi e tornare, accendermi una sigaretta e vedo avvicinarsi un gruppo con uno da cui sotto il cappuccio spuntano dei capelli lunghi. Vado in panico, dimentico come ci si comporta da persona normale, ma che cazzo di effetto mi fa?
Alla fine ho fatto in tempo ad entrare, a dire alla mia amica "io non saluto per prima nessuno" che è entrato nel locale vedendomi subito e venendo a salutarmi. Due baci sulla guancia, una mano sul fianco che io non so neanche se ho sognato, "sei venuta!". B. dice che nel tempo delle quattro chiacchiere non faceva che avere occhi che per me, che tutte le volte che ha tentato di parlare si è sentita invisibile perché lui neanche la sentiva. Io so soltanto che, come a dicembre, in quegli occhi azzurri mi ci potrei perdere.
"Dopo tornate subito a casa?".
Orbitiamo intorno come due satelliti, volendo o no non l'ho neanche ben capito: parlo con la mia amica di capodanno, me lo ritrovo accanto all'amica a darmi le spalle; me lo ritrovo a un metro per tutto il concerto (B. sostiene di averlo beccato almeno quattro volte girato a guardarmi/ci, una delle quali pure prolungata, io lo vedevo sempre girato verso il palco a cantare). Ci perdiamo dopo il concerto, balliamo a un ritmo diverso: io entro, lui esce, io esco, lui entra tutto senza incrociarci.
Cosa mi hai chiesto cosa facevo dopo se poi neanche mi saluti prima di andartene?

Io, comunque, cretina come sempre gli ho scritto solo per confermare che aveva ragione sul tipo in concerto. Ovviamente, non risponderà.

venerdì 22 febbraio 2019

Origami e i Casi strani che attira senza neanche volerlo: Il Cantante #1 - Pilot.

Mi sono resa conto, parlando con le amiche, che la mia vita è sempre più simile a una serie TV di genere commedy, perché tra le mie avventure al volante, sui treni e in generale qualsiasi volta che metto piede fuori di casa ci sarebbe materiale per una mini serie di almeno tre stagioni. Siccome su questo blog abbiamo già "Origami e le sue (dis)avventure" e "Origami al volante pericolo costante", poteva mancare questo capitolo della mia vita che esisteva, ma non aveva un titolo? No. Ora che arrivo a questo punto mi domando a chi freghi di questa premessa, ma vabbe.

