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giovedì 7 febbraio 2019

E quindi per ogni volta che vorrò sentirti chiuderò gli occhi su questa realtà.

Ciao Nonno,
so che continuare a scriverti non ha più senso, l so da anni, ma ogni tanto avrei bisogno di sedermi in salotto con te - tu sulla poltrona a dondolo dal lato della finestra io o sull'altra poltrona o sul divano - e parlare, parlare, parlare. Non posso più farlo, quindi non mi resta che vomitare tutto su carta con l'inchiostro.
Io lo so che, ora, ti parlerei anche del mio mondo interiore, ora che ho superato l'adolescenza, ora che avrei bisogno della tua saggezza, dei tuoi consigli. Ora che sono sempre più vicina al quarto di secolo e mi sembra di sapere meno cose di dieci anni fa, ora che mi sembra di essermi dimenticata di come si cammina.
Mi manchi, mi manchi ogni volta che mi sento sbagliata mentre con te mi sono sempre sentita giusta, anche quando in casa tutti mio chiedevano di cambiare. Mi manchi ogni volta passo da casa degli zii, ogni volta che salgo e casa non più quella casa. Mi sei mancato quando ho la visto P. e abbiamo parlato un po' di te e, sai, non le ho detto che ho capito che per entrambe eri un po' come la bussola per un marinaio, avrei voluto dirglielo e sentirmi capita, sentirmi meno sola nel pensarti ancora come una bussola, quella bussola oramai persa sul fondo del mare.
Sai, a Sanremo c'è questa canzone scritta per un nonno che non c'è più. Sarà per quelli squarci di provincia che si sentono tra le parole, sarà che ogni provincia - in Toscana soprattutto - sono tutte uguali, sarà per la nostalgia delle parole, ma dal primo ascolto ti ho pensato, ti ho pensato tanto, ti ho ritrovato tra quelle parole. Vorrei tanto i tuoi consigli, vorrei potertela fartela sentire e dirti le cose che non ti dissi mai quando eri qua, chissà se, però, le hai capite anche senza che parlassi.


"Mi tengo stretto addosso i tuoi consigli
Perché lo sai che qua non è mai facile
Per chi fa muso contro, ancora
E quindi
Per ogni volta che vorrò sentirti
Chiuderò gli occhi su questa realtà
Nonno mi hai lasciato dentro ad un mondo a pile
 Una generazione che non so sentire
 Ma in fondo siamo storie con mille dettagli
 Fragili e bellissimi tra i nostri sbagli"
- Enrico Nigiotti, Nonno Hollywood.

sabato 1 settembre 2018

Pale September, I wore the time like a dress that year.

