lunedì 30 novembre 2015

Sono tornata ad andare a fase alterne, a non continuare una storia iniziata, a toccare il cielo e l'attimo dopo il fondo, a sentire le mani tremare per l'ansia e, sinceramente, tutto questo non m'era mancato.
Da lui mi sto rialzando, a volte inciampo e rischio di cadere, ma passo dopo passo inizio a pensarlo sempre meno, ma forse è solo che non l'ho mai più incontrato da nessuna parte da quella volta del "quello assomig... ah, no, è lui...", perché se lo incontrassi non sarebbe un inciampo, ma una caduta al suolo dove lascerei tutti i denti. Il fatto che mi sto rialzando lo capisco dal fatto che ho chiesto scusa per essere sparita con le amiche, ma la cosa bella di conoscere una persona da praticamente vent'anni è che quando le dici i motivi per cui sei sparita ti dà della "disgraziata" perché sbagli a sparire, anziché chiedere aiuto per stare bene (e se non lo sa lei che mi ha visto farlo mentre la mia vita crollava sotto urli e piatti lanciati...) e se io chiedo scusa, torno a farmi viva è solo un segno che sto meglio.
Oggi ho pensato a nonno, in treno mentre tornavo a casa da Pisa e un'amica era scesa alla sua fermata, pensavo a quella volta che mi ha disinfettato l'ennesima sbucciatura, che m'ero fatta correndo sul terreno dissestato del giardino volando a terra, usando quel disinfettante verde che non bruciava. Ci ripensavo pensando a quanto vorrei che fosse qui e potesse farlo anche ora, con le ferite emotivi, ma non so se sarebbe possibile... o forse sì. Alla fine non mi sono mai sfogata per le cose che mi facevano male quando lui era ancora in vita, ma riusciva sempre a strapparmi un sorriso, anche quando era oramai prossimo a non riconoscermi più e ad andarsene poco dopo, quindi anche senza che gli dicessi "nonno c'è stato questo ragazzo che m'ha fatto nascere delle speranze, che mi ha fatto interessare a lui. Un ragazzo che ho baciato e lo ribacerei anche ora, nonostante sia andata a merda e si sia pure comportato da emerita testa di cazzo, e con due occhi azzurri che mi hanno fatto tremare le gambe, ma non belli come i tuoi eh nonno, però erano belli davvero e niente. E' andata male e io non so cos'ho di tanto sbagliato da vedere tutti felici con qualcuno, mentre io resto la solita del "sto bene da sola", che mica è tanto vero" lui saprebbe strapparmi un sorriso e io starei meglio. E ora ho gli occhi lucidi, ripenso all'always scritto sulla mia spalla e penso che alla fine lui è sempre qua, che m'ha detto di andare e sorridere, quindi devo farlo anche senza di lui.
Dio, oggi era un giorno così okay, così bello, perché cazzo il cielo né grigio né azzurro di oggi pomeriggio mi ha fatto ripensare alla prima volta che ho visto i suoi occhi, quando s'è tolto gli occhiali da sole!? Perché mi ritorna in mente con niente? Dio.
E forse è meglio che vado a ricercare le nozioni su "Avan-garde and Kitsch" di Greenberg, anziché stare a pensare.

sabato 28 novembre 2015

giovedì 26 novembre 2015

L'esame della teoria per la patente, a cui sono risultata "non idonea" per una risposta sbagliata di troppo, mi ha fatto capire che ultimamente si può riassumere tutto come "al massimo potevo fare quattro sbagli, ma io ne ho fatti accidentalmente cinque".
Non solo la patente, ma un po' tutto.

mercoledì 25 novembre 2015

Ho consumato 21 grammi di felicità per uso personale.

Stamani alle 6:30, in stazione, avevo avuto il presagio che sarebbe stata una giornata di merda, che mi sarebbe pesato tutto e invece ora sono sul treno di ritorno da Pisa e sorrido. Forse hanno ragione quando mi dicono che sono troppo pessimista, che vedo tutto in maniera troppo catastrofica o forse sono io che sto davvero imparando a vedere le cose belle in mezzo al marciume generale. Stamani sono arrivata prestissimo a Pisa, così mi sono andata a godere la luce d'orata del sole sui monumenti in una Piazza dei Miracoli ancora addormentata, senza turisti accalcati a fare la foto reggendo la Torre. Mi sono goduta quello spettacolo beandomene come se non ci fosse un domani e quello spettacolo ha iniziato a raddrizzare la mia giornata. Mi sono concessa di ridere fino a piangere con un compagno dopo che un vu cumprà stralunato, tra scene assurde, ha sancito che io e lui tra due anni ci sposeremo. Mi sono concessa di ridere, di sorridere, di bearmi in cose belle perché io me lo merito. La vita è bella, nonostante tutto.

martedì 24 novembre 2015

Ho fatto l’abbonamento alla sfiga, pensando fosse quello per la pizzeria #1.

