giovedì 31 dicembre 2015

Ci arrivo col sorriso, perché io ce l'ho fatta.

Non ho tempo di fare un riassunto di questo duemilaquindici, sono in ritardo, devo finire di prepararmi e preparare le ultime cose prima di prendere l'ennesimo treno di quest'anno per andare a festeggiare.
E' stato un anno duro, durissimo, maturità, nonna che ha rischiato di lasciarmi, io che tento di mettermi in gioco e mi spacco la faccia sull'asfalto, litigate, persone che mi hanno visto sparire per affrontare i miei problemi e poi tornare, io che sfido me stessa, le mie paure, le mie debolezze, le mie ansie e i miei mille demoni. Io, mamma e papà che diciamo addio all'unica cosa, la vecchia casa, che ci teneva uniti a tutti quei casini, a quei piatti volati, alle ferite, ai pianti, agli urli di una vita che ora sembra da tutti e tre così lontana: io ne porto i segni, ma riesco a passarci sopra senza farle diventare di nuovo ferite aperte, mamma è più tranquilla, papà è sollevato come se gli avessero tolto un peso.
Io sono sulla strada dei miei obbiettivi, ora so che dovrò cadere tante volte, ma che, sia da sola sia con le persone che mi sono accanto, sono in grado di rialzarmi, che nessuno mi distrarrà dal mio obbiettivo.
Alla fine di quest'anno, ho ginocchia sbucciate, qualche cicatrice in più, ma ci arrivo col sorriso, perché io ce l'ho fatta.
Buon fine anno, brindate, sorridete, ridete, vivete fino all'ultimo secondo.
Buon 2016, sia migliore.

domenica 27 dicembre 2015

P. Sherman,42 Wallaby Way - Sydney.

Quando uscì "Alla ricerca di Nemo" al cinema i miei genitori erano già in quella fase che posso tranquillamente definire "guerra" senza essere esagerata e, quando andai a vederlo al cinema, era proprio a causa di un loro litigio. L'ennesimo, fatto dei soliti urli, della solita roba rotta, il solito fatto di mamma che esce di casa, io che piango, papà che cerca di farmi capire che né lui né mamma sono dei mostri, di calmarmi per farmi dormire quella notte; papà che il giorno dopo mi porta al cinema prima di andare a casa dei miei zii a parlare con mamma mentre io me ne sto al piano di sopra coi miei nonni, ancora vivi, ancora in gamba, ancora in grado di tenermi su in mezzo a tutto quello schifo.
Al cinema c'era "Alla ricerca di Nemo" e c'ero io con papà. Io mi sentivo tanto Nemo, quel pesciolino che va a toccare il motoschifo e finisce per essere catturato mentre in Marlin ci rivedevo mio padre. Mio padre che, a suo modo, stava cercando di salvarmi, come Marlin con Nemo. C'eravamo solo noi quel giorno, non c'era mamma, certo era viva, ma non c'era. Certo, questa sensazione di similitudine l'ho ben compresa un paio d'anni dopo (e, quindi, un paio di visioni dopo) e forse è proprio per questa sensazione, ma anche per quel piccolo ricordo felice in mezzo a tutto quello schifo, che "Alla ricerca di Nemo" è uno dei miei cartoni animati preferiti.
Stasera è in tv, ma la tv è occupata e allora io l'ho messo a caricare in streaming, in una giornata di afonia e tristezza, per rivedermelo da sola, perché ora, circa dodici anni dopo, sono abbastanza forte per affrontare tutti i miei cattivi ricordi.

venerdì 25 dicembre 2015

Coriandoli a Natale.

Avevo iniziato a scrivere, ma erano parole troppo confuse, così confuse che è venuto mal di testa persino a me.
Io odio il Natale, perché mi mette una tristezza così enorme addosso che fingermi felice e sorridente è uno sforzo fisico non indifferente. Mi fa quest'effetto perché è passato così tanto tempo dall'ultima volta che ho sentito il suo spirito che neanche ricordo cosa si prova. Mi fa quest'effetto perché ho il ricordo di mio nonno che viene portato via proprio nei giorni di Natale e come glielo spieghi ad una bambina di cinque/sei anni che suo nonno sta correndo in ospedale in sospeso tra la vita e la morte proprio durante il periodo più magico dell'anno? E come le spieghi, alla stessa bambina, qualche anno dopo che mentre tutti i suoi amichetti passano il Natale in famiglia, lei di famiglia ne vede solo una parte o se vede entrambi le parti, le vede senza uno dei genitori perché odia l'altra famiglia? Come le spieghi, alla stessa identica bambina, parecchi anni dopo che il Natale per lei è solo un "vigilia con uno, Natale con l'altro, Santo Stefano di nuovo con uno a fare il giro dei parenti"? E quella bambina sono io, anche se oramai bambina non lo sono più, ma certe ferite a Natale hanno la strana capacità di farsi sentire anche quando non le senti più da molto tempo. Sono io che sotto Natale devo buttare giù bocconi amari, fingendo che non mi faccia nessun effetto passare da una casa all'altra e rispondere alle stesse identiche domande per sapere cos'è stato fatto con e dall'altra parte. Sono io che arrivo dai miei zii e sento l'enorme mancanza dei miei nonni, di mia nonna in cucina, di mio nonno in poltrona, di quando ero bambina e Natale lo facevamo su da loro, quando quella casa era piena di gente ed io non ero in grado di capire che quella era solo una parte della mia famiglia... era bella quell'inconsapevolezza ed erano belli loro, ero bella io quando avevo a che fare con loro, perché ero felice. Felice da fare schifo.
Quest'anno siamo tutti più a pezzi che mai, almeno da una parte di famiglia, e ognuno l'ha dimostrato a modo suo, mio zio con frasi cattive, mio babbo con una frase a brucia pelo che andava letta tra le righe, mia zia nel dire "se ci fosse stata anche lei, avrebbe vinto la zuppa", mio cugino nel consegnare i regali da parte di sua sorella. E io? Io fingo, faccio finta di niente e mi chiedo se qualcuno abbia notato qualcosa nel mio non togliere gli occhi di dosso da quello scricciolo di due anni nel poco tempo che ci è concesso di vederla, nella mia gioia di sapere che le ho regalato la bambola-peluches della Principessa Disney che le piace che poi è l'unica che io ho mai apprezzato, se qualcuno l'ha vista quella mia gioia di trovarmi davanti mia cugina e quella mia voglia matta di essere di nuovo una bambina solare che abbracciava tutti, perché avrei voluto correre da lei, abbracciarla e iniziare a vomitare tutto quello che mi trattengo dallo scrivere, per non rischiare di mandarlo come contenuto di una mail (che poi che male ci sarebbe, non lo so), che poi è la stessa gioia con cui, senza pregiudizi, ho guardato anche suo marito pensando "ma io glielo vorrei dire che mi piacerebbe davvero essere intelligente e acculturata come lui". Mi domando se qualcuno ha visto qualcosa quando quello scricciolo mi ha avvicinato la guancia per farsi dare un bacino, guardandomi scettica perché è timida e non mi riconosce, non si fida, dopo tutti questi mesi, e io avevo il cuore che esplodeva perché, nonostante questo, lei si è fatta dare un bacio.
Quest'anno il Natale mi pesa più che mai, domani è un altro giorno di parenti, di persone che non mi vedono se non una volta all'anno, di una zia che amo e che è l'ultimo ponte con la mia infanzia felice e beata. La amo, ma so che mi chiederà cosa faccio nella vita, mi dirà che sono sempre più bella (ma dove zia? Sei sicura di vedermi con gli occhi e non col cuore?), che assomiglio a mia mamma, "ma ti ricordi...?" e soprattutto "e il ragazzo? Ricordati che m'hai promesso di dirmelo quando lo avrai trovato" e io vorrei dirle "Zia, lascia stare. Vuoi sapere com'è andata la mia vita? Ho sempre guardato gli altri vivere, quest'anno ho rischiato due volte, una m'ha un po' ferito, ma è passata, ora ci rido su. L'altra volta... l'altra volta è stata un pugno nello stomaco, una di quelle dove fingi di riderci su per non ammettere quanti danni ti ha fatto, dove fingi che ti è passata, ma non ti è passata proprio un cazzo, ma soprattutto dove nascondi al mondo intero quanta maledetta speranza avessi risposto in due occhi grigi e in due labbra che ti sapevano togliere il fiato più di una corsa e si sa che io non ho fiato per correre", ma anziché dire tutto questo, dirai solo "Zia no, te lo dirò quando ci sarà" mentre sarai tutta rossa in viso.
E niente, io ho ancora fame, tra qualche ora mi sa che mi concedo di uscire con le amiche, magari con lo sciarpone nuovo, su cui non lascerò impresso l'odore delle sigarette, perché ho una tosse così brutta che se fumassi potrei soffocare in un colpo di tosse in tempo zero, e ho ricevuto gli auguri da gente improbabile, ma meno che da chi speravo. Vado a cercare la gioia nelle lasagne, forse è meglio.

sabato 19 dicembre 2015

Oggi ho fatto tappa dalla parrucchiera ed i miei capelli hanno subito l'ennesimo taglio drastico. Infatti, la testa mezza rasata non mi bastava più, quel ciuffo che negli anni ha variato la lunghezza mi iniziava a stare stretto e così, presa da un coraggio che forse rimpiangerò a breve, ho parlato con la mia parrucchiera, abbiamo sistemato il taglio della foto e le ho lasciato carta bianca con macchinetta e forbici: "se pensi che vada fatto più corto, fai pure". Come ogni volta, ho visto cadere una quantità di capelli pari ad un cucciolo di volpino, ma sono uscita ancora una volta sorridendo, e anche ora, nonostante qualcuno mi abbia detto "stavi meglio prima" e "mi piacevano di più prima", mi guardo allo specchio, devo abituarmi, ma mi vedo okay.
Rinunciare a quel ciuffo, a quel qualcosa che frapponevo tra me e il mondo, lasciando la faccia scoperta (totalmente scoperta!) è, per me, una dichiarazione di guerra alle mie paure, è un giocare letteralmente a viso scoperto con tutti i miei punti deboli, è un prepararmi per combattere contro me stessa e nessuno l'ha capito. Peccato.

giovedì 17 dicembre 2015

E niente, m’ha suonato per strada, l’ho intravisto (manca l’assoluta certezza che fosse lui, ma penso proprio di non sbagliare) e sono tornata indietro di un mese, con lo stomaco sotto sopra, l’essere divisa tra il volergli spaccare tutti i denti  ed il volerlo (ri)baciare, tra il volergli urlare in faccia che è senza palle, perché poteva dirlo che preferiva un’altra ed il voler sussurrare “ma perché?”, ma soprattutto sono tornata indietro di un mese a quando avevo saputo di loro due, ma avevo ancora l’utopica speranza che mi scrivesse.
Poi perché devo avere questa falsa speranza? Perché, cazzo, ogni volta che si illumina il display del cellulare sto sperando che sia lui? Cosa ci guadagnerei, se non gli insulti delle amiche (e dell’amico-fratello, soprattutto!) se gli rispondessi e il rimpianto di non averlo fatto se io non gli rispondessi?
Cazzo, ma non poteva suonarmi un vecchio come succede a tutte? No, a me lo stronzo che mi ha rovinato gli ultimi mesi. Sempre e solo gioie.

