sabato 14 novembre 2015

E' solo un brutto sogno, un delirio nel bel mezzo di un attacco di panico.

Ho scritto quattro pagine di parole confuse, sia per la grafia sia perché tra loro cozzavano e stridevano il chiaro segno del delirio che stavo vivendo. Ho scritto qualcosa di vagamente più sensato su Facebook, cosa che non faccio mai, ma era solo una decima parte di quello che pensavo. Ora mi prendo un attimo per me, mi prendo un secondo per far risuonare in casa il rumore della tastiera sopra le voci che arrivano dalla tv, sopra i miei pensieri, sopra le lacrime. Prendo un momento per me, prima di rientrare nella mia vita, cercare di fare tutto quello che devo fare cercando di non essere sconvolta.
Ieri sera, mia madre è entrata in camera mia, mentre io ero tranquillamente a guardare un film con Ryan Gosling bevendo tè nel ritratto più vero della mia quotidianità, ha solo detto "c'è stato un altro attentato a Parigi", ma io vado a scoppio ritardato, ho pensato "e allora?" come se fosse qualcosa di astratto, qualcosa di innocuo successo pure lontano. Credo di averci messo due minuti a realizzare perché venisse a dirmelo prima che potessi leggerlo sui Social Network: io ho una cugina a Parigi. Ho una cugina che ha un compagno che conosco da sempre e una bambina di quasi due anni bella come il sole dopo che ha piovuto. Ho sangue del mio sangue a Parigi. E' stato il panico. Una notte di sogni confusi, di video in cui vedevo le loro facce, di notizie sul giornale, di chiamate e di messaggi che, grazie a non so chi, non sono mai arrivati ma sono rimasti deliri onirici di panico. Mi sono svegliata, non c'erano messaggi da nessuno, nessuno che mi dicesse "stanno bene", "non erano tornati a Parigi, quindi tranquilla" o che, ancora meglio" , mi dicessero "non è successo nulla, te lo sei sognato". Ho preso il telefono e ho scritto a mio padre che, imbranato com'è, ha cercato di tranquillizzarmi senza riuscirci, infondo a sua nipote ci pensava anche lui. Ha chiamato lui mia zia, io a casa da sola, caffèlatte davanti che non sono riuscita a bere pensavo solo "fai che mi ricordi male la zona in cui abita, fai che ti richiami per dirti 'nel tempo che non ha parlato con gli zii, non è ripartita, sono ancora qua, non erano a Parigi, stanno bene' e io possa tirare un sospiro di sollievo". Invece no, la chiamata è arrivata, stanno bene, dormivano, ma erano a Parigi a due passi dalle zone dell'attentato, di nuovo come quando è successo di Charlie Hebdo. Stanno bene. Stanno bene. Stanno bene. Ho pianto, ho pianto come una fontana appena ho messo giù, mi tremavano le mani, sono rimasta due minuti a fissare la porta di casa pensando solo "stanno bene" e mi sono dimenticata tutta la rabbia degli ultimi mesi per il suo comportamento, per aver tagliato fuori anche me dalla sua vita, per non sapere come sta crescendo quella piccolina, per non poter parlare con quella cugina a cui non ho mai chiaramente detto "ti voglio bene", con cui non ho avuto modo di finire di cercare di costruire un legame per rimediare ai nostri genitori, perché ha chiuso la porta prima. Ho sentito la rabbia sparire, riuscivo solo a sentire le lacrime scendere e pensare "stanno bene".
Questo è il terrore. Quello che ti paralizza, che ti impedisce di parlare, di scrivere, di pensare. Ora è scemato e riesco a pensare alla notizia, a concentrarmi sul resto, su luoghi pubblici, di svago colpiti e riempiti di sangue e cadaveri. Al Le Batclan. Ad un concerto. Riesco solo a pensare, come ci siamo dette con le amiche, "poteva succedere a noi, a qualcuno che conoscevamo", perché noi ai concerti ci andiamo, sappiamo cos'è la gioia di stare sotto un palco, di sentire una band che ti piace dal vivo, sappiamo cosa si vive e non riusciamo a pensare che qualcuno ci possa morire così. Io non riesco a pensarci, ma allo stesso tempo non riesco a non pensare ad una me francese che si è fatta mezza Francia per andare a vedere un concerto, per cui magari ha risparmiato giorno dopo giorno, un concerto che magari aspetta da mesi, concerto a cui magari è andata con delle amiche che non vedeva da un po' e invece, anziché passare una serata di gioia, di sudore e musica, si ritrova immersa in un incubo impensabile fatto di sangue e morti; un incubo in cui se scampi alla morte, non sei comunque salvo davvero.
E poi penso allo stadio, alla gente dentro, alle famiglie che potevano essere a vedere un amichevole di calcio con i figli, al ristorante, al caffè, alla strada. Penso e per una volta nella mia vita mi sento toccata da un attacco terroristico (con terroristico nel senso proprio di "seminare il terrore"), perché in quella zona c'è chi conosco, a Parigi c'è parte della mia famiglia, ma ci sono ragazze in vacanza che ho incontrato a dei concerti, c'è chi era al Liceo dove andavo io e ora s'è trasferita da poco per lavorarci, ma oltre a questo c'è il terrore per essere colpiti nella normalità, in un momento in cui potevano davvero colpire me o qualcuno che conosco.
Non parlo di odio, non parlo di rispondere al fuoco con il fuoco, di sterminare una razza, un credo, un gruppo, le mie idee su ISIS e compagnia cantante, ora come ora non c'entrano, sono solo parte di un altro discorso che potrei pensare come affine a questo, ma io ho solo ventuno anni e le mie idee sono solo quelle di una ragazza che non si sente né matura né pienamente informata per fare determinati discorsi, ma comunque io questo divagare di odio generalizzato non lo concepisco, nonostante ho rischiato di piangere delle vittime - e Cristo, io sarei legittimata a pensare attraverso l'odio!. Io parlo di schifo. Schifo per l'umanità, per chi organizza attentati e colpisce luoghi pubblici, chi bombarda zone ammazzando indiscriminatamente criminali, persone per bene, uomini, donne e bambini; parlo di schifo per chi risponde all'odio con altro odio, chi balla sui cadaveri per fare propaganda politica, per chi beffa i sopravvissuti, i feriti, chi ha perso qualcuno o ha provato paura per qualcuno strumentalizzando una tragedia. Parlo di schifo verso un'umanità che non comprendo.
"Stanno bene". Egoisticamente, solo questo.
"Potevo esserci io, poteva esserci una delle mie amiche". Il terrore, lo sgomento, la mancanza di parole.

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