Ciao Settembre,
ben arrivato.
Prima di scrivere, come ogni anno, sono andata a rileggere cosa scrivevo un anno prima e mi sono stupita del fatto che un anno fa non avessi niente da dire, niente da augurarmi, niente da voler cambiare, niente da volermi ricordare. Sinceramente, provo a ripensarci e non riesco a ricordare molto di un anno fa. Sì, ricordo qualcosa - alcune cose meno carine altre più carine -, ma niente di chi, niente di memorabile, tutte cose tra qualche anno penserò "ma che anno era?". Non era un bel periodo, proprio per niente.
E quest'anno?
Quest'anno non lo so. Va ad alti e bassi, come va un po' a tutti del resto.
Cos'è cambiato nell'ultimo anno?
Tutto e niente.
Cos'è successo?
E' successo che un anno fa mi sono iscritta a un corso di danza aerea per principianti. Dovevano essere due lezioni di prova, si è trasformato in un appuntamento fisso due volte a settimana. Non sono brava, sono quella che ci mette più tempo a imparare le figure, quella che per andare in pallina ci ha messo una vita - "eri totalmente non allenata e ti scoraggiavi, non ti poteva venire no!" - e che ancora si domanda perché continua, ma sono anche quella che ci ha preso gusto a tornare a casa con un segno rosso o un livido. Mi piace, mi fa sentire leggera, mi fa spegnere la testa per un'ora. Perché ho iniziato a parlare di questo? Perché più i muscoli delle mie braccia di rinforzavano, più imparavo a staccare i piedi da terra, più capivo come andare a testa in giù senza essere convinta che sarei caduta, più imparavo a stare been con me stessa, più mi liberavo di tutte quelle sicurezze che mi facevano evitare tante cose. Le prime lezioni erano per me odi et amo: odiavo socializzare, odiavo dover andare in tshirt e leggins - e sappiamo che a dire la verità sono gli ubriachi, i bambini e i leggins -, odiavo tentare di fare qualcosa e non riuscirci, odiavo quello che per altri era normale. Amavo, però, quella sensazione bellissima quando ti riusciva qualcosa - e poco importa se è il primo o il decimo tentativo -, amavo la sensazione di libertà che cresceva giorno dopo giorno.
Imparare a stare sui tessuti era una rivoluzione. Una rivoluzione che non so quando sia iniziata, non ha una data precisa, non c'è stato un giorno o un'ora, è stato un lento inesorabile percorso di cambiato. Ho smesso di preoccuparmi del giudizio degli altri, di entrare in un negozio e di negarmi anche il solo provare qualcosa perché "sarei ridicola", ho smesso di guardarmi allo specchio e vedermi come un insieme di difetti. E' successo che così imparassi ad alternare i jeans a delle gonne, a stare a scegliere con cura cosa mettermi prima di uscire con un'amica anziché optare subito per i jeans e felpa - o, se ero in buona, per la camicia - come ho smesso di dovermi preparare psicologicamente con giorni di anticipo prima di mettermi una gonna. E non so neanche quando è successo che gli altri hanno iniziato ad accorgersene, a dirmi che mi vedevano cambiata, che mi vedevano bene. E' successo addirittura che un'amica mi confessasse di essersi quasi emozionata quando mi ha vista uscire da Tezenis con un costume dopo anni che per convincermi a fare una mezza giornata di mare dovevano piangere in turco: io che odiavo mettermi in costume ne avevo comprato uno (quando questo discorso è uscito davanti al suo ragazzo si è stupito, non gli sembravo il tipo da farsi problemi).
La cosa più bella di questo cambiamento non è che ogni tanto esco vestita "da femmina" - come ha detto qualcuno -, ma è che esco come mi piace, esco essendo me stessa: un giorno sembro una piccola wannabe punk girl, il giorno dopo sembro quasi femminile fino a che non apro la bocca, il giorno dopo sono coi miei jeans preferiti e una tshirt enorme. Non penso più a cosa diranno gli altri, faccio quello che voglio anche mettermi un bellissimo costume intero di Wonder Woman regalatomi dalle amiche.
Certo, non va sempre bene. Ci sono giorni in cui sto male, in cui mi faccio schifo, in cui la sola idea di provarmi un vestito che un'amica non mette più e che so essere aperto sulla schiena mi fa stare malissimo, ma poi passa. Passa perché guardo le foto del saggio, la foto di fine luglio seduta su un cerchio a quella che solo un anno prima mi sembrava un'altezza impossibile - ed è ancora basso - e mi dico che "se ho fatto questo, posso farcela".
In tutto questo, ho anche imparato a socializzare, a relazionarmi con gli altri anche in situazioni dove conosco poco persone - se non proprio nessuno, come in vacanza - anziché mettermi in un angolo, ricordo ancora la sera che un'amica lontana mi ha raccontato che erano fieri del fatto che fossi a socializzare ad una grigliata. Rido, scherzo, parlo con gente mai vista seduta a tavolate piene, a volte mi sento ancora fuori posto, incapace di relazionarmi, ma poi passa.
E non è sempre tutto rosa e fiore, tutto facile. Ci sono ancora periodi in cui faccio fatica ad uscire di casa, in cui vorrei solo chiudere la porta di camera e fare finta che non esista niente se non il peso sul petto che non mi fa respirare; ci sono momenti in cui mi tremano le mani così forte che per non farlo notare devo stringerle a pugno così forte che poi mi fanno male, ci sono notti che le passo in preda agli incubi. Ci sono giornate come ieri, come oggi, che guardo i libri da studiare e non metto a fuoco niente o che mando un report per il blog della Radio dell'università dicendo a me stessa che fa schifo - e nessuno è d'accordo, non capisco chi sbaglia - e mi si capovolge lo stomaco a comunicare che "l'ho mandato in revisione". Ci sono giorni, settimane, periodi più o meno lunghi che va tutto male e fingo che vada benissimo, che reggo tutti senza far vedere come sto, ma alla fine me la cavo, non sempre bene, ma me la cavo.
E, Settembre, se dobbiamo parlare di cose leggere e farci anche una risata, sembra che tutto quello scritto sopra abbia effetti positivi: c'è chi c'ha provato, finendo generalmente in un nulla di fatto, ma è successo. Certo, poi c'è chi ti resta nelle canzoni costringendoti a sentire ridendo, ma questo è un discorso a sé.
Sai Settembre, stasera avrei voluto uscire, è sabato sera, ma invece a breve tornerò a studiare. Gli altri non gli ho sentiti, forse BFF è ancora impegnata a sistemare la casa in cui è ufficialmente andata a convivere, forse sono rimasti su o chi lo sa - se lasciassi parlare la vocina nella testa, direbbe che sono usciti senza di me perché non mi volevano -, ma vocina a parte è okay anche così e non lo dico come tempo fa perché dovevo autoconvincermene, va bene davvero. Sai, nonostante i mesi, mi fa ancora strano come io abbia imparato a non odiarmi, ma a convivere con me stessa e soprattutto come io passi periodi con me stessa perché mi va, non perché socializzare a forza mi ha messo ko - sì, certo, ci sono ancora sere in cui torno e mi fa male la testa per essere stata a contatto con gli altri, non perché io beva o altro, solo stare in mezzo alle persone.

Sai Settembre, ho passato così tanto tempo senza scrivere per non parlare con me stessa che ora faccio fatica a smettere, ci sono così tante cose che vorrei scrivere a te che non esiste per dirle a me che potrei scrivere in eterno, ma ci sarà tempo.
Cerca solo di essere più buono di altri anni, cerca solo di non darmi sfide troppo grandi, di non darmi troppo da affrontare.

domenica 8 luglio 2018

I wish you well until we meet again, my little thirteen year old me.