mercoledì 16 dicembre 2015

Venerdì finisco anche l'ultimo corso in Università e non so se mi mancherà di più vivere più in treno che a casa (grazie Trenitalia per le fantastiche dormite che m'hai concesso di fare da settembre ad ora!), andare a Pisa, stare in un posto che non mi soffoca, il caffè con la panna post lezione, le amiche (le posso iniziare a chiamare così?) o quello stupido biondo che passa più tempo a giocare a Clash Of Clans che a stare attento.
Saranno le frasi delle altre, sarà che a passare tanto tempo con una persona finisci per vedere piccoli frammenti dell'io che sta sotto la prima impressione che dà una persona, sarà che con lui mi ci sono fatta delle belle risate, delle belle chiacchierate e ho passato dei bei momenti di normalità, sarà pure tante altre piccole cose, ma io davvero ho paura che sentirò la sua mancanza e non è una bella cosa. Non è neanche lontanamente una bella cosa.
("Preferisco soffrire tanto che non provare niente".)

lunedì 14 dicembre 2015

A bite of silly happiness #2

Oggi è stata una giornata buona: sono andata a Firenze, si è riunito il gruppo, ho incontrato Mengoni che è una persona adorabile (anche se sono rimasta spechless nel momento in cui l'ho avuto davanti), ho passato il tempo ridendo con un compagno di corso che, prima o poi, potrei considerare un amico, in treno ho incontrato un amico fraterno con cui ho fatto la prima e unica figura di merda della giornata (mai che io stia senza farne una!) e sono stata bene, ma bene davvero. Ora sorrido, sono stanca, ho sonno, ho il divano-letto da aprire e zero voglia di farlo, ma oggi sono felice.
(Domani si vedrà).

domenica 13 dicembre 2015

Ieri sono finita in un bar con gente che piangeva a turno per poi finire la nottata e iniziare il giorno bevendo e ballando da sola, con un'amica, con un tizio sconosciuto come quei bambini che ballano i lenti facendo solo una serie infinita di giravolte per poi guardarsi per poi ridere, ma ridere come per tante altre cose, come scene senza senso e incontri inaspettati, ma la cosa più importante è che sono tornata a casa all'alba sentendomi viva.
Oggi, però, mi sento completamente svuotata.

lunedì 30 novembre 2015

Sono tornata ad andare a fase alterne, a non continuare una storia iniziata, a toccare il cielo e l'attimo dopo il fondo, a sentire le mani tremare per l'ansia e, sinceramente, tutto questo non m'era mancato.
Da lui mi sto rialzando, a volte inciampo e rischio di cadere, ma passo dopo passo inizio a pensarlo sempre meno, ma forse è solo che non l'ho mai più incontrato da nessuna parte da quella volta del "quello assomig... ah, no, è lui...", perché se lo incontrassi non sarebbe un inciampo, ma una caduta al suolo dove lascerei tutti i denti. Il fatto che mi sto rialzando lo capisco dal fatto che ho chiesto scusa per essere sparita con le amiche, ma la cosa bella di conoscere una persona da praticamente vent'anni è che quando le dici i motivi per cui sei sparita ti dà della "disgraziata" perché sbagli a sparire, anziché chiedere aiuto per stare bene (e se non lo sa lei che mi ha visto farlo mentre la mia vita crollava sotto urli e piatti lanciati...) e se io chiedo scusa, torno a farmi viva è solo un segno che sto meglio.
Oggi ho pensato a nonno, in treno mentre tornavo a casa da Pisa e un'amica era scesa alla sua fermata, pensavo a quella volta che mi ha disinfettato l'ennesima sbucciatura, che m'ero fatta correndo sul terreno dissestato del giardino volando a terra, usando quel disinfettante verde che non bruciava. Ci ripensavo pensando a quanto vorrei che fosse qui e potesse farlo anche ora, con le ferite emotivi, ma non so se sarebbe possibile... o forse sì. Alla fine non mi sono mai sfogata per le cose che mi facevano male quando lui era ancora in vita, ma riusciva sempre a strapparmi un sorriso, anche quando era oramai prossimo a non riconoscermi più e ad andarsene poco dopo, quindi anche senza che gli dicessi "nonno c'è stato questo ragazzo che m'ha fatto nascere delle speranze, che mi ha fatto interessare a lui. Un ragazzo che ho baciato e lo ribacerei anche ora, nonostante sia andata a merda e si sia pure comportato da emerita testa di cazzo, e con due occhi azzurri che mi hanno fatto tremare le gambe, ma non belli come i tuoi eh nonno, però erano belli davvero e niente. E' andata male e io non so cos'ho di tanto sbagliato da vedere tutti felici con qualcuno, mentre io resto la solita del "sto bene da sola", che mica è tanto vero" lui saprebbe strapparmi un sorriso e io starei meglio. E ora ho gli occhi lucidi, ripenso all'always scritto sulla mia spalla e penso che alla fine lui è sempre qua, che m'ha detto di andare e sorridere, quindi devo farlo anche senza di lui.
Dio, oggi era un giorno così okay, così bello, perché cazzo il cielo né grigio né azzurro di oggi pomeriggio mi ha fatto ripensare alla prima volta che ho visto i suoi occhi, quando s'è tolto gli occhiali da sole!? Perché mi ritorna in mente con niente? Dio.
E forse è meglio che vado a ricercare le nozioni su "Avan-garde and Kitsch" di Greenberg, anziché stare a pensare.

sabato 28 novembre 2015

giovedì 26 novembre 2015

L'esame della teoria per la patente, a cui sono risultata "non idonea" per una risposta sbagliata di troppo, mi ha fatto capire che ultimamente si può riassumere tutto come "al massimo potevo fare quattro sbagli, ma io ne ho fatti accidentalmente cinque".
Non solo la patente, ma un po' tutto.

mercoledì 25 novembre 2015

Ho consumato 21 grammi di felicità per uso personale.

Stamani alle 6:30, in stazione, avevo avuto il presagio che sarebbe stata una giornata di merda, che mi sarebbe pesato tutto e invece ora sono sul treno di ritorno da Pisa e sorrido. Forse hanno ragione quando mi dicono che sono troppo pessimista, che vedo tutto in maniera troppo catastrofica o forse sono io che sto davvero imparando a vedere le cose belle in mezzo al marciume generale. Stamani sono arrivata prestissimo a Pisa, così mi sono andata a godere la luce d'orata del sole sui monumenti in una Piazza dei Miracoli ancora addormentata, senza turisti accalcati a fare la foto reggendo la Torre. Mi sono goduta quello spettacolo beandomene come se non ci fosse un domani e quello spettacolo ha iniziato a raddrizzare la mia giornata. Mi sono concessa di ridere fino a piangere con un compagno dopo che un vu cumprà stralunato, tra scene assurde, ha sancito che io e lui tra due anni ci sposeremo. Mi sono concessa di ridere, di sorridere, di bearmi in cose belle perché io me lo merito. La vita è bella, nonostante tutto.

martedì 24 novembre 2015

Ho fatto l’abbonamento alla sfiga, pensando fosse quello per la pizzeria #1.

Ho un’unica vera dipendenza: i concerti. Forse è anche l’unica cosa che riesce a combattere la mia pigrizia facendomi correre a prendere i biglietti, correre per le prime file, insomma, per i concerti farei davvero i salti mortali, perché, dai, io sono una da divano mica una da muoversi, ma i concerti!
Niente, dopo giorni che ci rimugino su vado a vedere i prezzi per i The Cure, giusto per farsi un’idea, e proporlo ad E. che, pure lei, li ama e ama i concerti, insomma sarebbe stata una proposta da brava amica. I biglietti che costano meno costa sui settanta e passa euro... ma direi anche di no, sono troppo poveraccia nella vita per permettermi un biglietto in piccionaia da settanta e passa euro più il viaggio e il dormire. Insomma, ciao The Cure.
Sconsolata, chiudo Ticketone e capito su Facebook, chi è lo stronzo che esulta per il biglietto preso? Il ragazzo-uomo che ha la fidanzata cornuta che non passa per le porte aka mister ti limono come se non sapessi di avere la fidanzata aka “matelovaiapigliarenelculoocosa?”.
Insomma, ho fatto l’abbonameto alla sfiga pensando fosse quello per la pizzeria.

lunedì 23 novembre 2015

Avevo iniziato a scrivere una lettera a lui, una di quelle lettere piene di tutto che non si consegnano mai, ma poi mi sono detta "perché? Davvero ti farebbe sentire meglio?" e l'ho cancellata. Avevo iniziato a scrivere una lettera da me stessa a me stessa, per parlare di quello che mi sta succedendo, ma stava facendo crollare le dighe interiori che ho costruito e alla fine? Alla fine non scrivo, non affronto tutto quello che mi sta facendo male, mi chiudo a riccio, allontano tutti e resto da sola, senza poi sapere come si fa a farsi perdonare; passo il tempo bramando una sigaretta, qualcosa che mi riempia, nicotina e schifezze varie che mi facciano più male di tutto, della vita, di lui, di me, passo le ore a studiare per l'esame della teoria della patente che non passerò, per l'Università. Passo il tempo a pensare a quella storia che avevo iniziato "per riscatto" e che ho abbandonato, perché scrivere mi sta facendo male, come ora.
Avevo iniziato a scrivere per salvarmi un po', ho solo finito per condannarmi ancora.

domenica 22 novembre 2015

E cosa mi manchi a fare?

L'ho pensato meno in questi giorni, grazie ad una mostra di Lautrec, alle amiche, alle lezioni in Università condite da un sacco di risate perché tra un eccesso di "aspetti erotici" in opere che, di erotico, non hanno nulla e un collega che continua a giocare a giochini stupidi sul telefono, distraendo anche me, il tempo mi è volato e poi è arrivata la febbre, quella bassa e fastidiosa, data dal raffreddore, che non fa che farmi dormire e poi lo studio del Neoclassicismo e per pensarlo mi è rimasto poco tempo. Meglio così.
Solo che ora ho finito di studiare, la febbre non è salita, ma ho un freddo cane, ma soprattutto è domenica sera e la domenica sera è un giorno triste. E' un giorno triste da anni, lo è da quando questo vuoto dentro è aumentato e ora, alle mancanze che sento sempre, sento anche quella di vita, di affetto, di qualcuno che abbia voglia di riempire questo cazzo di vuoto infame. E Cristo, perché ho pensato potesse essere lui? Perché ora mi manca così tanto?
E' domenica sera, sono le otto passate da poco, lui sarà a lavoro, con una di quelle camice bianche che quando ci siamo visti l'ultima volta s'è scusato di avere ancora appesa in macchina, quella del "non riesco ad immaginartici, sai?" detto lo stesso giorno di quello sguardo dopo un bacio che non riesco a togliermi dalla testa. O forse è domenica sera, magari questa settimana ce l'ha libero per qualche motivo, magari c'è poca gente, ed è con lei e chissà se è felice, chissà se lui c'ha mai pensato che, come dice qualcuno, lei m'assomiglia un po', chissà se lei gli interessa davvero, sotto quali aspetti sia migliore di me. Chissà dov'è, con chi, chissà se gli passo mai per la testa, magari passando da qualche vetrina in cui spiccano dei pantaloni/leggins in simil pelle, quelli che era convinto che mi sarebbero stati bene (ma dove!? Ma quando!?). Chissà.
E chissà cosa si prova ad avere qualcuno che riempie la domenica sera.
E chissà cosa si prova ad essere pazzo di qualcuno, che me lo chiedo da quando l'ho letto su "Tre volte all'alba".
E chissà se non sarebbe essere quel genere di gente che augura il male, anziché essere quella che augura il mare e felicità a chi, a me, mica c'ha pensato poi tanto a far del male.
E chissà se domani che è lunedì ritorno ai miei progressi di pensarlo meno, di non pensarlo più con cose banali.
E chissà cosa si prova ad avere qualcuno che ti riempie la domenica sera, ma anche tutti gli altri giorni.

mercoledì 18 novembre 2015

A bite of silly happiness #1.