Ho un’unica vera dipendenza: i concerti. Forse è anche l’unica cosa che riesce a combattere la mia pigrizia facendomi correre a prendere i biglietti, correre per le prime file, insomma, per i concerti farei davvero i salti mortali, perché, dai, io sono una da divano mica una da muoversi, ma i concerti!
Niente, dopo giorni che ci rimugino su vado a vedere i prezzi per i The Cure, giusto per farsi un’idea, e proporlo ad E. che, pure lei, li ama e ama i concerti, insomma sarebbe stata una proposta da brava amica. I biglietti che costano meno costa sui settanta e passa euro... ma direi anche di no, sono troppo poveraccia nella vita per permettermi un biglietto in piccionaia da settanta e passa euro più il viaggio e il dormire. Insomma, ciao The Cure.
Sconsolata, chiudo Ticketone e capito su Facebook, chi è lo stronzo che esulta per il biglietto preso? Il ragazzo-uomo che ha la fidanzata cornuta che non passa per le porte aka mister ti limono come se non sapessi di avere la fidanzata aka “matelovaiapigliarenelculoocosa?”.
Insomma, ho fatto l’abbonameto alla sfiga pensando fosse quello per la pizzeria.

lunedì 23 novembre 2015

Avevo iniziato a scrivere una lettera a lui, una di quelle lettere piene di tutto che non si consegnano mai, ma poi mi sono detta "perché? Davvero ti farebbe sentire meglio?" e l'ho cancellata. Avevo iniziato a scrivere una lettera da me stessa a me stessa, per parlare di quello che mi sta succedendo, ma stava facendo crollare le dighe interiori che ho costruito e alla fine? Alla fine non scrivo, non affronto tutto quello che mi sta facendo male, mi chiudo a riccio, allontano tutti e resto da sola, senza poi sapere come si fa a farsi perdonare; passo il tempo bramando una sigaretta, qualcosa che mi riempia, nicotina e schifezze varie che mi facciano più male di tutto, della vita, di lui, di me, passo le ore a studiare per l'esame della teoria della patente che non passerò, per l'Università. Passo il tempo a pensare a quella storia che avevo iniziato "per riscatto" e che ho abbandonato, perché scrivere mi sta facendo male, come ora.
Avevo iniziato a scrivere per salvarmi un po', ho solo finito per condannarmi ancora.

domenica 22 novembre 2015

E cosa mi manchi a fare?

L'ho pensato meno in questi giorni, grazie ad una mostra di Lautrec, alle amiche, alle lezioni in Università condite da un sacco di risate perché tra un eccesso di "aspetti erotici" in opere che, di erotico, non hanno nulla e un collega che continua a giocare a giochini stupidi sul telefono, distraendo anche me, il tempo mi è volato e poi è arrivata la febbre, quella bassa e fastidiosa, data dal raffreddore, che non fa che farmi dormire e poi lo studio del Neoclassicismo e per pensarlo mi è rimasto poco tempo. Meglio così.
Solo che ora ho finito di studiare, la febbre non è salita, ma ho un freddo cane, ma soprattutto è domenica sera e la domenica sera è un giorno triste. E' un giorno triste da anni, lo è da quando questo vuoto dentro è aumentato e ora, alle mancanze che sento sempre, sento anche quella di vita, di affetto, di qualcuno che abbia voglia di riempire questo cazzo di vuoto infame. E Cristo, perché ho pensato potesse essere lui? Perché ora mi manca così tanto?
E' domenica sera, sono le otto passate da poco, lui sarà a lavoro, con una di quelle camice bianche che quando ci siamo visti l'ultima volta s'è scusato di avere ancora appesa in macchina, quella del "non riesco ad immaginartici, sai?" detto lo stesso giorno di quello sguardo dopo un bacio che non riesco a togliermi dalla testa. O forse è domenica sera, magari questa settimana ce l'ha libero per qualche motivo, magari c'è poca gente, ed è con lei e chissà se è felice, chissà se lui c'ha mai pensato che, come dice qualcuno, lei m'assomiglia un po', chissà se lei gli interessa davvero, sotto quali aspetti sia migliore di me. Chissà dov'è, con chi, chissà se gli passo mai per la testa, magari passando da qualche vetrina in cui spiccano dei pantaloni/leggins in simil pelle, quelli che era convinto che mi sarebbero stati bene (ma dove!? Ma quando!?). Chissà.
E chissà cosa si prova ad avere qualcuno che riempie la domenica sera.
E chissà cosa si prova ad essere pazzo di qualcuno, che me lo chiedo da quando l'ho letto su "Tre volte all'alba".
E chissà se non sarebbe essere quel genere di gente che augura il male, anziché essere quella che augura il mare e felicità a chi, a me, mica c'ha pensato poi tanto a far del male.
E chissà se domani che è lunedì ritorno ai miei progressi di pensarlo meno, di non pensarlo più con cose banali.
E chissà cosa si prova ad avere qualcuno che ti riempie la domenica sera, ma anche tutti gli altri giorni.