Il Cantante #1 - Pilot.
Una parte centrale della mia vita è composta dalla musica, è una cosa che non solo si nota parlando con me per più di cinque minuti, ma si nota anche passando da questo blog. Non faccio mistero di amarla, per questo amo andare ai piccoli festival musicali di provincia dove in un cartellone di due giorni ci sono si e no tre artisti un minimo più conosciuti perché per me è un modo per scoprire artisti nuovi. Così, quest'estate sono andata a un festival di due giorni dove ho fatto la mia solita figuretta da Origami: mi sono fatta vedere cantare sotto palco da questo bravo - davvero, è bravo davvero! - cantante che, non mi vergogno ad ammetterlo, quando ho scoperto la sua faccia dopo dieci giorni ad ascoltare il suo cd senza guardare manco mezza foto ho pensato "beh, complimenti a mamma e papà!". Lui mi vede cantare (infondo, ha suonato in un orario infelice e con poca gente sotto palco, cosa mi aspettavo io?), me lo fa sapere tramite l'amica che era a fare le foto e che gli riporta i complimenti, me lo fa sapere sui social quando vede che l'ho menzionato in una storia (dove, tra l'altro, stonavo la sua canzone che preferisco).
Nata e morta lì, per me. Invece nei mesi c'è stata un escalation: da semplici botta e risposta su Instagram - dove lui ha pure innocentemente ribadito che ho un posto speciale nel suo cuore, essendo io la prima persona "sconosciuta ed estranea ai fatti" che cantava le sue canzoni - siamo arrivati a lui che, dal nulla, mi informa di una macchina per andarlo a vedere nella sua città per il suo ultimo concerto salvo poi fare marcia indietro nel messaggio dopo con "non ti metterei mai nelle loro mani" e a sempre lui che mi informa, senza poi dirmi altro, della serata indie in una discoteca in zona (sì, la famosa sera del cd regalato e del mio post al gusto di vodka lemon). Mi sono detta, dopo un paio di giorni di farfalle nello stomaco perché Santo Tom Hiddleston da Wembley quanto è gentile e quanto sono azzurri i suoi occhi, "basta, move on!". Rispunta, rispondendo a un messaggio che neanche ricordavo di averli mandato, le amiche gli scrivono giorni dopo fingendosi me e lui risponde socievole come non mai. Continuiamo con me che cerco di attaccare bottone, ma finisce in un nulla di fatto.
Febbraio. Io decido di tornare in me, superato Sanremo per me è un "basta!" vero, sono decisa a ritornare in me, perché non ha senso, è stato solo gentile.
Si rende conto di non seguirmi, iniziando a seguirmi (mentre parlavamo no, dal silenzio sì).
Non smette di seguirmi.
Inizia a commentarmi le storie.
Qua si apre lo scenario da Caso Strano che attiro senza neanche volerlo: se apre la conversazione lui, è socievole. La inizio io, con le sue stesse tecniche, è un palo in culo.
Uno dice vabbe, che vuoi che sia? Di Casi Strani così ne hai trovati a bizzeffe!
Sì, me lo dico anche io. Salvo che gli altri C.S. non buttavano lì messaggi in cui tutti, nessuno escluso, vedono il sotto testo del "vieni a questo concerto?"/"sei a questo concerto?" salvo che poi quando potrebbe davvero dirlo, sparisce.
Chiamiamo uno bravo... non per lui, ma per me, per capire come sia possibile.


(Intitoliamo #1 - Il pilot, perché io dico che è finita qua, tutti dicono no. Vedremo.)
Ultimamente ho una bassa tolleranza per le critiche, più o meno costruttive, che mi vengono mosse da determinate persone. Ad esempio è da ieri che rifletto sulla frase, “è vero, hai uno stile molto anni 90 e mi piace, ma spesso sei ancora troppo maschiaccio.”.
Sarà che, come ho scritto all'inizio, ho una bassa tolleranza verso le critiche che vengono mosse da determinate persone, ma piegando i panni e sistemando i vestiti sparsi per camera non ho ben capito cosa ci sia (ancora) di troppo maschiaccio. Il fatto che di base vado giro in jeans e felpa? Perché per vestirmi bene e sfoderare una gonna o un vestito aspetto un occasione decente anziché mettermela per andare a portare il cane?
Quello che mi perplime di più non è che nonostante tutti i miei sforzi per trovare il mio stile - trovando un equilibrio tra mio gusto, il mio voler stare comoda, la mia comfort zone e, perché no, un pizzico di maggiore femminilità - io venga ancora vista come un maschiaccio, come Mario, ma mi perplime di più il fatto che nel 2019 il fatto di non vestirsi sei giorni su sette con abiti considerati femminili e con delle scarpe alte - cosa che, essendo bassa, mi sento dire da anni - sia ancora stigmatizzato, come se dovessi vergognarmi di avere una mia personalità che si esprime anche attraverso i jeans e la felpa enorme della mostra di Andy Warhol.

mercoledì 20 febbraio 2019

Prima o poi, appena avrà una mezza giornata di pace (mentale, soprattutto), inaugurerò su questo blog la rubrica "Origami e i Casi strani che attira senza neanche volerlo", ma per ora voglio solo appuntarmi che nonostante lanci segnali non chiari che ci lasciano tutte - e tutti confusi - non è giusto che abbia tutto quello che mi piace in una ragazzo (bella voce, begli occhi, belle labbra, bei capelli - cazzo, fanno invidia a me!) e che io non possa averlo.

giovedì 7 febbraio 2019

E quindi per ogni volta che vorrò sentirti chiuderò gli occhi su questa realtà.

