martedì 30 settembre 2014

Avrei voluto sfruttare il suo compleanno per dirgli tutte quelle cose che non ho mai detto da un anno a questa parte, ma anche solo scrivergli la frase più brutta di sempre è stata un'impresa.
E non capirò mai com'è possibile che, quando gli sono accanto, posso parlare di tutto senza problemi, ma quando è lontano, anche scrivergli la cosa più stupida sembra un'impresa.
("sarebbe bello se tu fossi qui, ti avrei offerto una crêpe per festeggiare e saremmo andati agli scogli dove quest'anno non siamo andati neanche una volta e avremmo parlato di futuri inverosimili col mare di settembre davanti".
Sarebbe bello potertelo scrivere, tutto d'un fiato senza pensare. Sarebbe bello)

domenica 28 settembre 2014

Fanculo (a me), perché non posso essermi davvero sentita a casa tra braccia che non hanno sentito lo stesso, che non sentono la (mia) mancanza, che per loro sarà mai casa.
Fanculo, fanculo, fanculo.
Non posso avere gli occhi lucidi e (ri)trovarlo ovunque.
Fanculo, fanculo, fanculo.

sabato 27 settembre 2014

E' sabato sera, io sono già in pigiama, con una coperta a fiori sulle spalle, a cercare informazioni su come seminare e far crescere una pianta carnivora mentre una compagnia di classe mi prende per folle per aver comprato i semi di pianta carnivora e dal piano di sotto si sente Masini che canta "T'innamorerai".
Oggi è stata una bella giornata, stasera sto uno schifo e mi pento persino di essermi buttata su una pianta carnivora, quando a mala pena so tenere una pianta grassa. Forse l'ho presa per dare a qualcosa le mie attenzioni, forse perché sono impazzita davvero e non devo fare acquisti nei periodi in cui mi fingo "felice".
C'è Masini che canta con Zarrillo, ora, e mi viene da dire da urlare di togliere l'audio: quello che sento mi facendo salire il mal di testa.

Ho appena letto che "le piante carnivore non sono difficili, vanno capite". Ho capito perché ho comprato i semi di una Dionaea Muscipula.

lunedì 22 settembre 2014

Quando i vuoti pesano più dei pieni.

Cerco di tenere occupata la testa in tutti i modi, per non sentire le paranoie, l'ansia e quel dannato senso di mancanza che mi fa sentire persa che mai.
Ho ripreso la mia routine, modificandola un po' rispetto agli altri anni: ogni mattina mi alzo alle sei e mezza, senza rimandare la sveglia, cercando di non fare tutto di corsa e con l'ansia di perdere l'autobus.
Cerco di essere amichevole con tutti, nonostante stia sulle mie senza farlo notare troppo, di scherzare, senza però star sempre a far la stupida. E poi studio senza rimandare, senza troppe pause.
Mi tengo occupata e per un po' funziona, però poi mi torno a preoccupare per tutti, cioè per quel gruppo ristretto di persone di cui mi importa davvero, per me stessa ed il mio futuro. Tutto questo finisce in paranoie, in ansia. Non ne parlo, sia mai che qualcuno si senta in colpa per rendermi partecipe e non voglio, mi va bene star in silenzio, sono abbastanza forte da sopportare, ma se ho bisogno chiedo aiuto. Ho imparato.
E poi c'è quel senso di manca che non è mai stata presenza e che fa malissimo per quello, perché ti sfiora, ti trapassa senza fermarsi mai. Ti fa sentire un senso di vertigine che è come il senso di acquolina quando il vento porta il profumo di pane caldo, ma non puoi mangiarlo. C'è chi si lamenta di una presenza diventata assenza, ma io gli farei provare cosa vuol dire avere un vuoto dentro che corrisponde perfettamente ad una persona che non hai avuto, non hai e non avrai mai, neanche per un giorno, ma solo per momenti inconsapevoli ed i momenti inconsapevoli non sono condividere, non sono riempire davvero un vuoto.
Ho un vuoto con la sua forma, lui non l'ha saputo un anno fa, non l'ha saputo otto mesi fa e neanche il mese scorso.
Ho un vuoto che ha la sua forma, ho ansie che si calmano solo col ricordo di uno abbraccio o di lui che legge ad alta voce. Ho una strana nostalgia che ha il suono della sua voce ed marea di canzoni che sanno di pop-corn e tè caldo, come quella volta ad inizio gennaio.
Ho tutte queste cose, ne ho anche tante altre, ma se non ho le mani sulla sua schiena per cercare di fargli capire le cose che non ha mai capito e che non ho mai avuto il coraggio di dire, che cos'ho?
Forse è meglio se torno a geografia, al è ed a "American History X".

