Piccola piccola G., auguri!
E’ il 2016, è novembre, compi tre anni. Tre! A me sembra solo una settimana fa quando andai a trovare la tua mamma che non si sentiva bene, iniziavano le avvisaglie del travaglio e mi sembra ancora meno tempo da quando mi ha chiamato mio padre per dirmi che era in ospedale, che stavi nascendo e ancora meno da tuo zio, mio cugino, quello che è tanto grande, ma anche tanto buono, che mi chiama tutto emozionato e mi ripete “è nata, eh! E’ nata, tutto bene!” mentre sono su un autobus e fuori c’è un tramonto bellissimo. Me lo ricordo senza il bisogno di andare a rileggere, perché è stato uno dei lunedì migliori di tutta la mia vita.
Il giorno dopo eri lì, in un lettino di ospedale piccola piccola con questi piedini lunghissimi che mi fecero sorridere tanto e che prendemmo bonariamente in giro con la tua mamma che, nonostante il parto del giorno prima, era bellissima – ma lo sai anche tu, la tua mamma è sempre bellissima.
Sai, piccola G., quando io ero piccola, ma più grande di te ora, sognavo tanto di diventare grande nella speranza di poter avere un bel rapporto con la tua mamma, qualcosa di più di un’amicizia e qualcosa di meno di quello tra sorelle. Mi sarebbe tanto piaciuto che, una volta cresciuta, potessi parlare con lei di tutto, trovare un’alleata in famiglia, una persona con cui potermi confrontare senza sentirmi la piccola di casa che deve sempre battersi per non essere considerata tale, una persona che potesse sapere chi sono, cosa faccio, che mi potesse dare qualche consiglio durante la mia vita. C’è stato un periodo, un periodo bello, in cui credevo che questo stesse davvero accadendo, era il periodo in cui lei aspettava te. Mi è capitato di fermarmi con lei a parlare e c’è stata una domenica dove mi misi ad aiutarla a preparare le bomboniere – quanto è brava la tua mamma a creare cose, quanti bei giochi ti ha creato? – e ci mettemmo a chiacchierare, mi ascoltò mentre le raccontavo di un’attività scolastica, di cosa stavo pensando di fare dopo le superiori, lei mi raccontò di cosa stava preparando per te, del vecchio mobile di nonna ridipinto e sistemato per metterci tutte le tue cose. Quando nascesti, fu bellissimo. Eravamo tutti così felici, così uniti, sembravamo davvero una famiglia, sai piccola G.? Io in quei giorni di novembre mi feci una promessa: sarei stata una brava cugina maggiore. Avrei giocato con te, come tuo zio faceva con me, come la tua mamma ha fatto quando mi disegnò delle figure di carta colorandole e plastificandole che io ho ancora, anche se tutte rovinate, ma avrei anche fatto in modo che quando tu saresti cresciuta avresti saputo che per qualsiasi cosa avevi una persona più grande pronta a darti un consiglio, una mano, non solo una compagnia di giochi. Anche se, diciamolo, per come stanno ora le cose, mi accontenterei anche di farti da compagnia di giochi.
Sai piccola G., sarebbe bello che gli adulti restassero un po’ bambini, perché questo vorrebbe dire una maggiore facilità a risolvere le diatribe, ma invece gli adulti fanno tutto più complicato e allora si portano dietro tanti rancori, tanta rabbia e quando esplode fa tanti danni, fa tanto male perché esplode rompendo gli argini come un fiume in piena sommergendo tutto quello che trova, portando via i bei ricordi, i momenti felici, perché non credere mai agli adulti quando parlano male, soprattutto quando sono persone della nostra famiglia, perché hanno la tendenza a ricordarsi sempre e solo le cose brutte, mai le cose belle. Non voglio, però, scrivere di questo, perché se un giorno le cose miglioreranno e tu potrai sentire – o leggere – queste parole, io voglio che tu ci ritrovi una persona che, purtroppo, non aveva modi di sapere di te, del tuo primo anno di asilo, di come te la cavi ora con imparare non una, ma due lingue, come va alla scuola di danza, se ci vai ancora. Non ho modi, perché purtroppo io come te sono rimasta incastrata nei brutti giochi dei grandi, ma ti penso spesso e mi chiedo spesso quale sia il tuo cartone preferito della Disney, se insegui ancora il cane inciampando, se ti addormenti con le favole, se ti piace disegnare, quale sia il tuo gioco preferito, se mangi tutto o se fai delle storie, se parli tanto o sei una bambina silenziosa, se sei affettuosa come me quando avevo la tua età o se sei più restia a socializzare; mi piacerebbe tanto sapere se hai qualche amichetta del cuore, se hai un amico immaginario, se chiedi mai – o se chiedi già - alla tua mamme e al tuo papà un fratellino o una sorellina, se hai già iniziato a dire “io da grande sarò” o se ti godi ancora a pieno la spensieratezza della tua età. Mi chiedo se mi ruberesti ancora gli occhiali da sole come quando facevi quando eri uno scricchiolino, se guarderesti ancora tutti con sospetto per poi scoppiare a ridere quando il tuo nonno ti fa un’espressione buffa – ti prego, non credere che sia una cattiva persona, è un uomo che facendo il padre ha sbagliato, ma nella vita sbagliamo tutti, sai piccola G.? – e se sorrideresti beata alla tua nonna – che è una persona meravigliosa, sai? Io sono tanto grata di averla come zia – e mi chiedo, soprattutto, se tu con me ci giocheresti, come fanno gli altri cugini, più grandi te, che nonostante mi vedano di rado ogni volta che mi vedono mi travolgono trascinandomi a giocare.