Ciao Nonno,
so che continuare a scriverti non ha più senso, l so da anni, ma ogni tanto avrei bisogno di sedermi in salotto con te - tu sulla poltrona a dondolo dal lato della finestra io o sull'altra poltrona o sul divano - e parlare, parlare, parlare. Non posso più farlo, quindi non mi resta che vomitare tutto su carta con l'inchiostro.
Io lo so che, ora, ti parlerei anche del mio mondo interiore, ora che ho superato l'adolescenza, ora che avrei bisogno della tua saggezza, dei tuoi consigli. Ora che sono sempre più vicina al quarto di secolo e mi sembra di sapere meno cose di dieci anni fa, ora che mi sembra di essermi dimenticata di come si cammina.
Mi manchi, mi manchi ogni volta che mi sento sbagliata mentre con te mi sono sempre sentita giusta, anche quando in casa tutti mio chiedevano di cambiare. Mi manchi ogni volta passo da casa degli zii, ogni volta che salgo e casa non più quella casa. Mi sei mancato quando ho la visto P. e abbiamo parlato un po' di te e, sai, non le ho detto che ho capito che per entrambe eri un po' come la bussola per un marinaio, avrei voluto dirglielo e sentirmi capita, sentirmi meno sola nel pensarti ancora come una bussola, quella bussola oramai persa sul fondo del mare.
Sai, a Sanremo c'è questa canzone scritta per un nonno che non c'è più. Sarà per quelli squarci di provincia che si sentono tra le parole, sarà che ogni provincia - in Toscana soprattutto - sono tutte uguali, sarà per la nostalgia delle parole, ma dal primo ascolto ti ho pensato, ti ho pensato tanto, ti ho ritrovato tra quelle parole. Vorrei tanto i tuoi consigli, vorrei potertela fartela sentire e dirti le cose che non ti dissi mai quando eri qua, chissà se, però, le hai capite anche senza che parlassi.


"Mi tengo stretto addosso i tuoi consigli
Perché lo sai che qua non è mai facile
Per chi fa muso contro, ancora
E quindi
Per ogni volta che vorrò sentirti
Chiuderò gli occhi su questa realtà
Nonno mi hai lasciato dentro ad un mondo a pile
 Una generazione che non so sentire
 Ma in fondo siamo storie con mille dettagli
 Fragili e bellissimi tra i nostri sbagli"
- Enrico Nigiotti, Nonno Hollywood.

domenica 3 febbraio 2019

You’re just another story I can’t tell anymore.

Non sapevo cosa mettermi domani, per una questione di sentirmi sempre inadatta tutto quello che avevo nell’armadio mi sembrava troppo o in un verso o in un altro. Volevo scegliere da sola, ma alla fine ho chiesto aiuto alle amiche lasciando scegliere loro tra due abbinamenti camicia+jeans, perché mi convincevano entrambi poco. Il voto ha unanimemente optato per una camicia blu con le ancore abbinata a dei jeans blu, quando ho scelto l’opzione non mi ero ricordata di una cosa: la camicia era quella del mio primo esame, quello dove mi feci volutamente bocciare allo scritto e ragazzo-xanax, il quale dava l’esame con me e ci eravamo sentiti quasi tutti i giorni mentre lo preparavamo (da cose serie a cagate pazzesche), si arrabbiò rompendo quella su aura di calma per la mia decisione di non rispondere o di sbagliare alcune risposte per non andare all’orale. Fu anche la volta in cui gli scrissi disperatamente di fermarsi a un tabacchino per prendermi le sigarette, arrivò e la prima cosa che mi disse, lo ricordo ancora, fu che non aveva trovato un tabacchino ma “ti faccio tutte quelle che vuoi”.
Questa camicia, alla sua discussione, mi sa di chiusura, del degno silenzioso addio che sarà (la tristezza la terrò per domani, quando finirò a scrivere su un treno di ritorno).