sabato 20 settembre 2014

Voltare pagina.

Mi dico "volta pagina", tanto non ci sarà mai nulla che ti darà un motivo per scrivere, se non il dannatissimo senso di mancanza di cui hai già scritto troppo senza scrivere nulla.
Mi dico "volta pagina", lo faccio ogni volta che mi viene da imprecare perché ogni mio sforzo di (rI)dimenticarlo viene sabotato, lo faccio quando cedo e mi sfogo con quell'unico amico che sa la realtà dei fatti che mi dice che sì, devo andare avanti se non voglio rischiare - cosa c'è da rischiare, mi vien da dire, se non la mia stessa vita? E' l'unica cosa in ballo - ma che, però, la vita è troppo imprevedibile per escludere ogni probabilità.
Mi dico "volta pagina", ma poi mi chiedo "come cazzo si fa?".
Mi dico "volta pagina", mi chiedo come si fa, ma intanto continuo a sentire la stessa canzone maledicendomi per l'ennesime parole che sanno di assenza

giovedì 18 settembre 2014

Don't you see me? I think I'm falling, I'm falling for you.

Sto cercando di tornare alla mia vita di sempre, come ho già fatto un anno fa, ma non so quanto io ci stia riuscendo.
L'anno scorso riuscivo a chiudere i pensieri su di lui infondo alla mia testa. Quest'anno, a distanza di quasi un mese dalla sua partenza, rivedo ancora la sua figura ferma in piazza mentre la macchina, in cui sono seduta, gira l'angolo a tutta velocità. Ricordo questo come ricordo tutto quello che lo riguarda.
Non pensarlo è difficile come trovare un pensiero davvero felice quando sale l'ansia e tu sei lì che non respiri bene pensando "questa volta è la fine", ma cerchi comunque qualcosa che ti calmi.
Stamani ci stavo riuscendo, non perché io stia tornando a chiuderlo in un cassetto della mia memoria, ma perché era un viaggio in autobus da disagio, ma mi sarebbe andato bene ugualmente, se solo non fosse stato per quel maledetto accento che conosco troppo bene.
Quali sono le probabilità che una persona della stessa provincia si trasferisca proprio qua, a circa duecentosessantacinque chilometri, o forse più, di distanza? E che quella ragazza fermasse me per sapere degli autobus, perché "stai dove sto io e vai nella mia stessa scuola"?
Quali sono le probabilità che io, questa volta, perda anche la speranza di metterlo in un cassetto, che si chiude male, della mia memoria?
E se un accento, più famigliare di quelli di qua, anziché ricordati di tanti ricordi, di bei posti e di quell'amica che è una sorella maggiore, ti ricorda abbracci fugaci che, invece di soffocare come tutti gli altri nell'ultimo periodo, ti hanno fatto sentire dannatamente viva, cosa vuol dire?

mercoledì 17 settembre 2014

Non riesco a trovare la canzone che mi ha fatto sentire l'ultima sera che era qua, l'ultima sera che l'ho visto, l'ultima sera che abbiamo passato insieme. So di potergli scrivere, di poterglielo chiedere, non ci sarebbe nulla di male, ma non riesco a farlo, così continuo a cercarla tra l'intera discografia di una band e, se fossi un altro tipo di persona, un altro tipo di ragazza, starei già piangendo per il senso di vuoto di non riuscire a trovare questa dannata canzone.
Una delle ultime insieme, quella con cui era fissato, quella che sarebbe come passargli, di nuovo, le mani tra i capelli.

domenica 14 settembre 2014

"Buona fortuna per questo lungo viaggio che sia fino alla luna o solo fino a casa".