Cara me adolescente,
più passa il tempo, più siamo lontane, ma ogni tanto mi sembra ancora di sentirti. Ti sento quando devo presentarmi a gente che non conosco, nella voglia di scappare che ho anziché di dire "piacere" stringendo una mano, ti sento quando devo fare qualcosa di nuovo ed inizia a mancarmi l'aria. Ti sento quando mi diverto, ma inizio a chiedermi "cosa ci faccio qua? Mi hanno invitato per pietà, perché dovevano?" che è simile a quando ti sento quando parlo con qualcuno, ma le parole iniziano a sfuggirmi uscendo a pezzi e bocconi, perché ho paura che verrò giudicata. Ti sento quando trovo il coraggio di uscire in gonna, quando pur restando me stessa mi vesto stando più attenta, come ti sento quando tento di fare qualcosa. Ti sento quando ho voglia di fuggire, di isolarmi, di trovare un angolo nascosto mentre sono in presenza di tante persone.
Siamo diventate due entità distanti - per età e perché non sono più chi ero -, ma ogni tanto ti sento ancora, come un'ombra che mi segue senza andarsene, che è lì anche quando non la vedo.
E' per questo che ti scrivo queste righe, per parlare a te e per parlare a me. Non voglio parlarti del fatto che gli insuccessi che accumulerai negli anni te li lascerai alle spalle, troverai la forza di cercare di raggiungere gli obiettivi che vuoi e ti toglierai, anche se non proprio direttamente, qualche sassolino della scarpa. No, voglio parlarti di altro.
Hai presente quanto tu ti senta fuori posto dovunque andrai? Non sono i posti il problema. Non è che nel tempo amerai questa zone, no, la sentirai sempre limitata e soffocante, ma imparerai ad apprezzarla grazie alle persone che ti aiuteranno a sentirti meno soffocare. Non sono i posti dove vai, è con chi ci vai. Hai presente come non ti senti capita, ma ti senti piuttosto sempre giudicata? Bene, ti fortificherà, ti farà capire - non senza soffrire - che non puoi salvare ogni rapporto, che certe volte sarebbe meglio risparmiarsi numerosi tentativi di rimettere insieme le amicizie. Eravate amiche, le cose sono cambiate, non potete più esserlo. Non potete esserlo perché tu tieni i segreti, copri tutti, loro ingigantiscono cosa fai tu per pararsi il culo loro. Se potessi tornare indietro ed incontrarti, ti direi di non ridare continui tentativi alle medesime persone, non serve a nulla. Non è colpa tua, sai? Non è colpa tua se ti hanno sparlato dietro, se ti hanno messo in una situazione di merda con tua madre, se per anni ti hanno fatto sentire sbagliata per come parli, per cosa dici, per cosa ti piace, per cosa non ti piace, per come ti vesti, per come ti atteggi, per il tuo carattere, per quella che sei. Non è colpa tua, tu eri solo troppo buona - forse un po' fessa - per capire che non erano amiche. Stai tranquilla, negli anni troverai chi ti accetterà per quella che sei a volte condividendo i tuoi gusti, i tuoi pensieri, altre volte senza condividerli, ma accettandoli. A volte queste persone le perderai, a volte resteranno al tuo fianco, altre volte cambierete strada per un po' e poi vi ritroverete per puro caso.
Tornassi indietro, ti abbraccerei mentre stai piangendo chiusa in camera perché ti vedi brutta, perché ti ci fanno vedere, perché non riesci ad uscire di casa con un outfit che sia te ma non ti faccia neanche vergognare. Sai, a distanza di anni troverai uno sport da praticare due volte a settimana che ti farà acquistare quel minimo di sicurezza che ti farà dire "fanculo!" e ti farà comprare un body, ci uscirai e ci starai bene - sia con sia da quello che ti dicono. Imparerai, giorno dopo giorno, a fregartene e a ventiquattro anni riuscirai ad essere te stessa, ma anche ad essere vestita bene e, perché no, a volte anche femminile. Sai quando ci rimanevi male perché ti dicevano che eri sempre un maschiaccio, quando M. ti chiamava Mario, quando ti dicevano che eri un uomo mancato? Imparerai a conviverci. Certo, a volte ci rimarrai male, a volte M. lo vorrai ancora uccidere, ma ti affezionerai a sentirti chiamare Mario, come accetterai che non sei la persona più femminile del mondo, che ai film d'amore preferisci quelli di supereroi, che tra la proposta di andare a fare shopping e quella di softair ti ispira più la seconda, che hai tacchi preferisci gli anfibi. Accetterai il tuo non riuscire a tenere sempre a bada il tuo essere sboccata come uno scaricatore di porto, che a volte i rutti li lasci liberi come il peggio muratore in pausa pranzo, ma lo accetterai perché incontrerai persone a cui farai simpatia per questo. Incontrerai persone che ti proporranno di andare a giocare a softair con loro perché, diranno ad una terza persona presente, "lei ce la vedo!" e ti sentirai anche dire che "vieni anche te? Dai, bello!" senza che sia forzato. Farai simpatia perché ti diranno che non è come essere in giro con una che se la tira, ma con un  amico che se devi parlare di cazzate, ti dà corda. Imparerai ad accettare che a volte preferisci stare comoda con una felpa oversize e sembrare a mala pena una ragazza, per poi stupire tutti qualche giorno dopo. Troverai chi, oltre ad accettare questo lato di te, accetterà anche gli altri e tu riuscirai ad essere così libera di essere te stessa che tornerai sui calci in culo divertendoti più di quando eri piccola.
Imparerai, negli anni, a capire chi è ti è amico, chi ti accetta così come sei, che sa capire i tuoi periodi no, il tuo sparire, il tuo alzare i muri e, se non riuscirai a scavalcarli, si metterà comodo ad aspettare che sia tu a mettere una scala e superarlo. Imparerai che le distanze sono relative, che non è sentirsi sempre a fare un'amicizia. Imparerai cosa conta, chi conta, chi ci tiene.
Imparerai che, anche se con enorme difficoltà che ti causerà stanchezza e mal di testa quando rientrerai, sarai anche in grado di socializzare. Non ti nasconderai più in un angolo durante cene con poche persone a te conosciute, non ti isolerai alle grigliate, ma parlerai, ascolterai, interagirai anche con chi non conosci, anche quando non sei in un ambiente neutrale o a te favorevole. Imparerai a stare in compagnia, a ridere, a lasciarti andare, tanto da far vedere che dopo quasi un anno di danza aerea hai imparato a muovere il tuo corpo senza sembrare un tronco - no, non sarai mai brava a ballare, ma migliorerai - e a cantare una canzone in compagnia in macchina anche se sei stonata. Imparerai a viaggiare da sola, ma anche in macchina per due ore e mezza con una persona vista dieci volte lasciando l'imbarazzo lungo il cammino. Imparerai, soprattutto, che sono le persone che meno ti aspetti quelle che ti faranno sentire più accettata come sei. Loro, oltre quelle poche amiche fidate che ti porti dietro da anni.
Imparerai, non senza ginocchia sbucciate e lividi, che è meglio scrivere a quel ragazzo che in vacanza ci provava e trovavi carino, anziché pensare "ma se ...?", perché ti dirai che è meglio così anziché il dubbio. Imparerai a non fidarti del primo che passa e ti dà attenzione, imparerai ad essere vigile, perché capirai che quello che pensi - che sarebbe meglio chiunque anziché quella sempre invisibile - è sbagliato. Non è un ragazzo o l'attenzione di più ragazzi a renderti qualcuno. Tu sei già qualcuno e ti importerà poco di loro, anche se a volte ci starai male, tanto, perché la tua indipendenza ti farà sentire dolorosamente sola. Di te, sul piano dei ragazzi, avrai un'amica che dirà fieramente "lei non giudica mai, dà la possibilità di farsi conoscere" e tu sorriderai, perché sai che è vero, perché hai capito quanto ti abbia fatto male negli anni non avere avuto questa possibilità.
Imparerai ad andare d'accordo con i tuoi, non litigherai più fino a perdere il fiato con tua madre e instaurerai un bel rapporto con tuo padre. Certo, continuerai a nascondere che fumi e che bevi, del primo faranno finta di crederci, del secondo mai lo capirai, non parlerai mai di come stai, di cosa pensi di determinate situazioni, ma imparerai comunque a renderli parte della tua vita, come quando in vacanza racconterai al telefono a tua madre di aver diviso una rissa. "No, tranquilla, ma', non mi sono fatta male.".
Sai, a volte ti sentirai ancora persa, ti sentirai ancora soffocare, ti sentirai ancora sola, ti sentirai come se volessi distruggere quell'immagine nello specchio, ti sentirai come uno zero, ti sentirai che vuoi solo raggomitolarti e piangere, ma poi ti renderai conto che, nonostante molte delle cose negative siano forse vere, imparerai che non è sempre tutto vero quello che senti. Arriverai alla quasi metà dei tuoi vent'anni che saprai accettare quello che sei, i tuoi gusti, il tuo modo di essere, di porti, inizierai a costruire - mattoncino dopo mattoncino -, con qualche inciampo qua e là, una tua sicurezza, un tuo volerti bene e saprai anche che non sei sola, che hai delle amiche, che non tutti sono persone giudicanti, che non sempre chi ti fa una battuta te la fa con il doppio fine di deriderti, a volte è solo per scherzare. Alla quasi metà dei tuoi vent'anni ci saranno tre giorni di fila fatti di gonne, di vestirsi, pettinarsi e truccarsi con cura, di scegliere il rossetto che si abbina meglio e che ti fa sentire meglio, che sono anche tre giorni di risate, amicizia, grigliate - con tanto di osso di bistecca ripulito con cura in mezzo a quasi sconosciuti -, di chiacchiere con sconosciuti e di un sacco di cose che tu, piccola adolescente che non riesce né a trovarsi né a farsi accettare, penserai impossibili e ti sentirai fiera di te.
Ci saranno ancora giorni difficili, giorni di ansia, di sprofondare. Giorni dove tu ti farai sentire, ma passeranno senza spezzare né te né me.
Ci allontaneremo sempre più, ogni tanto ti sentirò ancora, ma sarai sempre più debole, ma tranquilla che ogni tanto quando mi farai venire voglia di correre via da qualche situazione ti dirò "andrà bene, sopravviveremo. Andrà bene, possiamo farcela".
Andrà bene, sopravviverò.
Andrà bene, posso farcela.