giovedì 31 gennaio 2019

Sono tornata a casa e mi sono chiusa in camera a lavorare maniacalmente all’articolo su Sanremo* con le cuffie ascoltando prima interviste e poi la musica, scelta accuratamente perché mi piacesse ma non l’associassi a niente. Non sono praticamente uscita di camera, ho limitato i contatti umani e ora dovrei farlo, dovrei uscire di qua  - oramai l’articolo è pronto e mandato in revisione, niente più scuse - per andarmi a preparare  per la palestra, dovrei riuscire ad articolare le parole per chiedere a mia madre se ha sentito suo fratello o mia cugina, se ci sono novità dal giro in ospedale, ma non mi riesce. Se provo a parlare mi fa male la gola, sento come una mano che stringe la presa nell’esatto momento in cui tento di parlare.
Ho sempre parlato tanto, ma non sono mai stata buona a farlo per le cose che so che possono ferirmi. A scrivere le cose che mi fanno male, ad articolare così le domande che non vorrei, sono bravissima.
Ogni volta che penso che le cose si siano stabilizzate, che io abbia trovato un equilibrio tutto trema e va al suolo. E’ una continua scossa di terremoto che mi tolgono la calma e quel poco sonno che riesco a concedermi la notte.
Vorrei sparire, vorrei chiudere gli occhi e rendermi conto di non essere qua, di essere altrove, in un’altra vita. Sono stanca, troppo.





* Tra l’altro, stranamente, mi piace, quindi - visto l’andazzo generale di merda di tutto - non andrà bene e beccherò un cazziatone

domenica 27 gennaio 2019

Riassunto di un periodo oscuro.

Ho dato un esame, è andato più che bene, ma per quanto stupido l'ho vissuto veramente male sia prima di darlo sia a darlo. L'ho preparato non dormendo, non solo per studiare, ma perché non riuscivo a dormire, era un incubo dietro l'altro. Forse mi sono sbloccata, a breve dovrei anche iniziare a pensare alla tesi e a risolvere un casino col tirocinio o rifarlo. Vedremo.
Il Cantante, per quanto mi incuriosisca e avrei voglia di conoscerlo, è un capitolo semi-chiuso. Semi perché ogni tanto capita che, dietro mia iniziativa, ci scambiamo dei messaggi, ma niente di che. L'altro giorno l'ho ringraziato per una sua canzone, se sono riuscita a dare l'esame è anche merito suo che mi ha aiutato a non scappare, a non avere un attacco di panico.
A breve si laurea un'altra amica, forse ci sarà un tizio che mi scrisse in maniera poco carina - il classico che, senza conoscerti, ti dice quanto sesso gli fai e altri imbarazzanti commenti sul mio collo - e spero veramente non ci sia, vorrei godermi una delle ultime rimpatriate delle Mozzarelle. Chissà quando poi ci rivedremo tutte insieme.
Ultimamente ho intolleranza generale verso molte persone, alcune anche mie care amiche, ma credo sia il periodo, credo sia perché non mi capiscono e non fanno che toccare tasti dolenti. O perché sono cambiata io e loro sono rimaste le stesse, quindi per quanto gli voglia bene non è facile trovare un punto d'incontro.
Ah! A breve si dovrebbe laureare anche ragazzo-xanax che, sicuramente, si dimenticherà di invitarmi anche se lo aveva "promesso". Io ci resterò male, ma non me la prenderò, anche se vorrei rivederlo anche solo un'ultima volta. Giusto oggi ho ritrovato una nostra foto al primo anno, durante una lezione con incontro con una professoressa di un'altra università: io a prendere appunti, lui a giocare al telefono. Quanto erano belli quei tempi.

Vabbe, questo post non ha senso, ma mi andava di scrivere un po'.