Quando aspetti qualcosa per tanto, forse addirittura troppo, tempo, finirà che ad un passo da quella cosa, qualsiasi essa sia, finirà con un emozione che è un misto tra ansia da attesa, paura e, perché no, una felice incredulità che questa cosa sia davvero arrivata. Questo miscuglio è quello che provo io stasera, quando domani – che poi è un domani fin troppo vicino, vista l’ora – è quel giorno che aspetto da anni: il mio ultimo primo giorno di scuola.
Non ho mai temuto la fine delle superiori, forse da qualche tempo ho iniziato a temere l’esame, ma la fine delle superiori in sé per sé, mai. Al contrario, l’ho attesa fin dal primo giorno, in quel lontano duemilaotto, quando non mi sarei mai aspettata un percorso così travagliato.
Le superiori le ho iniziate puntuale, con tanti sogni per la testa, ma senza quel sogno da far diventare obbiettivo. Le ho iniziate in un liceo, che tutt'ora non so se era la scuola sbagliata per me o se ero io la persona sbagliata per quella scuola, in una provincia diversa, con persone diverse al mio fianco a condividerlo con me e soprattutto con una me che non so quanto sia davvero la predecessora di questa me che sono ora.
Le superiori le finirò in ritardo, ma con un unico sogno per la testa. Un sogno grande, forse troppo grande, ma è un sogno che sa di obbiettivo, che sa di “impegno e sacrificio, perché sennò al sogno non ci arrivi”. Le finisco in un istituto professionale, scelto per disperazione dopo un’altra bocciatura e non per una vera e propria voglia di fare quella scuola, ma che nonostante questo mi ha fatto avere qualche piccola grande rivincita personale.
Sarà che è normale avere un miscuglio di emozioni, dove per me l’elemento che spicca di più è l’ansia-paura, ad un passo da un anno che, nel bene e nel male, è importante per tutti, sarà che io lo aspetto da sempre, sarà che già di mio sono ansiosa e alla vigilia di date importanti sto sempre un po’ così, sarà che con tutti questi anni persi pensavo di non arrivarci mai, ma stasera ho così tante sensazioni addosso che le parole giuste non riescono a trovarmi o sono io a non trovare le parole giuste.


(Questo post mi ha fatto scoprire che "predecessora" esiste davvero, anche se è considerata una forma rara ed io che pensavo di aver scritto una puttanata mentre stavo seduta in terra con una penna tra le mani!)

sabato 13 settembre 2014

And I hear him singing while he sits there in his chair while these autumn leaves float around everywhere.

Sono le dieci e un quarto di sera del dodici settembre duemilaquattordici, sono esattamente tre anni da un po', ma non so perché io abbia ceduto solo ora a mettere una delle "tue" canzoni e scriverti, come ogni anno. Forse perché, per tutto il giorno, ho pensato che scriverti una lettere come se tu potessi leggere, alla mia età, fosse totalmente stupido, ma invece ho ceduto, perché ne ho bisogno e perché mi manchi da impazzire.

