La verità è che è da stanotte che mi sento in colpa per tutti i concerti a cui sono andata, per tutte le serate felici, per tutte le lacrime sotto i palchi, per le risate, le notti in cui ho perso la voce, per le persone che ho incontrato e poi perso, per tutte le amiche che ho conosciuto grazie alla musica, grazie a un concerto. Mi sento in colpa perché esattamente un mese prima io ero ad un concerto e ridevo con un'amica sul "quando non puoi andare al coachella, e allora porti il coachella al forum" perché ridevamo facendo le stupide con le coroncine di fiori, con la collana hawaiana presa per un suo amico. Mi sento in colpa perché io da quel concerto sono uscita sudata per aver ballato e la voce un po' ammaccata per cantare, sono uscita viva e sono andata ad una festa. Ho riso, ho fatto tardi e sono rientrata a casa.
Ho visto non so più quanti concerti, visti con mio padre, mia madre, le amiche, da sola. Ho conosciuto persone, alcune perse mentre altre sono miei amiche. Ho vissuto l'ansia del prima, la gioia del durante e la tristezza del dopo. Ho storto la bocca per date troppo lontane, ho esultato per quelle vicine a un prezzo fattibile. Ho macinato chilometri, vissuto disagi per scioperi dei treni, ore di macchina e d'attesa fuori da cancelli chiusi nelle peggiori condizioni meteorologiche. Ho vissuto ogni concerto sentendomi al posto giusto, al sicuro. Erano il mio posto sicuro, la mia fuga da una vita che mi colpiva mentre già ero a terra. Erano un luogo che non era un vero luogo perché ogni volta era diverso, ma quello dove ti senti sicuro, mai da solo anche quando non sei in compagnia. E mi sento in colpa per tutto questo. Mi sento dannatamente in colpa, perché per molti quello sarà stato il primo concerto, quello che io ricordo con la gioia di aver scoperto che nonostante tutto puoi stare bene, mentre per loro sarà un incubo che si ricorderanno sempre. Per altri, è stato il primo concerto e l'ultimo giorno della propria vita.
E' tutto il giorno che leggo cose, parlo con le amiche, mi confronto, so che lo sgomento non è solo mio, che il senso di colpa è condiviso e quella sensazione di "e il prossimo concerto come lo vivremo?" la condivide chiunque viva i concerti come li vivo io. E' tutto il giorno che mi confronto coi pensieri altrui per evitare i miei di pensieri. E' da quando mi sono alzata che leggo di gente che scrive che abbiamo vinto noi perché non rinunceremo a vivere, che non vinceranno perché la paura non ci fermare e forse è vero, forse hanno ragione loro, come forse avevo ragione quando prima ho detto a mia madre "ma' per le statistiche dovrei avere anche paura a mettermi alla guida o a prendere un treno, lo sai?" dopo che ha commentato che non starà più tranquilla a sapermi ad un concerto - lei che a sedici anni mi ha lasciato per un'intera giornata all'Arena Parco Nord per un festival - o forse sbagliavo. Ma che importa?
Non c'è un vincitore, non c'è perché quasi ogni giorno da qualche parte lontano da qua qualcuno muore così e la maggior parte di noi siamo indifferenti. Non ha vinto nessuno, abbiamo perso tutti, perché questi atti di violenza sono solo una sconfitta collettiva.
La verità è che ho scritto perché gli attentati mi feriscono sempre sia che succedano "vicino" sia che succedano "lontano", ma questa volta hanno fatto vacillare l'unica certezza che mi era rimasta: i concerti sono il mio posto sicuro.
E non è più sicuro.
Ho visto non so più quanti concerti, visti con mio padre, mia madre, le amiche, da sola. Ho conosciuto persone, alcune perse mentre altre sono miei amiche. Ho vissuto l'ansia del prima, la gioia del durante e la tristezza del dopo. Ho storto la bocca per date troppo lontane, ho esultato per quelle vicine a un prezzo fattibile. Ho macinato chilometri, vissuto disagi per scioperi dei treni, ore di macchina e d'attesa fuori da cancelli chiusi nelle peggiori condizioni meteorologiche. Ho vissuto ogni concerto sentendomi al posto giusto, al sicuro. Erano il mio posto sicuro, la mia fuga da una vita che mi colpiva mentre già ero a terra. Erano un luogo che non era un vero luogo perché ogni volta era diverso, ma quello dove ti senti sicuro, mai da solo anche quando non sei in compagnia. E mi sento in colpa per tutto questo. Mi sento dannatamente in colpa, perché per molti quello sarà stato il primo concerto, quello che io ricordo con la gioia di aver scoperto che nonostante tutto puoi stare bene, mentre per loro sarà un incubo che si ricorderanno sempre. Per altri, è stato il primo concerto e l'ultimo giorno della propria vita.
E' tutto il giorno che leggo cose, parlo con le amiche, mi confronto, so che lo sgomento non è solo mio, che il senso di colpa è condiviso e quella sensazione di "e il prossimo concerto come lo vivremo?" la condivide chiunque viva i concerti come li vivo io. E' tutto il giorno che mi confronto coi pensieri altrui per evitare i miei di pensieri. E' da quando mi sono alzata che leggo di gente che scrive che abbiamo vinto noi perché non rinunceremo a vivere, che non vinceranno perché la paura non ci fermare e forse è vero, forse hanno ragione loro, come forse avevo ragione quando prima ho detto a mia madre "ma' per le statistiche dovrei avere anche paura a mettermi alla guida o a prendere un treno, lo sai?" dopo che ha commentato che non starà più tranquilla a sapermi ad un concerto - lei che a sedici anni mi ha lasciato per un'intera giornata all'Arena Parco Nord per un festival - o forse sbagliavo. Ma che importa?
Non c'è un vincitore, non c'è perché quasi ogni giorno da qualche parte lontano da qua qualcuno muore così e la maggior parte di noi siamo indifferenti. Non ha vinto nessuno, abbiamo perso tutti, perché questi atti di violenza sono solo una sconfitta collettiva.
La verità è che ho scritto perché gli attentati mi feriscono sempre sia che succedano "vicino" sia che succedano "lontano", ma questa volta hanno fatto vacillare l'unica certezza che mi era rimasta: i concerti sono il mio posto sicuro.
E non è più sicuro.