"Come over here and let me hold your hand and hug you darling

I promise you that it won't always feel this bad

There are so many things I want to say to you

You're the girl I used to be
You little heartbroken thirteen year old me
You're laughing

But you're hiding

God I know that trick too well

You forget
That I've been you

[...]
Everything will work out fine

Don't try to

Grow up yet

Oh just give it some time
The pain you feel is real you're not asleep but it's a nightmare

But you can wake up anytime

Oh don't lose your passion or the fighter that's inside of you

You're the girl I used to be
The pissed off complicated thirteen year old me"
- Conversation With My 13 Old Self, P!nk.

giovedì 14 settembre 2017

Too young to say though I swear he knew.

12 settembre 2017.
Ciao nonno,
so che è stupido continuare a scriverti almeno una volta all'anno quando tu non puoi leggere, non puoi rispondere e solo io so quanto avrei bisogno di una tua risposta, di una tua guida su cosa fare.
Dio quanto mi sento stupida a continuare a scriverti a 23 anni, dopo sei anni. Dio quanta rabbia mi fa non essere riuscita a venire in ospedale, a starti vicino, fino all'ultimo momento come ho fatto con nonna che, anche se non ero con lei quando si è spenta, c'ero fino a qualche giorno prima. Dio quanta mi fa rabbia il fatto che non so più la ricordare la tua voce mentre in poltrona (mi) cantavi canzoni politiche, perché quelle conoscevi, e quanto vorrei riuscire a ricordare il suono della tua voce mentre cantavi Bella Ciao. Ogni tanto, quando l'ansia prende il sopravvento e mi manca l'aria, l'unica cosa che mi riesce a calmare è canticchiare Bella Ciao tra me e me, solo con la mia voce stonata, a mezza voce, come quando ti sentivo cantare e non volevo disturbarti.
Sai nonno, in casa va sempre peggio e io, oltre a sentirmi tra incudine e martello, non so cosa fare. Una parte di me vorrebbe ingoiare il rospo, trovare un modo per contattare mia cugina e dirle che mi manca, che non sapevo come comportarmi, non sapevo se volesse escludere anche me, ma che io vorrei avere un rapporto con lei, l'ho sempre voluto, fin da bambina, e che conservo ancora le sagome delle Bratz che mi aveva disegnato e plastificato quando ero piccola, che vorrei darle a sua figlia, vorrei vederla crescere come non è stato tra noi. Dall'altra parte, sono una P., quindi come tutti non so ingoiare il rospo e dimenticare la rabbia, la delusione, le cose che non trovo giuste. Non so far finta di niente, perché quando vedo gli zii vedo i danni lasciati da una tempesta che mi ha colpito solo di strascico, come un effetto collaterale. Loro sono le case distrutte, io la luce saltata. Mi chiedo spesso se non sia stata volutamente esclusa, dimenticata. Cosa devo fare? Quale strada devo prendere? Non puoi indicarmi la strada? Perché, te che sei il legame tra me e lei, non puoi intercedere?
Che domande stupide quest'ultime. Tu non ci sei, non ci sono modi per cui tu entri in contatto con me. Non ci sei più, anche scrivere queste righe è stupido, senza senso.
Nonostante il disturbo d'ansia, le occhiaie marcate di chi dorme poco e male, nonostante i periodi no, sto crescendo e nel farlo sto diventando una persona diversa, più simile a quella che volevo essere quando c'eri ancora. Ho imparato a guidare, dicono che sia anche brav(in)a, a non abbattermi al primo ostacolo (ho rifatto domanda per una cosa andata male un anno fa, prima non avrei tentato di nuovo), a tenere duro anche se qualcosa non va come volevo (come quel 18 che due esami dopo continuano a chiedermi "come mai questo scivolone su estetica?"). Ho imparato a non chiudermi sempre a riccio, come ho imparato a essere più sicura... non sempre mi riesce, ma ci provo. Ho imparato a non evitare sempre tutto, a fare esperienze nuove, anche da sola, tipo stasera vado alla prima di due lezioni di prova gratuita di danza aerea, nonostante io sia imbranata e, soprattutto, non sono proprio una atletica. Nonostante tutto questo, avrei ancora tante cose da imparare e vorrei che me le potessi insegnare. Nonostante il passare degli anni, nonostante abbia superato i venti, ho ancora bisogno del mio nonno e del suo sorriso bonario, del suo disinfettarmi ginocchia e gomiti sbucciati con quel disinfettante verde che dicevi non bruciare e non bruciava davvero (di te, l'ho sempre saputo, potevo fidarmi).
Vorrei raccontarti dell'università, dei miei progetti, delle volte che mi arrabbio per discorsi stupidi e qualunquisti. Vorrei prendere il caffè con te ora che ho imparato a berlo e che mi piace tanto, ma tu hai smesso di essere una persona diventando un ricordo prima che iniziassi a berlo.
Saresti fiero di quella che sto diventando?

sabato 17 giugno 2017

My old friend.