Ciao nonno,
ora inizio questa lettera come si deve, ma che senso ha? Tu non ci sei più e non puoi ritrovare da ridire su come ho iniziato questa lettera.
Ho pensato a cosa dirti tutto il giorno e di cose ce n'erano tante, ma adesso non ne ricordo quasi nessuna se non che mi fa male la tua mancanza. Male da ridurmi a pezzi.
Tre anni fa, quando te ne andasti, io ero a casa e stavo scrivendo una storia oramai gettata nel dimenticatoio, senza sapere che ti eri spento in un'anonima camera d'ospedale smisi di scrivere, non riuscivo più a farlo. Una mezz'ora dopo mi chiamò papà e mi disse testuali parole "dopo mi racconti del primo giorno di scuola, prima devo dirti una cosa... verso le 18:30 nonno se n'è andato". Le ricordo troppo bene. Di quei tre giorni ricordo il dolore, tutto il resto è troppo vago, troppo poco impresso nella mia memoria. Solo la promessa di diventare qualcuno di cui saresti stato fiero è chiara nella mia memoria, insieme al dolore.
Nonno, per queste poche parole ho impiegato un'ora, spero di finire prima di mezza notte. Non so perché, ma finire dopo mi sembrerebbe quasi di tradirti. Sono quasi certa che a te, però, del ritardo non importerebbe molto.
Ho ridotto il numero di amici, soprattutto quelli qua, tenendo solo le persone di cui mi posso davvero fidare. In certi casi, sai, ha fatto male, ma col senno di poi e per come si stanno dimostrando, è meglio sopportare quel po' di dolore e delusione che avere certa gente affianco. Esco meno, ma mi va bene, perché so che su quelli amici che ho posso davvero contare. Forse, questa decisione e questa accettazione sono date da aver imparato ad essere forte o ad aver scoperto di esserlo. Questo ha portato a tante cose, nonno, ma non ti annoio con un elenco infinito di cose su cui sto lavorando da quando so di potercela fare. Ti volevo solo dire che, sarà stupido e banale, ma io lo devo anche a te, perché il tuo ricordo, insieme a quello di nonna, mi salva più spesso di quanto ammetta. Sai qual è il problema? E' che con il tempo i ricordi si consumano, perdono un po' della loro chiarezza ogni giorno che passa ed io, ora, ricordo immagini che, per quanto a colori, appartengono ad un film muto, perché le voci sono oramai dimenticate. La tua, che ricordo così intonata quando cantavi e da un tono saggio, mi manca più di qualsiasi altra cosa. Mi bastava quella per sapere che c'era qualcosa di buono.
Purtroppo, il tempo passa e, anche senza malattie, i ricordi si perdono un po'.

Nonno, ti voglio scrivere le ultime cose con questa penna su cui è stampato il nome di un farmaco e che non mi piace per niente.
Sono arrivata all'ultimo anno di superiori, so di esserci arrivata tardi e che uscire da un istituto professionale non è la stessa cosa che uscire da un liceo, nonostante questo io cercherò di rendere fieri tutti, mamma, papà, mamma, l'unica nonna che mi resta, tutto il resto della famiglia ed anche me stessa, perché no?, ma soprattutto farò in modo di uscire bene, perché, nonostante tu non ci sia più, vorrei tanto che tu fossi fiero di me. Vorrei uscire da lì e pensare "nonno sarebbe fiero di avermi come nipote". Penso questo riferito a te e non a nonna perché so che a lei basterebbe sapermi felice per essere fiera. Forse sbaglio a puntare in alto, perché anche a te basterebbe la stessa cosa.
Dopo vorrei continuare, vorrei diventare giornalista, partire, andare lontano, ma questa è un'altra storia.
Poco tempo prima che ti allettassi, pochi mesi prima della tua morte mi dicesti, mentre ti accompagnavo in casa, "vai e sorridi". Lo sto facendo, sto andando per la mia strada e sorrido.
Sorrido un po' di più pensando che questa lettera di arrivi, chissà dove, in una casa uguale a quella che io amavo tanto e che non è più quella che era, con nonna che cucina, anziana, ma in sé e bellissima, e tu in salotto seduto sulla poltrona che ti dondoli piano. Canta ancora Bella Ciao, seduto su quella poltrona dondolandoti piano, pensandomi un po' che io penserò a te.

Nonno, ora, io la smetto con tutta questa marea infinita di parole, che non sono quelle che volevo dirti realmente, ma ti porto con me ogni giorno, tra i ricordi migliori, tra quelli che danno forza.
Vado e sorrido, te lo prometto.





