Una mia ex compagnia di classe si è sposata, una convive, le altre sembrano tutte più o meno felici della propria vita, felici con quello che hanno, con quello che fanno. C'è chi si è laureato e ora lavora, chi non ha continuato, ma ha trovato un buon lavoro e incassa piccoli successi che, prontamente, spiattella ovunque sui social, perché sia mai che vadano persi, non notati.
E poi ci sono io. Io che a ventitré anni continuo a lavorare su obiettivi che, con buona probabilità, non raggiungerò mai, di conseguenza avrò passato anni a proseguire i miei studi, a impegnarmi, a sfruttare ogni dannata possibilità che mi sono trovata davanti (incassando un insuccesso dietro l'altro), e cerco di non darlo a vedere. Ogni cazzo di volta evito la gente per strada, perché io alla domanda "cosa fai ora?" dovrei rispondere "studio, tu?" sentendo poi arrivare la lista dei loro successi, professionali e personali, mentre io sono in uno di quei periodi in cui vedo tutto nero.
Come ti vedi tra dieci anni?
Non realizzata professionalmente, magari con un lavoro che mi permette di vivere, ma che mi fa schifo, che non mi dà soddisfazione alcuna. Forse vivrò per conto mio, in un appartamento in zona, perché non sarò riuscita ad andarmene, con un gatto e bottiglie vuote di una cena con le amiche, quelle che nel mentre si saranno realizzate, avranno messo su famiglia, avranno figlia che mi chiameranno zia. Come zia simpatica, matta come un cavallo (che poi non è matta, ma solo insoddisfatta, infelice, tabagista disperata e con un principio di alcolismo, ma nasconde tutto dietro alla simpatia), mi ci vedo bene.
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