Andare al bar con un mio collega dell'Università, chiacchierare del più e del meno, ridere, ritrovarsi con più braccialetti della fortuna rispetto a prima di sedersi al bar e poi migrare verso delle panchine da prima a leggere, ognuno il suo libro, e poi lui a leggere uno dei miei libri preferiti ed io a riportare come mi sento sotto forma di disegno. Il tutto in una grigia giornata d'autunno inoltrato, non poi così terribile.

lunedì 16 novembre 2015

Che poi vaffanculo, solo vaffanculo.

E’ lunedì, sono fiacca, è tutto il giorno che sono abbastanza demoralizzata anche se cerco sempre di ridere e scherzare, perché sia mai che io mi faccia vedere triste da altri, mi ritaglio solo una mezz’ora per scrivere un mare di pensieri indirizzati ad una persona che non leggerà mai. Scrivo per me, mica perché lui sappia, perché se scrivo a lui, sto solo cercando di togliermi di dosso questa cattiva giornata, questo cattivo periodo.
Il fatto che non sto bene, oggi, lo capisco dal fatto che voglio camminare, che per andare a prendere il treno vado in centrale per fare la strada con un compagno di corso per non stare da sola, perché a volte lo so che quando sono presa male mi prende così. Torno a casa, mi prendo una pausa mentre inizio a digerire la cena prima di finire di studiare un po’, scorro la home e lì, in bella vista, c’è la foto che una non vorrebbe vedere della persona che in questo periodo ti ha fatto sentire da prima migliore e poi la solita, solo che quando ti senti migliore poi torni a sentirti uno schifo, ti senti uno schifo doppio, con un’altra. Nel letto. E okay, non c’è scritto nulla, non è chiaro un cazzo, sono pure vestiti da quel poco che si vede, ma quando mia il mio sesto senso sbaglia, ultimamente? Mai. Non sbaglia mai.
E niente, dieci giorni a pensare che era colpa mia, che la merda fossi io, che avessi sbagliato io, poi la soluzione era semplicemente ha preferito un’altra, magari una meno complicata di te.
Che poi t’hanno pure detto che t’assomiglia.
Che c’ha i capelli come hai pensato di farteli per “cambiare drasticamente”.
Che poi vaffanculo, quanto meno dillo anziché sparire nel nulla. Alla fine tra noi c’era stato un niente, c’era niente, bastava avare le palle (ma quando mai la gente ha le palle a ‘sto mondo!?).
Che poi vaffanculo, era già un giorno di merda e mi sta passando la risata isterica e lo scherzare sul fatto che o ho un potere di far accoppiare la gente con altri e non con me o che rischio sempre di finire a fare l’amante.
Che poi vaffanculo a me, che sono pure stata male, ho distrutto il poco di autostima che avevo messo su giorno dopo giorno. A me che ora mi sta passando la risata, vorrei la non so più quale sigaretta, ma sicuramente più della decima, che vorrei un chilo di cioccolato, non dovermi alzare domani, un fottuto abbraccio e pensare che magari non è sempre colpa mia che le cose vanno bene ad altri e non a me.
Che poi vaffanculo, nella mia altra vita devo essere stata proprio una persona di merda per non avere una fortuna manco a pagarla ora.
Che poi vaffanculo, solo vaffanculo.

domenica 15 novembre 2015

E' raro che io metta foto su questo blog, alle foto preferisco le parole. Le parole sono parte di me, quelle scritte sono la cosa che so gestire meglio, so farle ballare come voglio io, nonostante a volte faccio fatica a farlo, perché con la scrittura ho questo rapporto complicato che, alla fine, è solo una prova del rapporto complicato che ho con me stessa.
A volte parlo della mia vita, quella oggettiva, quella intesa come quella in cui sono immersa, quella che è il contorno della mia vita interiore, ma, appunto la lascio sempre come un contorno di quello che mi succede dentro e, a volte, con gli altri, ma stasera è una sera strana. Sono tornata a casa, a casa nuova di mamma, e c'era il camino acceso che scoppiettava ed io ho un attrazione profonda per il fuoco che è paragonabile solo alla passione che ho per l'acqua, due cose, a modo loro, ugualmente distruttive e questa cosa mi lascia sempre interdetta, ma questa è un'altra storia. Stasera sono entrata a casa, mi sono seduta vicino al fuoco a guardarlo bruciare la legna,a  sentirlo scoppiettare, a lasciare che scaldasse in modo innaturale la mia faccia. Era così bello che non ho potuto fare a meno di alzarmi e mettermi a fare qualche foto (sì, ho dovuto fare un po' la teenager fotografa che prende pure un libro da mettere nella foto, ma giuro che il libro lo sto (ri)leggendo davvero) per ricordarmi, nei momenti no, che la bellezza sta nelle piccole cose.


E questo introduce per forza la seconda foto. Ero seduta in terra, con la faccia calda calda, così a bollore credo di non averla mai sentita neanche quando divento rossissima per l'imbarazzo e lì sì che la sento bruciare, ma a confronto era nulla dello stare lì vicina. Seduta a terra, si è avvicinato quel vecchietto che ho in casa da sempre, con cui bisticcio sempre perché a me non da mai retta, se esce con me fa il cazzo che vuole e porta in giro me, ma forse è stato l'unico ad essermi sempre stato vicino. Quando ero più piccola, piangevo seduta a terra, lui veniva e si metteva vicino a me ed era l'unica cosa, in tutto il marcio che cercava di soffocarmi, che mi faceva sorridere. Stasera ha allungato la sua zampa sul mio ginocchio, tra un avvicinarsi e uno scappare quando il fuoco scoppiettava, come a dire "è pericoloso, spostati".

sabato 14 novembre 2015

E' solo un brutto sogno, un delirio nel bel mezzo di un attacco di panico.

Ho scritto quattro pagine di parole confuse, sia per la grafia sia perché tra loro cozzavano e stridevano il chiaro segno del delirio che stavo vivendo. Ho scritto qualcosa di vagamente più sensato su Facebook, cosa che non faccio mai, ma era solo una decima parte di quello che pensavo. Ora mi prendo un attimo per me, mi prendo un secondo per far risuonare in casa il rumore della tastiera sopra le voci che arrivano dalla tv, sopra i miei pensieri, sopra le lacrime. Prendo un momento per me, prima di rientrare nella mia vita, cercare di fare tutto quello che devo fare cercando di non essere sconvolta.
Ieri sera, mia madre è entrata in camera mia, mentre io ero tranquillamente a guardare un film con Ryan Gosling bevendo tè nel ritratto più vero della mia quotidianità, ha solo detto "c'è stato un altro attentato a Parigi", ma io vado a scoppio ritardato, ho pensato "e allora?" come se fosse qualcosa di astratto, qualcosa di innocuo successo pure lontano. Credo di averci messo due minuti a realizzare perché venisse a dirmelo prima che potessi leggerlo sui Social Network: io ho una cugina a Parigi. Ho una cugina che ha un compagno che conosco da sempre e una bambina di quasi due anni bella come il sole dopo che ha piovuto. Ho sangue del mio sangue a Parigi. E' stato il panico. Una notte di sogni confusi, di video in cui vedevo le loro facce, di notizie sul giornale, di chiamate e di messaggi che, grazie a non so chi, non sono mai arrivati ma sono rimasti deliri onirici di panico. Mi sono svegliata, non c'erano messaggi da nessuno, nessuno che mi dicesse "stanno bene", "non erano tornati a Parigi, quindi tranquilla" o che, ancora meglio" , mi dicessero "non è successo nulla, te lo sei sognato". Ho preso il telefono e ho scritto a mio padre che, imbranato com'è, ha cercato di tranquillizzarmi senza riuscirci, infondo a sua nipote ci pensava anche lui. Ha chiamato lui mia zia, io a casa da sola, caffèlatte davanti che non sono riuscita a bere pensavo solo "fai che mi ricordi male la zona in cui abita, fai che ti richiami per dirti 'nel tempo che non ha parlato con gli zii, non è ripartita, sono ancora qua, non erano a Parigi, stanno bene' e io possa tirare un sospiro di sollievo". Invece no, la chiamata è arrivata, stanno bene, dormivano, ma erano a Parigi a due passi dalle zone dell'attentato, di nuovo come quando è successo di Charlie Hebdo. Stanno bene. Stanno bene. Stanno bene. Ho pianto, ho pianto come una fontana appena ho messo giù, mi tremavano le mani, sono rimasta due minuti a fissare la porta di casa pensando solo "stanno bene" e mi sono dimenticata tutta la rabbia degli ultimi mesi per il suo comportamento, per aver tagliato fuori anche me dalla sua vita, per non sapere come sta crescendo quella piccolina, per non poter parlare con quella cugina a cui non ho mai chiaramente detto "ti voglio bene", con cui non ho avuto modo di finire di cercare di costruire un legame per rimediare ai nostri genitori, perché ha chiuso la porta prima. Ho sentito la rabbia sparire, riuscivo solo a sentire le lacrime scendere e pensare "stanno bene".
Questo è il terrore. Quello che ti paralizza, che ti impedisce di parlare, di scrivere, di pensare. Ora è scemato e riesco a pensare alla notizia, a concentrarmi sul resto, su luoghi pubblici, di svago colpiti e riempiti di sangue e cadaveri. Al Le Batclan. Ad un concerto. Riesco solo a pensare, come ci siamo dette con le amiche, "poteva succedere a noi, a qualcuno che conoscevamo", perché noi ai concerti ci andiamo, sappiamo cos'è la gioia di stare sotto un palco, di sentire una band che ti piace dal vivo, sappiamo cosa si vive e non riusciamo a pensare che qualcuno ci possa morire così. Io non riesco a pensarci, ma allo stesso tempo non riesco a non pensare ad una me francese che si è fatta mezza Francia per andare a vedere un concerto, per cui magari ha risparmiato giorno dopo giorno, un concerto che magari aspetta da mesi, concerto a cui magari è andata con delle amiche che non vedeva da un po' e invece, anziché passare una serata di gioia, di sudore e musica, si ritrova immersa in un incubo impensabile fatto di sangue e morti; un incubo in cui se scampi alla morte, non sei comunque salvo davvero.
E poi penso allo stadio, alla gente dentro, alle famiglie che potevano essere a vedere un amichevole di calcio con i figli, al ristorante, al caffè, alla strada. Penso e per una volta nella mia vita mi sento toccata da un attacco terroristico (con terroristico nel senso proprio di "seminare il terrore"), perché in quella zona c'è chi conosco, a Parigi c'è parte della mia famiglia, ma ci sono ragazze in vacanza che ho incontrato a dei concerti, c'è chi era al Liceo dove andavo io e ora s'è trasferita da poco per lavorarci, ma oltre a questo c'è il terrore per essere colpiti nella normalità, in un momento in cui potevano davvero colpire me o qualcuno che conosco.
Non parlo di odio, non parlo di rispondere al fuoco con il fuoco, di sterminare una razza, un credo, un gruppo, le mie idee su ISIS e compagnia cantante, ora come ora non c'entrano, sono solo parte di un altro discorso che potrei pensare come affine a questo, ma io ho solo ventuno anni e le mie idee sono solo quelle di una ragazza che non si sente né matura né pienamente informata per fare determinati discorsi, ma comunque io questo divagare di odio generalizzato non lo concepisco, nonostante ho rischiato di piangere delle vittime - e Cristo, io sarei legittimata a pensare attraverso l'odio!. Io parlo di schifo. Schifo per l'umanità, per chi organizza attentati e colpisce luoghi pubblici, chi bombarda zone ammazzando indiscriminatamente criminali, persone per bene, uomini, donne e bambini; parlo di schifo per chi risponde all'odio con altro odio, chi balla sui cadaveri per fare propaganda politica, per chi beffa i sopravvissuti, i feriti, chi ha perso qualcuno o ha provato paura per qualcuno strumentalizzando una tragedia. Parlo di schifo verso un'umanità che non comprendo.
"Stanno bene". Egoisticamente, solo questo.
"Potevo esserci io, poteva esserci una delle mie amiche". Il terrore, lo sgomento, la mancanza di parole.