mercoledì 18 novembre 2015

A bite of silly happiness #1.

Andare al bar con un mio collega dell'Università, chiacchierare del più e del meno, ridere, ritrovarsi con più braccialetti della fortuna rispetto a prima di sedersi al bar e poi migrare verso delle panchine da prima a leggere, ognuno il suo libro, e poi lui a leggere uno dei miei libri preferiti ed io a riportare come mi sento sotto forma di disegno. Il tutto in una grigia giornata d'autunno inoltrato, non poi così terribile.

lunedì 16 novembre 2015

Che poi vaffanculo, solo vaffanculo.

E’ lunedì, sono fiacca, è tutto il giorno che sono abbastanza demoralizzata anche se cerco sempre di ridere e scherzare, perché sia mai che io mi faccia vedere triste da altri, mi ritaglio solo una mezz’ora per scrivere un mare di pensieri indirizzati ad una persona che non leggerà mai. Scrivo per me, mica perché lui sappia, perché se scrivo a lui, sto solo cercando di togliermi di dosso questa cattiva giornata, questo cattivo periodo.
Il fatto che non sto bene, oggi, lo capisco dal fatto che voglio camminare, che per andare a prendere il treno vado in centrale per fare la strada con un compagno di corso per non stare da sola, perché a volte lo so che quando sono presa male mi prende così. Torno a casa, mi prendo una pausa mentre inizio a digerire la cena prima di finire di studiare un po’, scorro la home e lì, in bella vista, c’è la foto che una non vorrebbe vedere della persona che in questo periodo ti ha fatto sentire da prima migliore e poi la solita, solo che quando ti senti migliore poi torni a sentirti uno schifo, ti senti uno schifo doppio, con un’altra. Nel letto. E okay, non c’è scritto nulla, non è chiaro un cazzo, sono pure vestiti da quel poco che si vede, ma quando mia il mio sesto senso sbaglia, ultimamente? Mai. Non sbaglia mai.
E niente, dieci giorni a pensare che era colpa mia, che la merda fossi io, che avessi sbagliato io, poi la soluzione era semplicemente ha preferito un’altra, magari una meno complicata di te.
Che poi t’hanno pure detto che t’assomiglia.
Che c’ha i capelli come hai pensato di farteli per “cambiare drasticamente”.
Che poi vaffanculo, quanto meno dillo anziché sparire nel nulla. Alla fine tra noi c’era stato un niente, c’era niente, bastava avare le palle (ma quando mai la gente ha le palle a ‘sto mondo!?).
Che poi vaffanculo, era già un giorno di merda e mi sta passando la risata isterica e lo scherzare sul fatto che o ho un potere di far accoppiare la gente con altri e non con me o che rischio sempre di finire a fare l’amante.
Che poi vaffanculo a me, che sono pure stata male, ho distrutto il poco di autostima che avevo messo su giorno dopo giorno. A me che ora mi sta passando la risata, vorrei la non so più quale sigaretta, ma sicuramente più della decima, che vorrei un chilo di cioccolato, non dovermi alzare domani, un fottuto abbraccio e pensare che magari non è sempre colpa mia che le cose vanno bene ad altri e non a me.
Che poi vaffanculo, nella mia altra vita devo essere stata proprio una persona di merda per non avere una fortuna manco a pagarla ora.
Che poi vaffanculo, solo vaffanculo.