Nel momento in cui scrivo ho ventidue anni, faccio l’università, non ho un fidanzato, ho qualche vizio di troppo in cui in casa non sanno nulla, ma niente di serio solo qualche sigaretta di troppo, e passioni di cui non mi hanno chiesto nulla, porto i capelli cortissimi, una bambina di sette anni mi ha chiesto perché “metto così tanto trucco sugli occhi”. Ho obiettivi ambiziosi e sogni chiusi nei cassetti. Mi piacciono i lupi, ma anche i koala, amo i cartoni della Disney, ma non le principesse che subiscono la storia aspettando un principe che le salvi e mi piacciono tanto i personaggi dei fumetti, da sempre, anche se “sono da maschi”. Mangio tanto, ma solo quello che mi piace, tipo il pesce mi costringono a mangiarlo almeno una volta al mese, perché proprio non mi piace, a parte le acciughe fritte perché quelle ne mangerei sempre e anche tante, e mangio poche verdure, se potessi mi abbufferei sempre di dolci e di pizza, però è giusto mangiare tutto. E bevo troppo tè! Ecco, questa è una cosa che anche se ci dovessimo incontrare quando tu avrai tredici anni ed io trentadue, non cambierà, perché continuerò a bere troppo tè.
Sai piccola G., ho riguardato due foto di quando eri piccola piccola, avevi si e no un mese, i tuoi genitori me le hanno regalate per Natale – il primo con te, per la vigilia piangesti tanto, ma era bello passare quel Natale tutti insieme, mi sembrava di essere tornata ai Natali di quando ero piccola, tutti insieme, coi miei genitori ancora insieme e i nonni ancora qui – dicendomi che gli dispiaceva che non avessero una foto mia e tua da stampare per regalarmela. Non l’abbiamo mai fatta quella foto insieme, chissà se un domani gli adulti si decideranno ad essere meno caparbi, meno arrabbiati, meno rancorosi e si riavvicineranno, permettendoci di conoscerci. Per ora, ti saluto da qua con parole che dicono tanto e non dicono nulla, con il ricordo dell’ultima volta che ti ho vista impresso in testa, la voce della tua mamma – che, nonostante tutto, mi manca tantissimo – che ti dice “guarda G., ha le tue stesse scarpe!” e tu dici “no!”, che infondo hai ragione, le tue sono – erano? – di un altro colore.
Auguri piccola G., cresci, corri, inciampa, cadi, sorridi, ridi, piangi anche, ma crescendo ogni tanto pensa al mare, perché è da qua che vieni, da un posto di mare dove c’è chi ti vorrebbe tanto portare in spiaggia a correre spensierata, a fare un tuffo al mare d’estate. Auguri piccola G. da una cugina che vorrebbe tanto vederti crescere.
Ti mando un bacio in fronte e un altro lo mando alla tua mamma, un saluto a tuo padre, perché io faccio tanto la dura, ma non so portare rancore come i grandi. Ti – vi – aspetto qua, ad un passo dal mare.
(E’ da ieri notte che sento le parole che, per l’urgenza di uscire, fanno fremere i polpastrelli e pizzicare gli occhi, perché a volte la vita ti regala emozioni bellissime che però, poi, le persone tendono a rovinare. La mia famiglia in questo è bravissima, sappiamo essere persone veramente brutte, veramente cattive, non so se ci mettiamo impegno o se abbiamo un’inclinazione naturale, ma so che succede, come succede che siamo estremamente fragili e io nei momenti di fragilità mi aggrappo alla rabbia, all’orgoglio, a dirmi che non posso scivolare giù, ma questa volta non voglio essere come loro, non voglio giocare sul tavolo del rancore, perché quest’urgenza di scrivere e queste notti a bagnar cuscini sono proprio frutto del rancore di altri, cos’ha portato di buono?
Ho solo voglia di scrivere, perché chissà che un giorno non si risolva tutto e ci sia bisogno di un ricapitolare le cose per recuperare il tempo perduto, ma metti che nel farlo mi dimentico qualcosa? E allora ho deciso che le scriverò ogni volta che ne ho bisogno, perché non si sa mai.)
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