16 giugno 2017.

Cara Ansia, my old friend.
Dovrei continuare a studiare, ho un esame tra dieci giorni e ho riscattarono dallo scivolone dell'ultimo esame.
Ultimo esame dove eri lì con me, come sei oggi qui, cone tutte le notti negli ultimi mesi e non te ne vai. Anche ora sei qua, non come un'entità astratta, ma come un blocco di marmo che mi schiaccia il petto, una mano invisibile che sta stringendo la sua presa su cuore e polmoni che fanno fatica a lavorare. Sei un piccolo mostricciatolo che seduto sulla mia spalla mi sussurra negatività che non so più se sono frutti del tuo sacco o se ti limiti a esporre la realtà.
Evito gli inviti, invento scuse per non andare a fare serata con le amiche… soldi, devo studiare, ho gia un impegno, ma la realtà è che ho paura. Paura di te, di me. E se finisse come quella volta in riva al mare, se finisse come quella volta in cui costrinsi tutti a tornare a casa alle 7 di mattina perché sono stata male e ho un vuoto di ore che ho ricostruito solo grazie ad altri? O se invece mi sentissi male come quelle volte a scuola in cui rimanevo lucida mentre mi sembrava di affogare e di non riuscire a uscire dall'acqua per fare entrare aria nei miei polmoni anziché acqua?
Forse dovrei avere il coraggio di dire ad alta voce “ho un problema” e poi “ho bisogno di aiuto, da sola non riesco”, ma io non ce la faccio ad ammettere di avere un problema, di avere bisogno di aiuto, di avere un punto debole. No, non riesco e tu di questo ti nutri diventando più forte giorno dopo giorno.
Com'era prima di te?
Come stavo?
Chi ero?
Chi sono?
Ho la sensazione che tu stia diventando me, che tu stia divorando tutto e che tu stia finendo con il definire chi sono. Non sono più io che ho l'ansia. Sei tu ad avere me.
Io sono la mia ansia.
Ho fame, vorrei una pizza coi funghi anche se fa caldo, ma quando metto il cibo in bocca deglutire fa quasi male, è come se i bocconi fossero troppo grandi sia da masticare che da buttare giù. Allora bevo tanta acqua, tante bevande zuccherate, mi costringo a mangiare a cena e a ogni boccone mi ripeto nella testa “non devi dargliela vinta. Mangia.”.
E’ un combattimento costante, forse è per questo che quasi ogni notte sogno di scontrarmi con un lupo che mi batte sempre. Dimostra di comandare lui.
Comandi tu.
Mi comandi tu.
Ti ho scritto come se fossi una persona, perché oramai sei così presente che non sei più astratta, sei quasi tangibile. Ti ho scritto perché così mi libero di questa morsa al petto e posso tornare a studiare di questo mondo di cui vorrei fare parte, di radio, di comunicazione, di cose belle che tu mi stai rovinando.
Ora respiro meglio rispetto a molte righe fa, scrivere aiuta, ma non è possibile farlo sempre.
Il CD nello stereo è finito, le macchine corrono sul viale e le sento dalla finestra aperta da cui non entra aria. Tutto va avanti, io mi sento impantanata nelle sabbie mobili, se mi agito potrei solo sprofondare più velocemente. Allora mi fermo, cerco di analizzare come uscirne.
Posso tornare a studiare?
A essere me?
A essere libera da te?

venerdì 25 novembre 2016

And if the homework brings you down then we’ll throw it on the fire and take the car downtown.