domenica 15 novembre 2015

E' raro che io metta foto su questo blog, alle foto preferisco le parole. Le parole sono parte di me, quelle scritte sono la cosa che so gestire meglio, so farle ballare come voglio io, nonostante a volte faccio fatica a farlo, perché con la scrittura ho questo rapporto complicato che, alla fine, è solo una prova del rapporto complicato che ho con me stessa.
A volte parlo della mia vita, quella oggettiva, quella intesa come quella in cui sono immersa, quella che è il contorno della mia vita interiore, ma, appunto la lascio sempre come un contorno di quello che mi succede dentro e, a volte, con gli altri, ma stasera è una sera strana. Sono tornata a casa, a casa nuova di mamma, e c'era il camino acceso che scoppiettava ed io ho un attrazione profonda per il fuoco che è paragonabile solo alla passione che ho per l'acqua, due cose, a modo loro, ugualmente distruttive e questa cosa mi lascia sempre interdetta, ma questa è un'altra storia. Stasera sono entrata a casa, mi sono seduta vicino al fuoco a guardarlo bruciare la legna,a  sentirlo scoppiettare, a lasciare che scaldasse in modo innaturale la mia faccia. Era così bello che non ho potuto fare a meno di alzarmi e mettermi a fare qualche foto (sì, ho dovuto fare un po' la teenager fotografa che prende pure un libro da mettere nella foto, ma giuro che il libro lo sto (ri)leggendo davvero) per ricordarmi, nei momenti no, che la bellezza sta nelle piccole cose.


E questo introduce per forza la seconda foto. Ero seduta in terra, con la faccia calda calda, così a bollore credo di non averla mai sentita neanche quando divento rossissima per l'imbarazzo e lì sì che la sento bruciare, ma a confronto era nulla dello stare lì vicina. Seduta a terra, si è avvicinato quel vecchietto che ho in casa da sempre, con cui bisticcio sempre perché a me non da mai retta, se esce con me fa il cazzo che vuole e porta in giro me, ma forse è stato l'unico ad essermi sempre stato vicino. Quando ero più piccola, piangevo seduta a terra, lui veniva e si metteva vicino a me ed era l'unica cosa, in tutto il marcio che cercava di soffocarmi, che mi faceva sorridere. Stasera ha allungato la sua zampa sul mio ginocchio, tra un avvicinarsi e uno scappare quando il fuoco scoppiettava, come a dire "è pericoloso, spostati".

sabato 14 novembre 2015

E' solo un brutto sogno, un delirio nel bel mezzo di un attacco di panico.

