venerdì 15 marzo 2019

Pesci: due stelle.

Per la mia non troppo segreta passione per l'oroscopo, ieri Paolo Fox mi aveva dato due stelle. Io sono fermamente convinta che quando dà voti alti, porta male (ad esempio di questo, le giornate più brutte le ho avute quando ero nei primi posti della classifica).
A controprova di questa mia teoria, ieri:
  • Ho partecipato a un programma radio, partecipando attivamente all'intervista.
    (E' per un programma della Radio dell'università, uno dei nostri primi programmi e il musicista intervistato è uno che canta e suona nella scena italiana da anni (la sua carriera è più lunga dei miei anni di vita), uno che anche indirettamente ho sentito per anni, ma tutto questo è secondario alla mia emozione di sentire la mia voce in cuffia ed essere davanti a un microfono a fare quello che vorrei riuscire a fare nella vita. Mi stavo cagando addosso, ce l'ho fatta solo perché non ero da sola, ma sapevo di essere nel posto giusto al momento giusto.)
  • Ho scritto una recensione per i social con le amiche che è stata letta dai due musicisti, che hanno interagito in maniera super carina.
  • Uno dei due musicisti è, tra le altre cose e oltre uno dei miei artisti preferiti e autore di un brano la cui frase finirà sulla mia pelle, uno speaker radiofonico per cui nutro una stima infinita (la prima volta che me lo sono ritrovato davanti Amica mi ha sputtanato con "è quella a cui ti faccio mandare gli audio e che ti segue sempre!"), quindi il suo apprezzamento per me conta doppio.
Due stelle.

Ho avuto due stelle.
Infondo, il due è il mio numero porta fortuna.

lunedì 11 marzo 2019

Twenty-five years and my life is still trying to get up that great big hill of hope for a destination.

Durante il silenzio tra questo e il post precedente ho compiuto un quarto di secolo, compleanno che per certi versi ho vissuto piuttosto male. E' un'età che non sento mia, che mi sembra così grande, così definitiva come se dovessi per forza aver realizzato qualcosa, raggiunto dei traguardi, quando invece non ho fatto granché nella mia vita se non collezionare una lunga serie di fallimenti. Non riesco a pronunciarla, la mia età, senza un nodo allo stomaco, uno brutto, allora cerco di sviare: 21+4, il quarto anniversario dei ventuno. Qualcuno lo trova uno scherzo, qualcuno sa che dietro a questo mio modo di contare c'è tutta la mia difficoltà a crescere, a sentirmi un'adulta, ad accettare che i miei fallimenti e che non posso confrontare il mio percorso di vita con quello degli altri, perché ognuno ha i suoi tempi.
Non voglio mai festeggiare, a maggior ragione quest'anno e c'ero quasi riuscita: partendo per la montagna il giorno del mio compleanno stava passando in sordina, poi qualcuno ha urlato "buon compleanno!" a tavola, qualcun'altro si è ricordato che il mio compleanno cadeva in quel periodo mentre portavamo gli sci in paese - "era la scorsa settimana?" "no, oggi" "cazzo, auguri! Stasera andiamo a festeggiare!" - e mi sono ritrovata trascinata in un vortice che si è concluso all'alba del giorno dopo rientrando in una camera d'albergo ubriaca e sorridente. Una parte di me ha pensato che avere la mia età non è la fine, non è un punto d'arrivo dove si contano i punti accumulati fino a quel momento, è solo una tappa. Un'altra parte di me, ora, pensa solo che era ottimismo da alcol, ma questa è un'altra storia.
Ho iniziato il mio quarto anniversario dei ventuno con mio padre, lontana da casa e con persone che conoscevo poco o niente. L'ho iniziato andando a dormire sempre troppo tardi e alzandomi sempre troppo presto, portando le mie gambe al limite della loro resistenza spingendole giù dalle piste finché ne avevo voglia, ridendo e parlando di cose più o meno serie, ballando, prendendomi della pigra per non voler camminare un metro di più con gli scii in spalla, sentendomi coinvolta in un gruppo di cinque persone che si conoscono e tra cui io ero la nuova, l'estranea, ma non mi ci hanno fatto mai sentire. L'ho iniziato con il sapore di speranza di aver trovato nuovi amici, nuove persone con fare le cose senza il bisogno di riuscire a incastrare i miei impegni con quelli delle amiche più lontane. Certo, so che è solo una speranza, che ora che sono tornata a casa le cose non saranno proprio così, ma ieri ci siamo visti in tre su cinque, io col mal di pancia pensando di essere di troppo, di essere lì solo per il loro tabacco che poco importava se l'avessimo deciso ben prima di andare al cinema tutti insieme quella domenica una volta tornati a casa ("credo andrò a vederlo da sola" "vieni con noi! A me farebbe piacere!" - "Bionda, ci rivediamo prima o poi?" "M. la rivediamo domani!"), ma poi li ho visti arrivare: lei sorridente, lui ancora a sfottermi perché non sono andata alla spa. Lui che mi definisce "un'amica" in un discorso, lei che mi dice "magari ci vediamo in settimana" e io la sento ancora quella speranza di tempi migliori, di una zona che forse forse non può essere così terribile.
So che alla fine queste speranze verranno deluse, perché io non so comportarmi, perché gli altri si dimenticano facilmente di me, ma per ora mi piace questa speranza di tempi migliori.

Ah, sciare porta consiglio e tempi migliori: ho chiuso il capitolo Cantante. Lui è sparito, io ho sciato via la voglia di corrergli dietro.