(Solo ora che ho finito di batterla a computer mi rendo davvero conto di quante cose non ho detto neanche questa volta).

martedì 9 settembre 2014

I sang a lullaby by the waterside and knew if you were here, I'd sing to you.

Avrei bisogno di scrivere sentendo tra le mani il contatto rilassante con il corpo di plastica della penna, con l'inchiostro nero che disegna parole sulla carta bianca mentre la penna danza con passi incerti ed imprecisi per lasciare quell'indefinibile disegno di parole dato dalla mia grafia quasi sempre non precisa e costante. Avrei bisogno di questo, ma in tutta la casa non trovo una singola penna nera che mi vada bene e la Moleskine è, in questo esatto momento, troppo lontana da me. Mi accontento del digitale, ma è così distaccato e privo di sbalzi d'umore, tremiti della mano sotto un qualche pensiero che rimane impresso in una parola più tremolante della precedente; mi accontento, perché se non scrivo ora, in questo esatto momento, potrei implodere.
Continuo a sentire la stessa canzone non so più da quanto tempo, ma di tutto il testo l'unica cosa che la voce di Ed Sheeran riesce a farmi arrivare al cervello, permettendomi di sentirla davvero, capirla e sentirla rimbombare nella mia testa è quel "I sang a lullaby by the waterside and knew if you were here, I'd sing to you". Rimbomba da ore nella mia testa, come una verità che fa male, male da morire.
Se lui fosse qui.
Se lui fosse qui cosa? Gli canteresti una ninnananna in riva al fiume?
No, non so cantare, prima di tutto, quindi non sarebbe una bella cosa e, poi, che senso avrebbe cantarla a chi non vuole sentirla? A chi, tra l'altro, non vorrà mai sentirla?
Non so neanche quanto serva darmi queste risposte ciniche - ciniche, ma veritiere - che tanto il mio cervello memorizza, ma non sente, perché la canzone le copre con quella stramaledetta frase che, per un breve momento, è quasi stata sostituita da un'altra che dice "you're the song my heart is beating to". Una canzone straziante, probabilmente.
Continuo a chiudere gli occhi e a vederti qua, quando invece sei a chissà quanti cazzo di chilometri lontano da "qua"; continuo a chiuderli e a risentire quella stramaledetta sensazione di completezza che era solo - sempre e solo - mia. La cosa peggiore è sapere che il ricordo di quella sensazione, il ricordo della sua voce, il ricordo di lui qui è l'unica cosa a calmarmi quando l'ansia sale, sale, sale, sale fino a soffocarmi.
La cosa buffa è che mi sento a pezzi, continuo a sentire questa canzone che non so neanche quanto mi aiuti a stare meglio mentre continuo a negare a me stessa la necessità di dire a qualcuno di fidato "sto a pezzi, mi manca più di quanto mi è mancato un anno fa quando è ripartito, più di quanto mi sia mancato a gennaio quando sono ripartita io", ripetendomi che forse lo vedrò tra poco e forse, allora, questa sensazione sparirà per non tornare, ma so bene che tornerà. Tornerà più forte di prima, portandomi più vicina all'implosione.
Chissà dove, chissà come sta, chissà a cosa pensa, chissà quante cose che non so.
"I sang a lullaby by the waterside and knew if you were here, I'd sing to you".
Se solo fossi qui...

martedì 2 settembre 2014

I work hard to be a better me.