Piccola piccola G., auguri!
E’ il 2016, è novembre, compi tre anni. Tre! A me sembra solo una settimana fa quando andai a trovare la tua mamma che non si sentiva bene, iniziavano le avvisaglie del travaglio e mi sembra ancora meno tempo da quando mi ha chiamato mio padre per dirmi che era in ospedale, che stavi nascendo e ancora meno da tuo zio, mio cugino, quello che è tanto grande, ma anche tanto buono, che mi chiama tutto emozionato e mi ripete “è nata, eh! E’ nata, tutto bene!” mentre sono su un autobus e fuori c’è un tramonto bellissimo. Me lo ricordo senza il bisogno di andare a rileggere, perché è stato uno dei lunedì migliori di tutta la mia vita. Il giorno dopo eri lì, in un lettino di ospedale piccola piccola con questi piedini lunghissimi che mi fecero sorridere tanto e che prendemmo bonariamente in giro con la tua mamma che, nonostante il parto del giorno prima, era bellissima – ma lo sai anche tu, la tua mamma è sempre bellissima.
Sai, piccola G., quando io ero piccola, ma più grande di te ora, sognavo tanto di diventare grande nella speranza di poter avere un bel rapporto con la tua mamma, qualcosa di più di un’amicizia e qualcosa di meno di quello tra sorelle. Mi sarebbe tanto piaciuto che, una volta cresciuta, potessi parlare con lei di tutto, trovare un’alleata in famiglia, una persona con cui potermi confrontare senza sentirmi la piccola di casa che deve sempre battersi per non essere considerata tale, una persona che potesse sapere chi sono, cosa faccio, che mi potesse dare qualche consiglio durante la mia vita. C’è stato un periodo, un periodo bello, in cui credevo che questo stesse davvero accadendo, era il periodo in cui lei aspettava te. Mi è capitato di fermarmi con lei a parlare e c’è stata una domenica dove mi misi ad aiutarla a preparare le bomboniere – quanto è brava la tua mamma a creare cose, quanti bei giochi ti ha creato? – e ci mettemmo a chiacchierare, mi ascoltò mentre le raccontavo di un’attività scolastica, di cosa stavo pensando di fare dopo le superiori, lei mi raccontò di cosa stava preparando per te, del vecchio mobile di nonna ridipinto e sistemato per metterci tutte le tue cose. Quando nascesti, fu bellissimo. Eravamo tutti così felici, così uniti, sembravamo davvero una famiglia, sai piccola G.? Io in quei giorni di novembre mi feci una promessa: sarei stata una brava cugina maggiore. Avrei giocato con te, come tuo zio faceva con me, come la tua mamma ha fatto quando mi disegnò delle figure di carta colorandole e plastificandole che io ho ancora, anche se tutte rovinate, ma avrei anche fatto in modo che quando tu saresti cresciuta avresti saputo che per qualsiasi cosa avevi una persona più grande pronta a darti un consiglio, una mano, non solo una compagnia di giochi. Anche se, diciamolo, per come stanno ora le cose, mi accontenterei anche di farti da compagnia di giochi.
Sai piccola G., sarebbe bello che gli adulti restassero un po’ bambini, perché questo vorrebbe dire una maggiore facilità a risolvere le diatribe, ma invece gli adulti fanno tutto più complicato e allora si portano dietro tanti rancori, tanta rabbia e quando esplode fa tanti danni, fa tanto male perché esplode rompendo gli argini come un fiume in piena sommergendo tutto quello che trova, portando via i bei ricordi, i momenti felici, perché non credere mai agli adulti quando parlano male, soprattutto quando sono persone della nostra famiglia, perché hanno la tendenza a ricordarsi sempre e solo le cose brutte, mai le cose belle. Non voglio, però, scrivere di questo, perché se un giorno le cose miglioreranno e tu potrai sentire – o leggere – queste parole, io voglio che tu ci ritrovi una persona che, purtroppo, non aveva modi di sapere di te, del tuo primo anno di asilo, di come te la cavi ora con imparare non una, ma due lingue, come va alla scuola di danza, se ci vai ancora. Non ho modi, perché purtroppo io come te sono rimasta incastrata nei brutti giochi dei grandi, ma ti penso spesso e mi chiedo spesso quale sia il tuo cartone preferito della Disney, se insegui ancora il cane inciampando, se ti addormenti con le favole, se ti piace disegnare, quale sia il tuo gioco preferito, se mangi tutto o se fai delle storie, se parli tanto o sei una bambina silenziosa, se sei affettuosa come me quando avevo la tua età o se sei più restia a socializzare; mi piacerebbe tanto sapere se hai qualche amichetta del cuore, se hai un amico immaginario, se chiedi mai – o se chiedi già - alla tua mamme e al tuo papà un fratellino o una sorellina, se hai già iniziato a dire “io da grande sarò” o se ti godi ancora a pieno la spensieratezza della tua età. Mi chiedo se mi ruberesti ancora gli occhiali da sole come quando facevi quando eri uno scricchiolino, se guarderesti ancora tutti con sospetto per poi scoppiare a ridere quando il tuo nonno ti fa un’espressione buffa – ti prego, non credere che sia una cattiva persona, è un uomo che facendo il padre ha sbagliato, ma nella vita sbagliamo tutti, sai piccola G.? – e se sorrideresti beata alla tua nonna – che è una persona meravigliosa, sai? Io sono tanto grata di averla come zia – e mi chiedo, soprattutto, se tu con me ci giocheresti, come fanno gli altri cugini, più grandi te, che nonostante mi vedano di rado ogni volta che mi vedono mi travolgono trascinandomi a giocare.
Nel momento in cui scrivo ho ventidue anni, faccio l’università, non ho un fidanzato, ho qualche vizio di troppo in cui in casa non sanno nulla, ma niente di serio solo qualche sigaretta di troppo, e passioni di cui non mi hanno chiesto nulla, porto i capelli cortissimi, una bambina di sette anni mi ha chiesto perché “metto così tanto trucco sugli occhi”. Ho obiettivi ambiziosi e sogni chiusi nei cassetti. Mi piacciono i lupi, ma anche i koala, amo i cartoni della Disney, ma non le principesse che subiscono la storia aspettando un principe che le salvi e mi piacciono tanto i personaggi dei fumetti, da sempre, anche se “sono da maschi”. Mangio tanto, ma solo quello che mi piace, tipo il pesce mi costringono a mangiarlo almeno una volta al mese, perché proprio non mi piace, a parte le acciughe fritte perché quelle ne mangerei sempre e anche tante, e mangio poche verdure, se potessi mi abbufferei sempre di dolci e di pizza, però è giusto mangiare tutto. E bevo troppo tè! Ecco, questa è una cosa che anche se ci dovessimo incontrare quando tu avrai tredici anni ed io trentadue, non cambierà, perché continuerò a bere troppo tè.
Sai piccola G., ho riguardato due foto di quando eri piccola piccola, avevi si e no un mese, i tuoi genitori me le hanno regalate per Natale – il primo con te, per la vigilia piangesti tanto, ma era bello passare quel Natale tutti insieme, mi sembrava di essere tornata ai Natali di quando ero piccola, tutti insieme, coi miei genitori ancora insieme e i nonni ancora qui – dicendomi che gli dispiaceva che non avessero una foto mia e tua da stampare per regalarmela. Non l’abbiamo mai fatta quella foto insieme, chissà se un domani gli adulti si decideranno ad essere meno caparbi, meno arrabbiati, meno rancorosi e si riavvicineranno, permettendoci di conoscerci. Per ora, ti saluto da qua con parole che dicono tanto e non dicono nulla, con il ricordo dell’ultima volta che ti ho vista impresso in testa, la voce della tua mamma – che, nonostante tutto, mi manca tantissimo – che ti dice “guarda G., ha le tue stesse scarpe!” e tu dici “no!”, che infondo hai ragione, le tue sono – erano? – di un altro colore.
Auguri piccola G., cresci, corri, inciampa, cadi, sorridi, ridi, piangi anche, ma crescendo ogni tanto pensa al mare, perché è da qua che vieni, da un posto di mare dove c’è chi ti vorrebbe tanto portare in spiaggia a correre spensierata, a fare un tuffo al mare d’estate. Auguri piccola G. da una cugina che vorrebbe tanto vederti crescere. Ti mando un bacio in fronte e un altro lo mando alla tua mamma, un saluto a tuo padre, perché io faccio tanto la dura, ma non so portare rancore come i grandi. Ti – vi – aspetto qua, ad un passo dal mare.