mercoledì 11 novembre 2015

Pensavo che la mia vita avesse preso una svolta migliore, invece ha solo voluto darmi l'ennesimo insegnamento, per non dire che mi ha voluto spaccare le gambe un'altra volta.
Ho cambiato casa, camera mia sta prendendo forma un po' alla volta; per ora, l'unica cosa veramente apposto è il mio angolo della pace: la libreria e il porta cd, che da un angolo mi tengono compagnia.
Da quando mi sono trasferita, ho già perso il conto dei giorni, ma ho già fatto un paio di nottate sveglia a bagnare il cuscino di lacrime: lui ha preso un'altra strada senza neanche salutare, non ho voglia di stare qua a scrivere - a ricordare - com'è andata, ma è andata, finita, senza saluti o spiegazioni. Forse avrei dovuto chiedere almeno le spiegazioni, come dicono tutte, ma sono quasi convinta che qualsiasi cosa che potrebbe dire, non mi aiuterebbe di certo a stare meglio.
Sono stati i dieci giorni più lunghi della mia vita, pieni di speranze utopiche di sentire di nuovo bussare alla porta della mia vita, ma alla fine che senso ha sperare quando è chiaro che non succederà? Non lo so, ma ho sperato e spero ancora. Ero riuscita a smettere di fumare, ma ho ripreso e quando sono fuori casa, fumo anche troppo, ho comprato il pacchetto lunedì mattina e martedì pomeriggio era già finito. Hanno detto che riuscirò a rismettere quando mi dimenticherò di lui, ma fotte una sega, io non volevo riprendere, ma senza non sapevo stare. E' proprio vero che ad ogni mancanza corrisponde una dipendenza.
Sono stati dieci giorni infami, ho smesso di farmi sentire con le persone e so che dovrò dare delle spiegazioni ad un paio di amiche, dovrò buttar via il mio orgoglio e chiedere scusa, spiegare perché mi sono isolata, se non per una fuga a Firenze, sperando che poi capiscano, ricordandosi che io sono così, se sto male voglio stare il più sola possibile.
Vabbe, non fa poi così tutto schifo, lo devo ammettere. Sono andata a Firenze e sono finalmente riuscita a rivedermi con delle amiche, tutte insieme come non riuscivamo a fare da un po' ed è stato un tocca sana; staccare la spina, godermi quella città che tanto amo, rimpinzarmi di schiacciata con dentro la porchetta, ridere di gusto con le amiche che vedi meno, ma che sono sempre al tuo fianco qualsiasi cosa succeda era quello di cui avevo bisogno quel giorno. A Pisa va sempre meglio, oramai l'università non mi fa più così paura, forse gli esami quelli un po' sì, ma questa è un'altra storia; oramai mi muovo da sola, vado a lezione da sola, a volte è solo un "sola" momentaneo perché qualcuno degli altri arriva sempre, ma fosse anche un sola duraturo per tutta la durata della lezione non sarebbe così terribile. "Gli altri" sono quel gruppo di persone con cui passo più tempo, con cui sta nascendo forse un'amicizia in senso vero e non solo in senso scolastico; parlo di me e loro parlano di loro, ogni tanto viene fuori qualcos'altro ed è buffo, siamo tutti completamente diversi. Siamo quasi tutte ragazze e due ragazzi, mi viene strano relazionarmi con tutti, ma ci sto riuscendo, con chi più con chi meno.
Ho ripreso a scrivere e non parlo dei miei pensieri o di questi post che mi servono per mettere in ordine tutto, ma parlo delle storie, quelle che avevo smettere di scrivere anni fa. Ci sto provando, ho un quadernino di Tiger in borsa, ha una copertina con un disegno trashissimo e ogni tanto scrivo lì sopra, anche in mezzo alla gente, se ho ispirazioni di scrivere perché sprecarla solo perché qualcuno mi può veder scrivere?
Avrei tante altre cose da scrivere, tanti pensieri da rimettere in ordine, tante cose che non mi sono andate giù e tante altre che mi frullano per la testa, ma forse non sono ancora pronta a metterle nero su bianco facendole diventare da cose astratte a cose reali. Forse non è il momento di lasciarle uscire, le lascio ancora frullare nella mia testa, a farmi pensare troppo, a prendere una forma migliore dei miei tristi pensieri.
Avrei tanta voglia di andare in spiaggia, di un abbraccio, di una sigaretta. E di rivedere i suoi occhi, di sentire le sue labbra, qua lo posso scrivere.

venerdì 23 ottobre 2015

Ultimamente sorrido un sacco, esco, controllo bene la mia ansia, soprattutto quella sociale, le mie insicurezze sono tenute a bada da una finta sicurezza ben costruita. Ovvio, ho i miei momenti no in cui voglio stare da sola e sopporto solo me stessa, tipo ora che avrei un audio da sentire di uno sfogo di un'amica, ma non ne ho voglia. Fanculo, è venerdì sera, ho avuto una bella giornata, tra un po' esco e chi me lo dice che devo sempre fare da spalla? Ecchepalle. Ora scrivo, poi leggo, sono troppo buona.
Ho razionalizzato che una perdita è stata la mia forza. Ho chiuso un'amicizia, l'ho chiusa più di un anno fa, qualche mese fa, quando si è rifatta viva con un messaggio falso come i soldi del Monopoli, ho chiuso davvero, ma solo da poco ho realizzato che perderla è stata la mia forza, la mia voglia di cambiare. Mi faceva sentire inferiore, sbagliata con me stessa. E' la perfetta descrizione del disturbo narcisistico che ha fatto la mia professoressa di Pedagogia generale ha fatto durante una conferenza sul Don Giovanni: è empatica in maniera negativa, dà agli altri quello che vogliono solo per suo tornaconto personale, vuole essere compiaciuto e se in un rapporto, di qualsiasi tipo, qualcuno lo contraddice o non è come vuole, cambia comportamento pensando al complotto, lo allontana. Lei, Pari pari. Il compiacersi è stata la cosa che mi ha distrutto di più, perché lei è quel tipo di persona che si lamenta delle sue cosce perfette, quelle cosce che altre vorrebbero e che i ragazzi apprezzano, davanti a chi non ha di certo delle cosce perfette e ha già problemi a conviverci senza veleni inutili di chi finge problemi che non ha. Poi, le cosce erano solo la punta dell'iceberg, l'esempio. Dà quando ho eliminato questa persona dalla mia vita, io mi sono ritrovata più sicura di prima, accetto meglio me stessa e i miei difetti. Vivo meglio, in tante cose.
Le perdite sono una cosa strana, come fa a fare bene qualcosa che se ne va?
Ho un sacco di cose che porto nascoste, non ne parlo con nessuno perché non mi va e perché non so con chi parlarne, così poi a volte mi spengo e vorrei solo non farlo, perché ho questa maschera così perfetta ultimamente che mi dispiace rovinarla.
E farnetico, farnetico troppo se sono da sola e non vorrei esserlo. Vorrei essere fuori, un drink davanti e chiacchiere leggere da venerdì sera. O vorrei essere con lui, a far nulla, ma semplicemente avere una scusa buona per ignorare il resto del mondo per un po'.

mercoledì 21 ottobre 2015

Nei momenti di noia, nei momenti dove non sono mentalmente impegnata, prima di andare a dormire, da lunedì sera il mio pensiero corre inesorabilmente indietro ed io sento di rivivere la mia vita come se fossi dentro ad un film che viene mandato indietro, fino a tornare dentro a quella macchina che si ferma sotto casa di mia madre.
"E' quella con la luce accesa" "Quale? Non la vedo..." "Te l'ho detto, non ci vedi" "Ci vedo benissimo" "No" ""
Sguardi
Quel momento che aspettavo e che, Cristo santo, farlo finire è stato uno sforzo fisico
Gambe che tremano, fatica a camminare, voltarsi, la macchina che va piano, ti supera, accelera.
E anche stasera che lui è passato da esserci a non esserci, a comparire e a farmi pensare che, se fosse donna, sarebbe nel periodo del ciclo, nella mia testa è un continuo rewind.

(E non voglio rileggere questo post, lo voglio lasciare così: spontaneo e di getto, errori compresi).

domenica 18 ottobre 2015

#6

Ho voglia di baciarlo.
Ho voglia che mi baci.
Ho voglia delle sue labbra, delle sua lingua che balla un ballo antico con la mia.
Ho voglia di sentire le mie guance andare a fuoco una volta che il ballo è finito, le labbra si sono separate e gli occhi si sono riaperti e sentirle andare ancora più a fuoco pensando che lui vedrà tutto quel rossore.
Ho voglia di chiedergli un abbraccio, di lui che mi fa il solletico, dei suoi occhi su di me, sentire il suo sguardo premere contro i miei vestiti.
Ho voglia di sentirlo ridere, di sentirlo parlare.
Ho voglia di passare del tempo con lui, di dare il mio tempo a lui.
Come ho fatto a non prendere carta e penna fino ad ora?
Come ho fatto a non scrivere di quel martedì, dell'attesa, di lui in macchina che ride perché non ci trovavamo ed eravamo nello stesso posto?
Come ho fatto a non scrivere nella mia grafia scomposta delle mia voglia matta di baciarlo per un intero pomeriggio, ma nel momento del bacio, spostarmi come una stupida? Come ho fatto?
Rilego quel "Entro a lavoro cucciola" mandato ore fa e so di avere qualche ora per trovare le palle di dirgli "Ma tipo domani pomeriggio/sera o martedì pomeriggio, hai da fare?" che, nonostante lui mi dica di volermi baciare, io ho paura inventi qualche scusa per non uscire.
Cristo santo, già sono una persona poco coraggiosa, piena di paranoie e insicura, ma lui inizia a piacermi così tanto che mi sento in balia di una tempesta emotiva.
Tutto questo è così nuovo, così sconosciuto per me che mi sento come al timone di una barca che naviga in acque sconosciute nel bel mezzo di un banco di nebbia: potrei raggiungere un luogo bellissimo o scontrarmi con uno scoglio finendo per colare a picco.
Ho un sacco di paure che non so tirare fuori, né a lui né alle amiche, perché una della mia età, quelle paure, avrebbe già dovuto affrontarle o saperle affrontare e mi sento stupida a tirarle fuori, ma ancora di più odio far vedere le mie debolezze, farle pesare ad altri, quindi le mie paure le tengo per me e in tutte queste paure represse, nascoste con vergogna, potrei affogarci.
Ho paura, ma ho un cuore che vuole rischiare di rompersi, che cosa strana.
Cosa gli costa baciarmi via le paure, una ad una?