Ho scritto quattro pagine di parole confuse, sia per la grafia sia perché tra loro cozzavano e stridevano il chiaro segno del delirio che stavo vivendo. Ho scritto qualcosa di vagamente più sensato su Facebook, cosa che non faccio mai, ma era solo una decima parte di quello che pensavo. Ora mi prendo un attimo per me, mi prendo un secondo per far risuonare in casa il rumore della tastiera sopra le voci che arrivano dalla tv, sopra i miei pensieri, sopra le lacrime. Prendo un momento per me, prima di rientrare nella mia vita, cercare di fare tutto quello che devo fare cercando di non essere sconvolta.
Ieri sera, mia madre è entrata in camera mia, mentre io ero tranquillamente a guardare un film con Ryan Gosling bevendo tè nel ritratto più vero della mia quotidianità, ha solo detto "c'è stato un altro attentato a Parigi", ma io vado a scoppio ritardato, ho pensato "e allora?" come se fosse qualcosa di astratto, qualcosa di innocuo successo pure lontano. Credo di averci messo due minuti a realizzare perché venisse a dirmelo prima che potessi leggerlo sui Social Network: io ho una cugina a Parigi. Ho una cugina che ha un compagno che conosco da sempre e una bambina di quasi due anni bella come il sole dopo che ha piovuto. Ho sangue del mio sangue a Parigi. E' stato il panico. Una notte di sogni confusi, di video in cui vedevo le loro facce, di notizie sul giornale, di chiamate e di messaggi che, grazie a non so chi, non sono mai arrivati ma sono rimasti deliri onirici di panico. Mi sono svegliata, non c'erano messaggi da nessuno, nessuno che mi dicesse "stanno bene", "non erano tornati a Parigi, quindi tranquilla" o che, ancora meglio" , mi dicessero "non è successo nulla, te lo sei sognato". Ho preso il telefono e ho scritto a mio padre che, imbranato com'è, ha cercato di tranquillizzarmi senza riuscirci, infondo a sua nipote ci pensava anche lui. Ha chiamato lui mia zia, io a casa da sola, caffèlatte davanti che non sono riuscita a bere pensavo solo "fai che mi ricordi male la zona in cui abita, fai che ti richiami per dirti 'nel tempo che non ha parlato con gli zii, non è ripartita, sono ancora qua, non erano a Parigi, stanno bene' e io possa tirare un sospiro di sollievo". Invece no, la chiamata è arrivata, stanno bene, dormivano, ma erano a Parigi a due passi dalle zone dell'attentato, di nuovo come quando è successo di Charlie Hebdo. Stanno bene. Stanno bene. Stanno bene. Ho pianto, ho pianto come una fontana appena ho messo giù, mi tremavano le mani, sono rimasta due minuti a fissare la porta di casa pensando solo "stanno bene" e mi sono dimenticata tutta la rabbia degli ultimi mesi per il suo comportamento, per aver tagliato fuori anche me dalla sua vita, per non sapere come sta crescendo quella piccolina, per non poter parlare con quella cugina a cui non ho mai chiaramente detto "ti voglio bene", con cui non ho avuto modo di finire di cercare di costruire un legame per rimediare ai nostri genitori, perché ha chiuso la porta prima. Ho sentito la rabbia sparire, riuscivo solo a sentire le lacrime scendere e pensare "stanno bene".
Questo è il terrore. Quello che ti paralizza, che ti impedisce di parlare, di scrivere, di pensare. Ora è scemato e riesco a pensare alla notizia, a concentrarmi sul resto, su luoghi pubblici, di svago colpiti e riempiti di sangue e cadaveri. Al Le Batclan. Ad un concerto. Riesco solo a pensare, come ci siamo dette con le amiche, "poteva succedere a noi, a qualcuno che conoscevamo", perché noi ai concerti ci andiamo, sappiamo cos'è la gioia di stare sotto un palco, di sentire una band che ti piace dal vivo, sappiamo cosa si vive e non riusciamo a pensare che qualcuno ci possa morire così. Io non riesco a pensarci, ma allo stesso tempo non riesco a non pensare ad una me francese che si è fatta mezza Francia per andare a vedere un concerto, per cui magari ha risparmiato giorno dopo giorno, un concerto che magari aspetta da mesi, concerto a cui magari è andata con delle amiche che non vedeva da un po' e invece, anziché passare una serata di gioia, di sudore e musica, si ritrova immersa in un incubo impensabile fatto di sangue e morti; un incubo in cui se scampi alla morte, non sei comunque salvo davvero.
E poi penso allo stadio, alla gente dentro, alle famiglie che potevano essere a vedere un amichevole di calcio con i figli, al ristorante, al caffè, alla strada. Penso e per una volta nella mia vita mi sento toccata da un attacco terroristico (con terroristico nel senso proprio di "seminare il terrore"), perché in quella zona c'è chi conosco, a Parigi c'è parte della mia famiglia, ma ci sono ragazze in vacanza che ho incontrato a dei concerti, c'è chi era al Liceo dove andavo io e ora s'è trasferita da poco per lavorarci, ma oltre a questo c'è il terrore per essere colpiti nella normalità, in un momento in cui potevano davvero colpire me o qualcuno che conosco.
Non parlo di odio, non parlo di rispondere al fuoco con il fuoco, di sterminare una razza, un credo, un gruppo, le mie idee su ISIS e compagnia cantante, ora come ora non c'entrano, sono solo parte di un altro discorso che potrei pensare come affine a questo, ma io ho solo ventuno anni e le mie idee sono solo quelle di una ragazza che non si sente né matura né pienamente informata per fare determinati discorsi, ma comunque io questo divagare di odio generalizzato non lo concepisco, nonostante ho rischiato di piangere delle vittime - e Cristo, io sarei legittimata a pensare attraverso l'odio!. Io parlo di schifo. Schifo per l'umanità, per chi organizza attentati e colpisce luoghi pubblici, chi bombarda zone ammazzando indiscriminatamente criminali, persone per bene, uomini, donne e bambini; parlo di schifo per chi risponde all'odio con altro odio, chi balla sui cadaveri per fare propaganda politica, per chi beffa i sopravvissuti, i feriti, chi ha perso qualcuno o ha provato paura per qualcuno strumentalizzando una tragedia. Parlo di schifo verso un'umanità che non comprendo.
"Stanno bene". Egoisticamente, solo questo.
"Potevo esserci io, poteva esserci una delle mie amiche". Il terrore, lo sgomento, la mancanza di parole.

