domenica 27 dicembre 2015

P. Sherman,42 Wallaby Way - Sydney.

Quando uscì "Alla ricerca di Nemo" al cinema i miei genitori erano già in quella fase che posso tranquillamente definire "guerra" senza essere esagerata e, quando andai a vederlo al cinema, era proprio a causa di un loro litigio. L'ennesimo, fatto dei soliti urli, della solita roba rotta, il solito fatto di mamma che esce di casa, io che piango, papà che cerca di farmi capire che né lui né mamma sono dei mostri, di calmarmi per farmi dormire quella notte; papà che il giorno dopo mi porta al cinema prima di andare a casa dei miei zii a parlare con mamma mentre io me ne sto al piano di sopra coi miei nonni, ancora vivi, ancora in gamba, ancora in grado di tenermi su in mezzo a tutto quello schifo.
Al cinema c'era "Alla ricerca di Nemo" e c'ero io con papà. Io mi sentivo tanto Nemo, quel pesciolino che va a toccare il motoschifo e finisce per essere catturato mentre in Marlin ci rivedevo mio padre. Mio padre che, a suo modo, stava cercando di salvarmi, come Marlin con Nemo. C'eravamo solo noi quel giorno, non c'era mamma, certo era viva, ma non c'era. Certo, questa sensazione di similitudine l'ho ben compresa un paio d'anni dopo (e, quindi, un paio di visioni dopo) e forse è proprio per questa sensazione, ma anche per quel piccolo ricordo felice in mezzo a tutto quello schifo, che "Alla ricerca di Nemo" è uno dei miei cartoni animati preferiti.
Stasera è in tv, ma la tv è occupata e allora io l'ho messo a caricare in streaming, in una giornata di afonia e tristezza, per rivedermelo da sola, perché ora, circa dodici anni dopo, sono abbastanza forte per affrontare tutti i miei cattivi ricordi.

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