(Ho scritto tutto a penna, un paio di ore fa, per poi rileggere tutto mentre queste parole venivano trascritte facendo suonare i tasti del portatile e cazzo quanto mi sembra strano che siano mie, davvero mie).

sabato 17 ottobre 2015

Sta diluviando, io ho dovuto rimettere Pietro, il tutore per la tendinite, dovrei controllare gli orari dell'autobus per andare da un'amica per poi andare a cena da un'altra, dovrei studiare per la patente che tra poco più di un mese ho l'esame della teoria e non so praticamente niente, forse qualcosa sui segnali stradali. Forse, non sono sicura.
Con lui non capisco nulla, ma mi ritrovo a maledire l'alcol che mi fa diventare troppo spontanea anche quando sono solo leggermente allegra, tanto da mandare messaggi alle tre passate che, anche se non dico nulla, dico troppo. Con il resto del mondo sembro aver fatto pace: socializzo molto, oltre i miei normali standard, parlo con tanta gente, anche con chi non conosco mentre solo fino a qualche mese fa avrei risposto a monosillabi. Scherzo con i compagni di corso con cui ho fatto amicizia, passo del tempo da sola senza avere poi troppa ansia, al fine settimana esco con le amiche, rido un sacco, mi capita di finire abbracciata ad ex compagni di classe di una vita fa, una vita che sembra molto lontana, o a parlare del più e del meno con un altro compagno di quella classe di una vita fa, così cambiato che a stento lo si riconosce domandandomi, senza dirlo, come appaio io agli occhi degli altri.
E con me? Con me va meglio, non mi odio più... o almeno, non mi odio più tutti i giorni. Ho giorni, parecchi giorni di fila, dove sto bene, sorrido davvero, rido di gusto e mi diverto.
Sono su una strada nuova, io guido, ma non so dove mi stia portando. Oltre a questo, non conosco cosa ci sia dopo la prossima curva, non conosco il paesaggio, non conosco nulla eppure io sto cercando di non fare inversione ad U e tornare indietro. E' così strano tentare di andare avanti, nonostante la paura dei cambiamenti, degli imprevisti, di quello che non è programmato.

domenica 11 ottobre 2015

Oh, kiss me beneath the milky twilight.

Ho passato il pomeriggio e parte della serata, fino a poco fa, a trascrivere degli appunti che mi hanno mandato, ma ho dovuto rinunciare, non capivo nella scrittura sgranata dal monitor del computer. Ora, però, non ho niente che mi tenga la mente impegnata.
Sto scrivendo poco ultimamente, ho troppi impegni e poco tempo, però senza prendere la mia agenda e una Bic per scrivere mi sento persa, ma non in un modo bello, come se mi fossi persa in una città nuova scoprendo un posto bellissimo, ma è più in senso negativo, come se fossi in un posto sperduto senza un posto dove chiedere indicazioni e con il telefono scarico. Forse è per questo che ho deciso "basta" e sono venuta qua, la mano mi fa troppo male - maledetta tendinite! - per prendere carta e penna.
Ho riletto vecchi post, quelli tristi di persone che non erano a conoscenza dei miei sentimenti, che non gli avrebbero mai ricambiato o che mi hanno presa in giro; ora, mi fa così strano scrivere di una persona che non capisco se mi sta prendendo in giro o se è davvero interessato e che, a me, interessa davvero. Anzi, peggio di interessa, mi piace in maniera nuova rispetto le altre volte che mi fa una paura matta questa cosa. Mi piace quando mi manda gli audio dicendo "cucciola", mentre io odio i nomignoli, e mi ritrovo a sentirli mille volte sorridendo tutte e mille come una cretina; mi piace quando mi rende partecipe della sua giornata, raccontandomi le cose; mi piace quando dice che non posso saltare dalla finestra perché gli devo ancora i baci; mi piace quando cerca di convincermi che sono bella, anche se a volte lo fa in maniera un po' troppo schietta come quel giorno da H&M davanti ai pantaloni in pelle. Mi piace abbastanza che lo vorrei rendere partecipe di ogni cosa, di dirgli chiaro e tondo "stupido orso che non sei altro, cos'hai intenzione di fare? Ti decidi a richiedermi di uscire o cosa?" e invece, dopo due shot di vodka e un cocktail bello carico che mi ha solo reso più sincera anziché brilla, ho mandato un messaggio, che mi è valso un "sei stata dolcissima" da un amico, dove gli ammettevo quanta voglia avessi di rivederlo per rimediare a quel bacio mancato, che cogliona che sono. Mi piace abbastanza che vorrei essere migliore, vorrei sapere cosa fare, vorrei essere quella che gli può piacere davvero, quella che ha una possibilità. Mi piace abbastanza che vorrei sapere tutto di lui, tutto oltre il fatto che odia il suo lavoro, il suo animale preferito è l'elefante, ma lui è un orso, che gli piace andare veloce in macchina, ma è abbastanza buono da andare piano se sono con lui, che va matto per il pesce e passa la notte a giocare all'xbox per poi dormire fino a tardi; mi piace abbastanza che mi piacerebbe avere modo di passarci un sacco di tempo insieme, ma allo stesso tempo lasciarli i suoi spazi. Mi piace abbastanza che, porca puttana, non faccio che pensarlo e mi ritrovo a sorridere come una cogliona.
Mi piace abbastanza che in questa domenica sera in cui lui lavora, sto andando in paranoia perché il messaggio di stamani è ancora "letto -", mentre io non so se è perché si è svegliato tardi ed è corso a lavoro, com'è probabile che sia, o qualche motivo simile o se è colpa mia. Mia che sono una dai tempi lunghi, non una facile, non così bella, non così esperta, non così in gamba, non così interessante, non così tante cose che forse se n'è accorto ed è andato via, ha cambiato strada e tanti saluti.
Cristo Santo, quanta voglia avrei di vederlo, di perdermi di nuovo negli occhi azzurri e nella voce, di guardargli le labbra mentre parla pensando "cos'ha detto!? Cazzo, perché io penso solo a baciarlo?" e quanta vorrei che nella mia testa smettessero di esserci i New Found Glory che cantano Kiss Me.

giovedì 1 ottobre 2015

E' semplicemente stare bene nonostante tutto.

Trovo un po' di tempo per scrivere qualcosa, ma è troppo poco per poter prendere la Moleskine e annotare tutto, allora torno qua a scrivere della mia vita che sta cambiando prendendo una piega strana.
L'università poteva iniziare meglio, ma dopo i primi momenti di sconforto ho deciso che devo solo tirare fuori le palle e fare quello che so di poter fare. Cristo, sono arrivata fino a qui senza mai mollare, perché dovrei mollare ora solo per un test valutativo andato a cazzo perché sono ansiosa e il tempo era poco? Ho un obbiettivo e vaffanculo a me, in primis, lo raggiungerò. E' un bel mondo, comunque, le lezioni mi prendono, Pisa la sto scoprendo un bel posto e sorrido e rido un sacco, socializzo, scherzo, faccio nuove conoscenze. Parlo di me senza filtri, ammetto di scrivere, di leggere, di ascoltare band che andavano parecchi anni fa e nessuno storge il naso, questo mi fa ancora strano, ma finalmente sto scoprendo che essere me stessa al 100% non è poi così male.
E poi c'è il cuore che sta iniziando a fare le capriole perdendo battiti in un modo nuovo e bello. C'è un ragazzo, un ragazzo con due occhi azzurri da farmi perdere la cognizione spazi temporale ogni volta che me li sono ritrovati addosso qualche giorno fa, un ragazzo che mi chiama "cucciola" senza che io mediti di ucciderlo perché odio i nomignoli, anzi inizia a piacermi quando lo scrive/dice, un ragazzo che mi ha quasi baciata e io, memore di un coglione un mese fa, mi sono spostata, ma senza sapere cosa mi ha bloccato ha capito e non è sparito. Dio solo sa quanto vorrei vederlo ora, lasciare che mi baci e baciarlo. La paura mi fa compagnia, ma sto cercando di non scappare, di viverla. Come va va.
Ci sono io, le mie ferite, la mia ansia che stiamo imparando a convivere, a non pensare più "cristo, datemi una sigaretta!", anche se ho le mani distrutte e una voglia matta di fumare. Ci sono io, i miei sorrisi, le risate, gli amici, una voglia nuova di vivere che mi fa sentire diversa e uguale a me.
Sto rivoluzionando la mia vita un passo alla volta. O forse sta arrivando quel meglio che ho sempre detto che voglio andare a prendere, che non è l'assoluta perfezione senza negatività o conflitti, ma è semplicemente stare bene nonostante tutto.

mercoledì 23 settembre 2015

"Verranno tempi migliori"

La mia vita sta prendendo una piega strana. Il ragazzo-uomo di quest’estate sta dimostrando sempre di più che persona viscida sia, ma nonostante io lo ignori e non l’abbia più cercato o non gli ho più dato confidenza, ogni tanto torna a farsi vivo mandandomi messaggi come “che fai stasera?” o video di gatti. Ovviamente, alla mia risposta, non risponde mai.
In settimana, dovrei vedere l’amico di un’amica, dovrei, ma non so se succederà.
Venerdì parto, uno zaino e via, non porto altro questa volta. Salgo tre giorni e stacco da tutto, cerco di tornare a casa intera, lasciando i miei dubbi per strada, portando indietro solo bei ricordi e sorrisi.
Da lunedì inizio ritmi diversi e più pieni in università, ho un po’ d’ansia, però, nonostante la stanchezza, questi giorni da pendolare, di aule, di materie nuove, di persone nuove mi fanno stare bene. Mi riempiono, non mi fanno sentire svuotata come in passato.
Ho tante cose storte intorno e dentro, tante cose che ogni mi soffocano, ma chissà perché ho delle piccole speranze di tempi migliori in arrivo. O forse non saranno tempi migliori, ma peggiori camuffati bene, però è bello crederci per una volta.

giovedì 17 settembre 2015

Ho evitato questo momento per anni, perché ho il terrore di mettermi alla guida. So di essere un pericolo per me stessa e per gli altri, quindi con un susseguirsi delle peggiori scuse il limite massimo era “dopo il diploma inizio a studiare”. Ora, tutte le mie paure e il mio non voler crescere del tutto sono qui davanti, sottoforma di bollettini pagati, documenti firmati e paginate da studiare.
E’ come quando ho detto che non sarei mai andata a Punta Corvo a piedi per paura di morire nel bel mezzo del bosco, ma poi l'ho fatto e sono sopravvissuta.

martedì 15 settembre 2015

Io non voglio crescere.