Sono al secondo giorno di allenamento, nonostante i muscoli doloranti dal primo, compresi quelli delle braccia che prima di iniziare la seduta di oggi neanche mi ero resa conto che mi facessero così male, mi sono messa lì tranquilla a far la mia mezz'ora di allenamento cercando di non fermarmi e di non sfanculare troppo Jillian Michaels tenendo duro, ma posso già dirmi soddisfatta. Non dei risultati, che di certo non vedrò dall'oggi al domani, ma perché, non solo non sono morta come ieri, ma perché mi sento psicologicamente soddisfatta di me stessa, perché mi vedo convinta in quello che faccio.
Da piccola, erano soliti dirmi che Roma non è stata costruita in un giorno, ora me lo dico da sola, per ricordarmi che per raggiungere gli obbiettivi ci vuole tempo, oltre che costanza e tenacia.

lunedì 1 settembre 2014

"A me pare che il vero capodanno sia il primo di settembre. O giù di lì".

Settembre, ben arrivato.
E' buffo come, a vent'anni, io aspetti ancora il tuo arrivo, come la gente normale aspetta il primo dell'anno, ma soprattutto è buffo come io, alla mia età, senta ancora il bisogno di scriverti come se tu fossi una persona e non un mese dell'anno compreso tra il caldo agosto e il più mite ottobre.
Ho perso il conto delle "lettere" che ti ho scritto negli anni, sai? Molte, probabilmente, sono irrimediabilmente perse e, forse, meglio così, perché chissà che contenuti pessimi.
Una cosa che ti dico da un po' di anni è che ho paura delle prove che mi metti davanti, delle cose che dai e, soprattutto, delle cose cose che togli. Quest'anno cos'hai intenzione di fare? Sarai buono? Sarò all'altezza dei tuoi progetti?
Non so, e non posso sapere, cosa mi aspetta da parte tua, ma so cosa mi aspetta da parte mia. So che, probabilmente, mi sono messa davanti troppi obbiettivi da iniziare oggi, ma il primo gennaio è troppo freddo e troppo stanco dai festeggiamenti della notte prima. Tu, per me, sei più lucido, più tranquillo, più adatto a iniziare propositi più o meno buoni.
Quali sono questi "famosi" propositi, caro Settembre?
Prendere in mano la mia vita, smettendola di piangermi addosso guardandomi riflessa senza far nulla. Non sono quella che voglio? Bene, ci lavoro su. Mi costruisco le fondamenta per accettarmi, per volermi bene, per essere più sicura di me. Prendere in mano la mia vita vuol dire che smetterò di pensare così tanto, di farmi battere su tutto dalla paura e dall'ansia, magari imparerò a correre qualche rischio, perché forse la vita è anche questo, giocare senza pensare troppo a come andrà. Vuol dire anche che imparerò a non mettere gli altri davanti a me in qualsiasi caso, senza pensare se lo meritano o meno; imparerò a dare tutta me stessa a chi lo merita, aprendomi di più, come mi hanno già detto di fare. Forse, lascerò andare anche i rancori ed i ricordi di chi non è rimasto per sua scelta, anche se questo, oltre ad essere difficile, vorrà dire addio (o solo arrivederci?).
Inizierò a dare il meglio di me nella scrittura e tornerò ad impegnarmi a scuola, per me ed i miei sogni, ma anche per nonno che mi hai portato via anni fa e che ora ho, in parte, sulla pelle.
Settembre, ho così tanti obbiettivi che non riesco neanche a darli voce per bene, a dirgli tutti, ma, sai, potevo essere sintetica e dire che voglio sorridere davvero, senza tanti rimpianti ed odio, e che, soprattutto, voglio vivere, vivere davvero.
Non importa se tu sarai buono o meno, sai, da quando ho sulla pelle quel disegno mi basta poco a ricordarmi che sono forte. Non importa, perché non sono sola, ho chi mi aiuterà a rialzarmi, se cadrò, e che si incazzerà se non manterrò i miei propositi. Settembre, gioca le tue carte, io sono pronta. Per la prima volta da quando ti scrivo, giochiamo alla pari. Posso trovare la forza per affrontare le cose, come posso affrontare l'inizio della quinta (ed uscirne viva). Posso vincere su me stessa e, forse, anche su di te.

Da tre anni ad oggi, è la prima volta che sono felice che tu sia arrivato.
Ben tornato, Settembre.