(E’ da ieri notte che sento le parole che, per l’urgenza di uscire, fanno fremere i polpastrelli e pizzicare gli occhi, perché a volte la vita ti regala emozioni bellissime che però, poi, le persone tendono a rovinare. La mia famiglia in questo è bravissima, sappiamo essere persone veramente brutte, veramente cattive, non so se ci mettiamo impegno o se abbiamo un’inclinazione naturale, ma so che succede, come succede che siamo estremamente fragili e io nei momenti di fragilità mi aggrappo alla rabbia, all’orgoglio, a dirmi che non posso scivolare giù, ma questa volta non voglio essere come loro, non voglio giocare sul tavolo del rancore, perché quest’urgenza di scrivere e queste notti a bagnar cuscini sono proprio frutto del rancore di altri, cos’ha portato di buono? Ho solo voglia di scrivere, perché chissà che un giorno non si risolva tutto e ci sia bisogno di un ricapitolare le cose per recuperare il tempo perduto, ma metti che nel farlo mi dimentico qualcosa? E allora ho deciso che le scriverò ogni volta che ne ho bisogno, perché non si sa mai.)

mercoledì 14 settembre 2016

Too young to say though I swear he knew.

Quest'anno non ho preso l'agenda per mettermi a scriverti il giorno stesso, non mi sono messa ad ascoltare nessuna delle canzoni che mi ricordano te, non sto neanche iniziando questa righe come se fossero una vera e propria lettera senza un mittente, ma comunque scrivo a te come se potessi leggere, che scrivere a chi non può leggere è un po' scrivere anche a se stessi.
Non ho preso carta e penna per scriverti un'altra lettera senza destinatario, ma ti ho comunque pensato. Ti ho pensato tanto tra una pagina di un riassunto di un libro e l'appunto di un altro mentre finivo il ripasso del giorno prima dell'esame. Ti ho pensato il giorno dell'esame, quando invece che essere rimandata al giorno dopo, sono stata segnata come ultima della giornata e ho pensato "io volevo andare al cimitero a lasciare una rosa", ma invece sono rimasta bloccata a Pisa fino a quasi le sette di sera, però sul libretto universitario è stato scritto il primo inaspettato (perché io ero convinta di bocciare o prendere ventidue che è il voto che, altre volte, ha dato a chi andava male) trenta. Mi piace pensare che, se tu fossi ancora vivo, che se potessi capire ancora tutto, ti avrei chiamato e avrei urlato un po' al telefono per dirtelo, perché a novantuno anni saresti stato un po' "duro d'orecchi", ma poi avresti capito e mi avresti fatto i complimenti; ti avrei sentito fiero di me, del fatto che mi impegno ed ottengo dei risultati. Probabilmente, avrei chiuso la chiamata dicendoti che ti sarei venuta a trovare al più presto e, probabilmente, sarei venuta davvero a trovarti, magari guidando la mia macchina per quella stradina stretta con le macchine parcheggiate a lato a renderla ancora più stretta,
Sai, nonno, ho fatto un primo passo verso il buttarmi verso i miei obbiettivi, ho partecipato alla candidatura per la radio dell'università; le candidature chiudevano quattro giorni fa, non ho ancora saputo nulla, non ci spero neanche più, ma non sono demoralizzata come sarei stata un anno fa. Se fosse davvero così, che è andata male dico, era solo una possibilità, ne cercherò altre, proverò altre volte, per altre cose. Sai, sono diventata più forte, più tenace e ambiziosa, mi sarebbe piaciuto esserlo anni fa, per farti conoscere questa me, non la bambina che piangeva facilmente, l'adolescente strana, la tarda adolescente che si fermava a parlare con te che eri sempre meno te. Mi sarebbe piaciuto davvero, non per farmi volere più bene, perché me ne hai dato tanto, ma perché mi sarei sentita un po' più all'altezza delle altre persone in famiglia.
Sai, mi piacerebbe tanto che tu fossi ancora qui, perché non siamo mai stati una famiglia perfetta, tutto il contrario: siamo sempre stati una famiglia umana inclina agli errori, ma ora le cose sembrano peggiorare giorno dopo giorno. La P. oramai ha tagliato i ponti con tutti, tranne che con suo fratello, la piccola G. non la vedo dalla vigilia di Natale, papà si finge indifferente quando ne parliamo, ma è preoccupato per lo zio che, con tutta questa situazione, sta - per usare le parole di papà - "andando fuori di testa" e la zia, che è buona come il pane, è a pezzi, l'ho vista piangere per la mancanza di quella figlia che ha tirato fuori tanto astio e tanto rancore, per la mancanza di vedere crescere una nipote e un po' anche per un genero a cui ha voluto bene come un figlio e che le ha detto cose cattivissime in mezzo ad una strada di Parigi (che ironia, l'ultima volta che hanno parlato con loro è stato un gigantesco dolore nel bel mezzo della città più romantica del mondo). Io come sto? Mi divido tra la rabbia, un crescente rancore, la delusione, un po' di sofferenza ed un senso di impotenza dato dal fatto che non so cosa fare per migliorare questa situazione, dal fatto che so di non potere fare nulla. E mi manca poter vedere crescere quello scricciolo che già prima vedevo poco, mi manca poter realizzare quell'idea di confrontarmi con la P. sull'università, di chiederle come si era trovata lei ai suoi tempi, se avesse qualche consiglio, ma invece non so come stanno, se sono ripartiti, se alla G. è piaciuta la bambola-peluches a forma di Ariel, se ci gioca, come va il suo corso di ballo (perché ha quasi tre anni e, siccome "ballava" per caso con la musica, abbiamo saputo che fa un corso di ballo per bambine, zia mi ha fatto vedere una foto col tutu. Il viso perennemente serio e il tutu.), se ha qualche amichetta, come va con avere quasi tre anni e doversi confrontare con due lingue. E' la prima volta che ne scrivo, nonno, ed è la prima volta che ammetto a me stessa di starci male, perché non mi sento in dovere di starci male, ma sto capendo che parliamo di mia cugina, quella che, quando ero piccola, seguivo il sogno di essere come lei, ma invece ora non mi ci cambierei mai.
Sai nonno, avrei voluto che queste righe fossero venate meno di malinconia, ma è che più passano gli anni, più mi rendo conto di quanto la tua presenza fosse importante, di quanto tu fossi l'unica persona in famiglia con cui, anche a quindici, sedici, diciassette anni, non avessi paura ad accennare ai miei sogni, ad andare oltre le frasi di circostanza, perché tu non giudicavi, cercavi sempre di comprendere. Mi manchi, perché mi hai insegnato tanto ed io mi chiedo sempre se non avessi potuto fare di più che semplicemente venirti a trovare, rimanere a parlare con te... fino a che sono riuscita, fino a che mi hai riconosciuto, fino a che non ti sei ritrovato in una camera di ospedale.
E' sera, ho fame e sto ripensando a quella volta in cui mamma lavorava in quella fabbrica di sughi, papà si muoveva in scooter e c'era un brutto temporale, così mi hanno lasciato da voi anche per cena, io iniziavo a preoccuparmi, nonna non era tanto più calma di te e invece tu, mi tranquillizzavi. E' proprio come ho studiato, la memoria e l'oblio sono collegati e capita che vengano fuori dei ricordi che si pensavano persi.