Dopo domani ho la visita medica all’ASL e poi posso portare i fogli alla motorizzazione per l’iscrizione da privatista alla patente.
C’è chi esulta, chi si dice pronto a mandarmi ogni tanto delle domande per vedere se sto studiando, chi mi ricorda che ho detto che “alla nostra età inizia ad essere ridicolo essere senza patente” (non ricordatemi i miei attimi di intelligenza, cristo!) e chi ha subito un trauma a sapere che mi sono iscritta. Io, invece, ho già l’ansia. Mi sento ad un passo da essere un’adulta ed io che, da bambina, ero innamorata del bambino che non cresce mai, non mi esalta molto l’idea di essere grande, di badare a troppe responsabilità, a stare attenta alle multe, al bollo, alle revisioni, al non investire la gente per strada. E soprattutto, a me, l’idea di mettermi in una scatola di vetro e ferro fa paura. Sono una persona ansiosa e nervosa, non è sicuro mettermi sulla strada. Per niente, potrei investire una busta pensando sia un gatto e morire d’infarto o investire gente che mi sta sul cazzo senza il minimo senso di colpa. Non è sicuro, lo ribadisco.

(Poi volete far prendere la patente ad una che va in posta e fa triplicare la coda perché non sa compilare i bollettini!?)

giovedì 10 settembre 2015

E' un periodo di alti e di bassi veramente bassi.
Nonna sta meglio, anche se la tengono ancora in ospedale e la stanno ancora rigirando come un calzino per capire le cause. Io passo i pomeriggi in autobus, in ospedale con lei e di nuovo in autobus, non mi pesa, lo faccio volentieri, anche se preferirei averla a casa. Il tempo con lei vola, se non fosse per l'autobus da prendere, ieri mi sarei fermata fino a che l'infermiera non si sarebbe ritrovata costretta a buttarmi fuori.
Mi sono ufficialmente immatricolata all'università e sto già piangendo in sanscrito per capire qualcosa sul sito dell'Università. Il 16 ho il testa valutativo, quello che vale poco e nulla se non un qualcosa in meno da fare durante il semestre e il 21 inizio le lezioni. Discipline dello spettacolo e della comunicazione, in classe L-20, quella di comunicazione. Cosa farò alla fine dei tre anni? Non lo so, quello è ancora un mistero, anche se le ambizioni sono ben chiare, ma quella è un'altra storia e di tempo davanti ce n'è ancora molto. Ho paura? No, sono stranamente serena o almeno, l'ansia e la paura che ho sono quelle in dose giusta per iniziare qualcosa.
E poi ci sono i bassi, altri bassi oltre a nonna, ma non ho voglia di pensarci oggi che il mal di schiena e il mal di pancia mi stanno piegando, il sito dell'università mi complica la vita e ho solo voglia di ritornare a letto ignorando il resto del mondo e me stessa, ma non si può.
Dio, che fatica la vita.

venerdì 4 settembre 2015

A distanza di una decina di giorni, finalmente, se penso a lui, non mi viene in mente ogni dannatissimo secondo di quel bacio, non mi viene in mente lui che mi raggiunge, appena un amico mi rimette a terra, e mi ribacia di nuovo, davanti a gente che grazie al cielo non ricordo che faccia abbia. Finalmente, stasera ho pensato a lui e sono riuscita a non pensare né a quei baci né a quanto mi sentissi stupida per essermi fatta prendere in giro come una stupida, perché io non sono stupida. Stasera, per la prima sera, ho sentito la rabbia, non la tristezza, ho sentito la voglia vera di spaccargli la faccia se me lo trovassi davanti, non solo di dirlo per nascondere che se lo avessi davanti cambierei strada. Cambiare strada? Neanche morta, io a testa alta, lui faccia quello che gli pare.
Sì, mi interessa ancora. Sì, mi sarebbe piaciuto che le cose fossero andate diversamente. Sì, avrei voluto tante altre cose anziché la realtà così come sta, ma che senso ha piangere su baci dati?
E' andata, male o bene che sia, almeno questa volta ho giocato.

giovedì 3 settembre 2015

Stay with me, it's all I need.

Ogni anno, il primo di settembre scrivo una lettera sulla Moleskine e, in giornata, la pubblico, perché poi mi ritrovo a leggerla durante l'anno per ricordarmi dei miei buoni propositi. Più di capodanno, io tendo a fare quelli seri e veri a settembre, sarà che settembre è esattamente a metà tra la vecchia me e quella dell'anno che verrà. L'ho scritta anche quest'anno, era anche una lettera gioiosa, nonostante il cuore infranto: mi sono immatricolata all'università, settembre nella notte m'ha ricordato che amici ho, cosa potevo chiedere di più?
Settembre è un mese infame, in realtà. Io finivo di scrivere quelle parole e nonna si sentiva male, parecchio male. Io ora sono a casa, a mettere apposto che devono venire a vederla per il trasloco, nonna è in un letto d'ospedale sveglia, vigile, ma non messa bene.
Settembre, caro settembre, perché ogni volta che io devo fare un cazzo di grande passo per me, per il mio futuro e per le soddisfazioni da dare agli altri, tu ti senti in dovere di dovermi sempre mettere davanti a perdite o possibili perditi così grandi!?

"Stay with me, it's all I need".

mercoledì 26 agosto 2015

Upside down.


Ieri era così che mi sentivo: sotto sopra. I piedi in cielo, la testa a terra.

martedì 25 agosto 2015

Oggi sono andata a Firenze, mi sono goduta quella città che io amo più di ogni altra al mondo, mi sono goduta le amiche e un amico di vecchia data, una nuova conoscenza, cercando di non pensare che non avevo chiuso occhio perché dopo quei baci c'è stata la distruzione.
La verità è che lui è fidanzato, che schifo scriverlo in maniera così asettica, come se non mi facesse male, come se non ci fossi rimasta male, e neanche poco, ma se non glielo tiravo fuori io, lui, di lei, non avrebbe detto nulla. E' palese da come sono andata le cose, sia prima che dopo. Io ci sono rimasta male, sono sveglia da più di ventiquattro ore, ma oggi ho sorriso. Ho sorriso di quella città che amo, dei suoi colori, delle persone che avevo intorno; ho sorriso di me e per me, perché mi convinco che devo sorridere come se ci credessi, come se lo volessi, perché devo farmi rubare anche il sorriso?
Ogni tanto l'ho pensato, soprattutto quando dopo due gocce d'acqua a giornata è diventata stupenda e sopra Ponte Vecchio c'era un cielo azzurrissimo ed io ho pensato "sarebbe bello che le cose fossero andate diversamente, potergli mandare una foto di questo spettacolo e dirgli che vorrei che fosse qui". L'ho pensato, ma poi ho ricacciato indietro quel pensiero, anche se Firenze aveva oramai un gusto dolce amaro.
Ha lenito il cuore, disinfettata la ferita, ma per farla diventare una cicatrice sana e guarita ci vorrà del tempo, non solo Firenze.

domenica 23 agosto 2015

Come ci si deve comportare dopo un bacio?
Deve scrivermi? Devo scrivergli? Cosa dovrei dirgli?
Lui avrà sicuramente notato la mia poca abilità. Io sono piena di imbarazzo e di paura, sono in un campo inesplorato in cui non so dove mettere i piedi, come ieri pomeriggio, quando, nel tentativo di "arrampicarmi" sulla scogliera, cercavo da sola la pietra giusta su cui appoggiare i piedi.
Sto scalando la scogliera, ma lui è il tutto in mare dallo scoglio ed io ho paura a tuffarmi in mare.

mercoledì 19 agosto 2015

Sono rientrata da poco, tra poche ore riesco, devo sistemare un attimo camera, recuperare il costume e poi finirò di fingermi una persona normale abbandonata su uno scoglio. Cercherò di fare tutto, ma la testa va per i cavoli suoi, torna a messaggi senza senso dopo periodi di silenzio - che senso ha mandarmi determinate cose e non parlare? - per cercare di spiegarli, di razionalizzarli, finendo così per fare tutto il contrario di quello che m’ha consigliato un amico dicendomi di andare avanti.
Ho una canzone Hardcore in sottofondo, l’Hardcore dei Gabber proprio. Quel genere che ho sempre schifato, ora ho trovato una traccia decente e mi aiuta a tenere la testa occupata. Almeno per ora.

sabato 1 agosto 2015

“You’re the future and the future is now.”

A quattordici anni ascoltavo “People Have The Power” e “Because The Night” in camera mia chiudendo fuori il resto del mondo, i miei che si facevano la guerra e tutto il resto. Ho iniziato a conoscerla così Patti Smith, piano piano, anno dopo anno, sentendo tutto quello che aveva fatto sognando di vederla dal vivo. Uno di quei sogni che pensi di non realizzare mai, ma poi ti trovi sotto un palco, lei lì sopra,a  pochissimi metri da te, con tutta la forza e la delicatezza della sua voce.
A volte i sogni si realizzano e sono meglio di come di come ti aspettavi.


lunedì 27 luglio 2015



L'ultimo biglietto di compleanno.
L'ultimo biglietto di una lunga serie; molti sono andati persi, alcuni sono ancora integri in una scatola piena di lettere. Questo è l'ultimo, il vero ultimo. Non ci sono più stati compleanni, Natali o promozioni da festeggiare. Non ci sono stati altri avvenimenti per cui lui si sentisse in dovere di darmi la “bustina”, del cui contenuto monetario non mi è mai fregato nulla, mi sono sempre bastate quelle poche parole tremolanti.
Avrei voluto un altro compleanno, avrei voluto vedere cosa avrebbe scritto lui per i miei diciotto anni, ma del compleanno dell'anno dopo ho la lettera di un'amica e gli auguri scritti dai miei zii, ma non i suoi. Se gli altri mi ringraziavano di esserci sempre stata, mi incitavano a rimanere me stessa, quello che poteva dirmi lui sarà sempre un mistero.
L'ultimo biglietto, intanto, è chiuso in una scatola, al sicuro, tenuto come ultimo ricordo importante di una persona che mi porto in ogni cellula e su inchiostro nero su pelle bianca insieme a tante altre cose che mi rendono quella che sono, ma, oggi, quattro anni dopo, mi rendo conto che fisicamente di lui resta solo questo biglietto e tante parole mai dette.

E' o non è?