mercoledì 11 novembre 2015

Pensavo che la mia vita avesse preso una svolta migliore, invece ha solo voluto darmi l'ennesimo insegnamento, per non dire che mi ha voluto spaccare le gambe un'altra volta.
Ho cambiato casa, camera mia sta prendendo forma un po' alla volta; per ora, l'unica cosa veramente apposto è il mio angolo della pace: la libreria e il porta cd, che da un angolo mi tengono compagnia.
Da quando mi sono trasferita, ho già perso il conto dei giorni, ma ho già fatto un paio di nottate sveglia a bagnare il cuscino di lacrime: lui ha preso un'altra strada senza neanche salutare, non ho voglia di stare qua a scrivere - a ricordare - com'è andata, ma è andata, finita, senza saluti o spiegazioni. Forse avrei dovuto chiedere almeno le spiegazioni, come dicono tutte, ma sono quasi convinta che qualsiasi cosa che potrebbe dire, non mi aiuterebbe di certo a stare meglio.
Sono stati i dieci giorni più lunghi della mia vita, pieni di speranze utopiche di sentire di nuovo bussare alla porta della mia vita, ma alla fine che senso ha sperare quando è chiaro che non succederà? Non lo so, ma ho sperato e spero ancora. Ero riuscita a smettere di fumare, ma ho ripreso e quando sono fuori casa, fumo anche troppo, ho comprato il pacchetto lunedì mattina e martedì pomeriggio era già finito. Hanno detto che riuscirò a rismettere quando mi dimenticherò di lui, ma fotte una sega, io non volevo riprendere, ma senza non sapevo stare. E' proprio vero che ad ogni mancanza corrisponde una dipendenza.
Sono stati dieci giorni infami, ho smesso di farmi sentire con le persone e so che dovrò dare delle spiegazioni ad un paio di amiche, dovrò buttar via il mio orgoglio e chiedere scusa, spiegare perché mi sono isolata, se non per una fuga a Firenze, sperando che poi capiscano, ricordandosi che io sono così, se sto male voglio stare il più sola possibile.
Vabbe, non fa poi così tutto schifo, lo devo ammettere. Sono andata a Firenze e sono finalmente riuscita a rivedermi con delle amiche, tutte insieme come non riuscivamo a fare da un po' ed è stato un tocca sana; staccare la spina, godermi quella città che tanto amo, rimpinzarmi di schiacciata con dentro la porchetta, ridere di gusto con le amiche che vedi meno, ma che sono sempre al tuo fianco qualsiasi cosa succeda era quello di cui avevo bisogno quel giorno. A Pisa va sempre meglio, oramai l'università non mi fa più così paura, forse gli esami quelli un po' sì, ma questa è un'altra storia; oramai mi muovo da sola, vado a lezione da sola, a volte è solo un "sola" momentaneo perché qualcuno degli altri arriva sempre, ma fosse anche un sola duraturo per tutta la durata della lezione non sarebbe così terribile. "Gli altri" sono quel gruppo di persone con cui passo più tempo, con cui sta nascendo forse un'amicizia in senso vero e non solo in senso scolastico; parlo di me e loro parlano di loro, ogni tanto viene fuori qualcos'altro ed è buffo, siamo tutti completamente diversi. Siamo quasi tutte ragazze e due ragazzi, mi viene strano relazionarmi con tutti, ma ci sto riuscendo, con chi più con chi meno.
Ho ripreso a scrivere e non parlo dei miei pensieri o di questi post che mi servono per mettere in ordine tutto, ma parlo delle storie, quelle che avevo smettere di scrivere anni fa. Ci sto provando, ho un quadernino di Tiger in borsa, ha una copertina con un disegno trashissimo e ogni tanto scrivo lì sopra, anche in mezzo alla gente, se ho ispirazioni di scrivere perché sprecarla solo perché qualcuno mi può veder scrivere?
Avrei tante altre cose da scrivere, tanti pensieri da rimettere in ordine, tante cose che non mi sono andate giù e tante altre che mi frullano per la testa, ma forse non sono ancora pronta a metterle nero su bianco facendole diventare da cose astratte a cose reali. Forse non è il momento di lasciarle uscire, le lascio ancora frullare nella mia testa, a farmi pensare troppo, a prendere una forma migliore dei miei tristi pensieri.
Avrei tanta voglia di andare in spiaggia, di un abbraccio, di una sigaretta. E di rivedere i suoi occhi, di sentire le sue labbra, qua lo posso scrivere.