E' solo un'altra stupida lettera senza destinatario, solo un'altra stupida lettera che non verrà mai letta.

giovedì 1 settembre 2016

Now it all seems so clear, there's nothing left to fear, so we made our way by finding what was real.

Ciao Settembre,
è passato un anno ed io mi ritrovo di nuovo a scriverti. Ho paura di te, visto cos'è successo un anno fa. Ho paura, ma non mi arrendo.
Sono a casa, l'ultima puntata della terza stagione di Agents of SHIELD è a caricare ed io posso mettermi a scrivere con carta e penna, come non facevo da un po'.
Ogni anno siamo alle solite, io scrivo a te, che sei solo un mese, come se tu potessi leggere, ma sono arrivata alla conclusione che scrivo a te per parlare a me, ma non a quella che sono ora mentre scrivo, ma a quella che sarò quando rileggerò queste parole. Sei un modo per fare il punto della situazione, per ricordarmi chi sono in questo istante, chi voglio essere "domani"; sei un modo per ricordarmi a quali sogni (anche se alla mia età farei più bella figura a parlare di progetti, ma a me non piace crescere del tutto, quindi continuo a parlare di sogni) sto lavorando.
Sai, so di essere cambiata tanto dallo scorso settembre, so che con nonna il peggio è oramai passato, convivo con la paura, ma ho comunque imparato a non farmi schiacciare, Ecco, voglio partire da qua: dal fatto che non mi faccio più schiacciare dalla paura. Nell'ultimo anno ho imparato a non avere più il timore, quello paralizzante, di essere me stessa, di farmi vedere per quella che sono e poco importa se per farlo, per stare bene, ho dovuto chiudere molte porte, lasciare indietro qualche persona, perché quello che conta è che ora sto meglio. No, non bene, ma meglio, perché ho ancora tante insicurezze su cui lavorare, anche se molte ora riesco a tenerle a bada, e speso la mia ansia mi batte, mettendomi ko, ma comunque va molto meglio di prima, non è poi così buia come sembra da queste ultime righe. Ho imparato ad essere sicura, perché quale motivi ho per non esserlo? Cos'ho in meno di altri? E perché, soprattutto, dovrei sentirmi inferiore a qualcuno o, peggio, inadatta a causa di altre persone? Io sono io, con il mio carattere contraddittorio, le mie stranezze, il mio brontolare e polemizzare su tutto, le mie passioni, il mio caratteraccio, i miei sogni forse troppo grandi. Chi mi vuole nella sua vita, mi deve accettare così, perché al mio fianco voglio solo persone che mi facciano stare bene, che mi facciano sentire libera di essere me stessa.
Forse, la conquista più grande dell'ultimo anno, più di essere riuscita a dimostrare a me stessa che posso affrontare l'università, più di aver preso la patente, più di aver fatto nuove amicizie, più di un nuovo tatuaggio che ogni giorno mi ricorda che posso farcela, più di sapere chi sono le persone su cui posso davvero contare è che sono riuscita ad accettarmi per quello che sono, debolezze comprese. E questa conquista non può togliermela nessuno.
Ho imparato ad affrontare le cose, senza scappare. Ho imparato che a volte mettere un punto fermo è meglio che lasciare tutto in sospeso a galleggiare sui rancori, a volte per mettere un punto bisogna parlare, altre volte bisogna solo decidersi a fare le valigie ed andare altrove, anche solo metaforicamente. Ora non scappo più, sto imparando che la fuga non è mai la risposta giusta; sto imparando che rischiare è meglio dei se ("Amy nella vita o ti butti o resti nel dubbio", mi disse qualcuno).
Sai Settembre, ti temo ancora come quando alle superiori avevo gli esami di recupero, come quando dovevo andare in una scuola in cui non conoscevo nessuno, come quando mi hai dato piccole delusioni che mi hanno segnata, come quando mi hai tolto qualcosa o mi hai dato sfide più grandi di me, ma allo stesso tempo ti aspetto sempre, perché sei sempre il mio capodanno personale, sei la mia grande sfida, quella che mi mette sempre davanti a qualcosa di nuovo che non so mai prima cos'è e come affrontarlo.
Come ogni anno, Settembre, ho le mie speranze, ho qualcosa che aspetto - di passare un esame che mi fa schifo studiare, un progetto in cui ho riposto tante speranze, orari decenti in facoltà - e mi piacerebbe davvero che, almeno quest'anno, non giocassi malamente le tua carte mettendomi alla prova. Non togliermi troppo per mettermi alla prova, almeno quest'anno.
Benvenuto settembre, già che sei arrivato porta un po' di pioggia e di fresco. Mi piacerebbe tanto sentire l'odore di pioggia, stanotte.