Continuo a non capire niente. C'è, non c'è, fa il carino, non risponde neanche, compare in piena notte a scrivermi, mi dice il programma della sua settimana, mi dice che ha aggiunto una mia amica.
Gli interesso? Non gli interesso? Vuole provarci con lei? Non vuole? Posso mettermi l'anima in pace? Posso sperare e rischiare qualcosa?
Cerco di capirci qualcosa, ma più penso, più analizzo, più mi perdo finendo a perdere quel briciolo di sonno che avevo e di calma che ultimamente mi ero faticosamente conquistata.
Ho delle scatole da fare, delle cose da decidere se tenere o meno, ma riesco solo ad ascoltare una canzone cercando di convincermi che se la canto più forte, posso fingere che sia tutto ok, ma in realtà ho la testa in confusione, un campanello di allarme che risuona incessante per dirmi che sta per andare a finire come al solito, che un'amica fa più colpo di me.
Non sarebbe la prima volta, perché mi sto preoccupando del dolore che causerà questa cosa allora? Perché ho paura che davvero vada a finire come altre volte? Infondo, questa volta sarebbe anche più che comprensibile che lei fa più colpo di me: più bella, più spigliata, più in gamba, più esperienza, più fascino, più carisma. Non dovrei neanche stupirmi, non dovrei farmi tutte queste domande, non dovrei avere dubbi eppure una stramaledetta parte di me sta ancora sperando che io mi stia sbagliando, che sia l'insicurezza a parlare, e che possa aver visto qualcosa in me.
Dio, quanto vorrei chiudere tutti questi maledetti pensieri in uno scatolone su cui scrivere "da buttare".

mercoledì 22 luglio 2015

Ho scoperto che iniziare a svuotare camera - e casa - dai miei cd, di cui alcuni mix di un'illegalità allucinante che, davvero, mi chiedo quale turbe avessi tra gli undici e i tredici anni, ha i suoi lati positivi. Non sto pensando, ho smesso di pormi qualsiasi tipo di domanda sulla mancata risposta, sul perché attiro persone che prima fanno di tutto per vederti, che ti mandano messaggi gentilissimi in piena notte dove ti informano di non averti più trovata e ti propongono bagni di notte, ti salutano educatissimi e poi non si degnano neanche di darti una risposta. Ho smesso di farmi ogni domanda, di colpevolizzarmi, è tutto un "cd da tenere, cd da buttare".
Forse è colpa mia, forse sono io che faccio scappare tutti, forse non vuol dire niente che non mi ha risposto, forse non lo so. Ora penso a quella scatola sul letto, a questo mix trashissimo con le peggio canzoni uscite tra il 2000 e il 2007, penso che stasera sono ad una serata con musica Reggae, Ska e compagnia bella dove butterò giù alcol e ballerò come se non ci fosse un domani, come se non rischiassi di incontrarlo.

mercoledì 15 luglio 2015

Sindrome di Peter Pan #1.

A me questa cosa di entrare nel mondo dei grandi non mi piace affatto.
Chi l'ha detto che devo crescere? Che devo stare dietro io ai soldi, iscrizioni, patente, cazzi e mazzi?
Io voglio rimanere un'eterna bambina come Peter Pan, il mondo dei grandi ha troppi numeri, password, codici e tante cose brutte.

martedì 7 luglio 2015

"Fai ciò che ti piace e ricordati che sei ok".

Oggi, dopo aver ricevuto la foto dei quadri su whatsapp (fa troppo caldo per farmi tutti quei chilometri in autobus per leggere un voto), dopo aver avvertito un po' di persone, dopo aver iniziato a metabolizzare che con due anni di ritardo, un cambio di scuola, tanto sconforto e sudore ho ufficialmente finito la mia carriera da studentessa delle superiori, ho preso il telefono e mi sono tolta lo sfizio di ringraziare una professoressa.
Non una di quelle a caso, una di quelle che a volte sclera, ma che è in grado di appassionarti alla materia, ma che soprattutto ha saputo appassionare me alla sua materia. Inoltre, mi ha aiutato a ritrovare la voglia di studiare, di non fermarmi al diploma solo perché avevo perso due anni e che mi ha aiutato a capire tante cose di me, che mi ha dato più di semplici nozioni scolastiche.
Le ho mandato un messaggio dicendole tutte queste cose, senza pretendere risposta, semplicemente per informarla di quello che pensavo, per ringraziarla sperando di avere, un giorno, la possibilità di rivederla. Forse è per questo che, quando mi sono arrivate le sue risposte, mi sono sentita sul punto di commuovermi. Ha detto alcune belle cose, cose che sono importanti per me visto che sono dette da una persona per cui nutro stima.
Forse è davvero questo quello che contava per me, più di un voto discretamente alto. Contava la gioia di mia madre, lo stupore di mio padre, essere riuscita a dimostrare almeno ad un insegnante chi sono quanto valgo, sentendomelo ricordare spesso.
Me la porterò nel cuore, come professoressa e come persona, insieme a quell'abbraccio e quel pensiero per il mio compleanno, insieme alle sue parole.

giovedì 2 luglio 2015

"Fosse anche solo per non aver mai mollato".

E' finita, sono sopravvissuta, comunque vada ne esco da vincente.
Sono rientrata a casa da poco, il sudore mi sta appiccicando addosso la maglia ed i pensieri e scrivere, con il caldo che fa, è uno sforzo fisico non da poco.
Ho dato l'orale della maturità o, per essere corretti, dell'esame di stato. Come mi sento? Sollevata, strana, esausta, pronta.
Non mi importa del voto, perché arrivare alla fine viva vale più di ogni voto in centesimi. Ho lottato nove mesi contro le mie mancanze, contro il peso di due anni persi, ho combattuto soprattutto contro me stessa, perché sono stata il mio peggiore ostacolo. Ho combattuto contro l'ansia, contro le mie insicurezze, contro i "non ce la faccio". C'è chi dice che ce l'avrei fatta anche senza la loro presenza, ma se ho vinto è anche merito delle amiche che ci sono state, oggi e sempre, dei messaggi senza senso a mie domande d'ansia fatte ad un amico fin troppo paziente.
Sono entrata l', cinque amiche e non so bene quanti compagni di classe a sentire, la paura che inizia a scemare quando vedi una professoressa a te sconosciuta illuminarsi al titolo della tesina, scema quando esponi e rispondi al massimo delle tue capacità.
E' vittoria quando rispondi a tutto, anche se a tentoni davanti ad una materia che proprio non riesci a comprendere. E' vittoria quando ti senti dire che "il compito non serve che te lo faccia vedere: è praticamente perfetto". E' vittoria quando ricevi i complimenti da tutti, ma non per i complimenti in sé, ma perché sai di avercela fatta.
Non sarò il voto d'uscita, sarò quella che è riuscita ad essere fiera di sé, a farcela, sarò quella dell'abbraccio pieno d'ansia alle amiche venute per lei, ma che ride e scherza per nascondere la paura che in realtà la sta divorando. Sarò i sacrifici fatti, le cadute e le soddisfazioni conquistate lottando nonostante di cadute, negli anni e negli ultimi mesi, ne abbia fatte tante. Sarò i complimenti ricevuti pensando "ma per cosa!?", ma soprattutto sarò il "voglio diventare una giornalista nel campo dello spettacolo" in riposta a cosa vorrò fare dopo, detto per la prima volta ad alta voce davanti a degli adulti senza doverci minimamente pensare, ricevendo in risposta "trova gli agganci giusti, le possibilità ci sono".


(ore fa erano parole sudate, parole fresche e calde, come il sole sulla pelle durante un pomeriggio fuori con le amiche. Adesso, qualche ora dopo, sono asciutte, meno fresche, ma sempre calde.)

venerdì 26 giugno 2015

In tutto queste settimane, quando dicevo che io non avrei avuto paura dell'orale della maturità, se avessi fatto almeno decentemente gli scritti, mentivo.
Più si avvicinano i giorni, più mi cago addosso (buonasera finezza!) e più sono convinta non sapere un cavolo.
Voglio piangere. Maledetta me stessa e il mio voler sempre fare le cose al meglio delle mie capacità!

mercoledì 24 giugno 2015

Bere via la malinconia.

Stasera vorrei essere in spiaggia con una bottiglia di vodka, bere via questa maledetta inadeguatezza, questa maledetta solitudine che mi sta scavando dentro.
Vorrei essere in spiaggia con una bottiglia di vodka, buttare giù sorsate alla menta come giovedì scorso, fregandomene di tutto, fregandomene di tutti. Bere e pensare “magari ora smetto di pensare”, che poi se prende peggio quando bevo posso benissimo fingere che mi sia presa male per qualsiasi stronzata che tutti ci crederebbero.
Vorrei essere in spiaggia, non pensare a nulla, fingere di essere come tutti, quando mi sento l’ultima degli ultimi.

sabato 20 giugno 2015

Pensieri scomposti.

Lunedì ho la terza prova, per cui stranamente provo meno ansia che per le altre, anche l’idea dell’orale non mi sembra poi così terribile. Forse era vero che era economia a causarmi tanta ansia, che poi all’orale c’è e sarà un disastro, ma non mi posso giocare l’esame per il suo orale. Lo scritto è andato discretamente bene.
Lunedì ho la terza prova, giovedì due luglio l’orale e poi sarò libera, anche se per sentirmi libera davvero la mia testa aspetterà l’uscita dei risultati. Mi manca ancora un po’ per porre finalmente fine al lungo - troppo lungo - capitolo della mia vita da studentessa delle superiori, ma nonostante davanti a me ci siano ancora dei giorni da affrontare, io sono già a studiare come iscrivermi all’università.
Mi sento ad un passo dal diventare grande. Ho paura, ma stranamente non è una paura paralizzante.

martedì 16 giugno 2015

Break a leg.

Ho scritto diverse parole a penna, ma sono tutte sconnesse tra loro, sono una parte troppo mia per essere trascritta.
La notte prima dell’esame la passo in una stanza, da sola, con le cuffie che mi sparano nelle orecchie un cd misto che mi hanno fatto per il compleanno. Ora c’è Ed Sheran che canta, Afire Love. La canzone più mia che lui abbia mai scritto, alla prima notte si è alzata la pelle d’oca: ho capito cosa mi manca stasera.
C’è un’unica persona che avrei voluto sentire oggi, c’è un’unica persona per cui oggi sarei voluta uscire di casa, un’unica grande persona che non c’è più, che non c’è più da tempo. Avrei voluto nonno. Avrei voluto averlo qua, grande e stabile come la persona che era davvero, non la persona stanca di vivere dell’ultimo anno.
Ed Sheeran continua a cantare, io sento l’ansia diventare più contenibile, gli occhi più lucida.
Ricordo il mio primo giorno di scuola in questa scuola, ricordo con cosa coincide. Ricordo cosa mi sono ripromessa quella sera, qualche giorno dopo, mi ricordo che tra tutte le difficoltà, tra le lacrime della mia età, tra i miei sorrisi migliori, tra quelli più finti, tra tutte gli scivoloni, tra tutti i “non ce la faccio, non mi ammettono”, io sono ad un passo dal mantenere la mia promessa: renditi in piccola parte fiero di me.
La notte prima degli esami la dedico a quelli occhi color del cielo che mi porto dentro, la dedico a me stessa a tutte le volte in cui credevo di non farcela e ce l’ho sempre fatta. “E’ solo un esame, la vita è piena di esami”.
Break a leg, come direbbero gli inglesi a teatro, maturandi, a me.

May the valeriana be with me.

Domani ho la prima prova, lo sto realizzando lentamente, minuto dopo minuto. Non so bene in che condizioni ci arriverò, ma di certo non buone - ho appena visto il video di Aldo, Giovanni e Giacomo e più che sorridere o ridere, mi ha fatto venire voglia di piangere - e questa cosa che “la prima prova è una cavolata”, “ma di cosa ti preoccupi!? Tu sai scrivere benissimo” dovreste andarlo a dirlo al mio subconscio che ha deciso di farmi sognare di avere i documenti completamente bianchi, nessuno mi ascoltava e mi ritrovavo a consegnare dopo sei ore senza aver scritto nulla.
Non so neanche se supererò la maturità, se riuscirò ad arrivare alla fine potendo rispondere alla domanda “dopo cosa vuoi fare” con un “continuerò, andrò all'università cercando di realizzare i miei sogni” potendo davvero pensare al futuro, ma so che oggi è la giornata più lunga della mia vita e ora, dopo questa pausa da “sto rispondendo a più mail che altro”, me ne torno a studiare.

sabato 13 giugno 2015

"Se non rischi non puoi mai sapere come va".

E' strano quando per una volta - forse per la seconda volta - provi un po' a rischiare, come se stessi guidando su un rettilineo dove non ci sono né ostacoli né altre macchine e allora premessi un po' l'acceleratore, superando il limite di velocità, non di tantissimo, ma quello che basta per provare un po' di brivido essendo una di quelle persone che restano sempre nei limiti, che questo limite non lo rischiano mai, che si fermano sempre agli stop, che danno sempre le precedenze. Vai tranquillo, fai un po' di metri così, quelli che per te sono parecchi metri, magari anche un chilometro e allora inizi a credere che possa andare bene andare a questa velocità, che non succederà nulla di male, che andrà tutto bene, ma poi all'improvviso succede qualcosa, sbandi, perdi il controllo della macchina e colpisci accidentalmente qualcosa. Non è un incidente grave, nessuno si fa male seriamente, la macchina è ammaccata ma non distrutta, tu che guidavi sei dolorante, forse qualche livido, qualche graffio o contusione, ma niente di grave A cos'è servito tutto questo? A ricordarti che non devi rischiare, che non ne hai né le capacità né la possibilità né il diritto.
"Se non rischi non puoi mai sapere come va". Poi ci sono io, che lo so, ma ogni tanto rischio e finisco a sbattere.

giovedì 11 giugno 2015

Continuo a sentirti nell'aria quando sei vicino, che forse non è nell'aria che ti sento, ma ti sento in ogni cellula del mio corpo che si attiva come un campanello d'allarme. E' successo anche oggi, quando sei passato per strada, passandomi accanto senza accorgerti che ero lì - e senza che io riuscissi a dirti "brutto stupido ciecato!".
Ci sentiamo meno, tu sei sempre via e le notte che ci sei, io sono crollata da ore a dormire sotto un'ansia atroce che mi causa incubi, e Dio solo sa quanto vorrei parlarti, raccontarti tutte le preoccupazioni dell'ultimo periodo.
Vorrei raccontarti che non è vero che ora che mi hanno ammesso all'esame sono più tranquilla, continuo a cagarmi sotto come pochi. Vorrei raccontarti che mi piacerebbe che venissi anche tu, perché saresti l'unico amico a passarmi una sigaretta uscita dall'orale, ma che non avrei mai le palle di chiedertelo. Vorrei raccontarti di quanto sia simpatico l'amico della mia amica e quanto ogni giorno mi piace vedermi arrivare suoi messaggi, spesso inerenti a concerti o alla musica, dove finisce spesso a chiedermi quando salgo e di quanto io abbia paura, ma di quanto la stia affrontando, mettendo via le paranoie, tanto da scrivergli io un paio di volte o non evitare le sue battutine; vorrei raccontarti che mi ha consigliato un gruppo, fartelo sentire dicendoti "so che oramai stai sentendo tutt'altro genere". Vorrei sapere di come stai te, di quella ragazza con cui ti sentivi, di quell'altra che tirava scemo giocando con te, di come sta andando la tua vita, della tua gatta che amo da morire e se c'è ancora un pochino di spazio per me.
Vorrei non essere sull'orlo di un'altra crisi di pianto per lo stress e tutto il resto.
Vorrei non continuare a chiedermi "perché cazzo sento quanto ti vedrò per strada?".

giovedì 28 maggio 2015

Piccole maturande disperate.

Alterno momenti di imprecazione o santi disturbati in maniera poco carina a momenti di pianto perché non so ancora se riesco a farmi ammettere alla maturità. Tutti dicono di stare tranquilla, io oggi ho saltato il pranzo dopo una giornata scolastica disastrosa e salterei volentieri anche la cena, passando direttamente all’uscire e al mio drink alcolico.
Ho da studiare per quelle materie di cui vogliono altri voti, quelle da alzare per stare tranquilla, quelle da alzare perché so di poter far di più e il mio otto in italiano lo voglio, come voglio almeno sette in storia e spero di essermi abbassata psicologia che sotto ad un certo voto mi scoccia di principio averla e oltre tutto questo dovrei anche cercare e buttare giù la tesina, visto che s’è fatta ‘na certa e (si spera) di doverla consegnare poi fa non troppo tempo.
Avrei bisogno di giornate da quarantotto ore e settimane da quattordici giorni.
Ora vado a fare i biglietti di francese, poi cena e poi, per una cavolo di sera, abbandono i libri e esco, fingendomi una ventunenne qualunque che non ha perso troppi anni.

domenica 24 maggio 2015

Felling like a 15 years old girl.

Vorrei essere nata con meno maturità, ma più coraggio nel rischiare di conoscere qualcuno che sembra interessarsi a me o con qualcuno che interessa a me.
Vorrei essere nata con meno paranoie, ma più ingenuità per non valutare sempre ogni pro e contro delle cose.
Vorrei essere nata con meno “se” e “ma”, ma con più capacità di provarci, di buttarmi, di vedere come va.
Vorrei non avere la maturità di una persona più grande dei ventuno, ma la capacità relazionale con l’altro sesso interessato/interessante di una quindicenne.

(O almeno, vorrei essere nata in un universo parallelo dove uno legge i messaggi in un tempo accettabile e risponda in un tempo accettabile. Porco schifo).

martedì 19 maggio 2015

Dopo anni ho cambiato titolo al blog - l’url non sarà mai che cambi, troppo mio, troppo parte di me - e forse sto iniziando a rivoluzionare la mia vita dai miei spazi (digitali).

lunedì 18 maggio 2015

When I wanted more, yeah, you had enough.

Credo di essere andata avanti o, se non ci sono ancora pienamente riuscita, credo di essere quasi andata avanti. Non provo più gelosia o un senso di privazione quando inizia a conoscere una nuova ragazza, ma solo una grande speranza che questa sia quella giusta, non l’ennesima che finirà col ferirlo. Non provo più quel magone allo stomaco dato dal “cos’ha lei più di me? E’ più bella, lo posso accettare, magari ci sa fare coi ragazzi, ha più esperienza di me, ma per il resto? Cos’ha che io non ho?”, dal pensarlo e non poterlo dire.
Sto imparando a superarlo, senza intestardirmi sul “non devo evitare di provare questo!” come ho sempre fatto, ma lasciando andare le cose per il loro corso, come mi disse qualcuno già molti anni fa per altre storie. Lascio seguire la corrente ai miei sentimenti, prima o poi raggiungeranno il mare e saranno superati, ma a volte scontrano un masso, si incagliano da qualche parte così finisco a ripensare che sarebbe bello se, un giorno, avessero ragione le amiche nel dire “voi due, prima o poi, finirete per stare insieme”. Sarebbe bello perché so che ci metteremo l’anima per far funzionare le cose, ma non per un disperato bisogno d’amore da entrambe le parti, ma perché se non ci impegnassimo rischieremo di perdere quello che abbiamo già, perché poi arriverebbe il rancore, il sentimento del “ma se noi…” e col rapporto che abbiamo lo diremmo all’altro, finendo a ferirci a vicenda. So che io e te ci proveremmo così tanto a fare andare le cose che, forse, andrebbero davvero e non saremmo mai quelle coppiette smielate, io non sono il tipo, tu un po’ e ci compenseremmo a vicenda, il mio niente e il tuo tanto. So che sarebbe bello, ci penso ogni volta che i sentimento scontrano qualcosa mente sono trascinati dalla corrente, ma pian piano sto imparando ad andare avanti, a non sentire dolore, a lasciarmi dietro questi pensieri finendo a godermi di più l’amico che sei.
Non è facile, è come quando inizio a scrivere parlando in terza persona e finisco col tu, perché la terza persona con te non c’entra una beata minchia. Non è facile, ma ora ad esempio non sono gelosa della ragazza che hai conosciuto a ballare e che ti ha colpito subito, ma non solo perché eri fuori, sono solo preoccupata perché non è una situazione facile, tra la distanza tra voi, quell’altro dettaglio non trascurabile della vita di lei che ti sta preoccupando e su cui ho cercato di farti ragionare, ma che m’ha reso fiera di te, perché non sei scappato, ma ti sei fermato a riflette, a prendere una decisione coraggiosa. Non è facile, perché un po’ l’orgoglio di avere un amico con le palle che, nonostante le cazzate, ha la testa sulle spalle, si confonde coi sentimenti, ma so qual è la cosa che sento maggiormente per te ora e non fa più male
 Sto andando avanti. Ce la sto facendo.
(E tu continui a rimanere, nonostante il tempo, nonostante quanto io sia una pessima amica, nonostante quanto io sia incasinata, paranoica e rompi balle. Potrei essere più felice?).

giovedì 7 maggio 2015

Torno sul blog dopo mesi, oltre ad aver notato che dovrei esteticamente rivoluzionarlo tutto da zero, mi rendo conto che da quando ho scritto l'ultima volta, nonostante continui a schiantarmi contro muri a tutta velocità facendomi male, sono ancora in piedi, più o meno intera, più o meno viva.
Ho preso diversi treni, ho fatto qualche weekend altrove, respirato smog e posti nuovi, ho accumulato sorrisi, risate ed abbracci, soprattutto nell'ultimo periodo, ricordandomi che io vivo per le piccole cose e non per le grandi cose, non per l'amore di qualcuno, non per storie felici. Bastano le piccole grandi cose, me lo ricordo ogni giorno passando davanti ad uno specchio e vedendo la treccina colorata, me lo ricordo chiudendo gli occhi e ricordandomi che sono sopravvissuta agli ultimi mesi, posso sopravvivere ancora.

mercoledì 18 febbraio 2015

Io tendo a te ed è infinita caduta.

Il nostro rapporto è diventato un limite matematico, che è il concetto più triste della matematica. Nei limiti "x -> 1" vuol dire "x che si avvicina ad 1, ma non è esattamente 1, perché non lo raggiunge mai".
Io sono x, tu sei 1.
Io tendo a te, mi avvicino a te, forse così tanto da poterti sfiorare, ma non ti tocco mai. Io tendo a te senza mai raggiungerti.
Io sono x, tu sei 1, io tendo a noi, ma ottengo solo un'infinita caduta verso il basso, una cosa che, se non sbaglio, matematicamente potrebbe essere espressa come


E' straziante tendere a te senza mai raggiungerti, senza mai poterti raggiungere.
Una volta credevo che le rette parallele si incontrassero nell'infinito, ma ora credo nei limiti. Credo in questa infinità di numeri tra 1 e 2, che perfino 1,5 mi sembra un numero lontanissimo da entrambi; credo in questa terribile cosa di tendere senza essere, senza raggiungere.
E la cosa peggiore, sai qual è? E' che io i limiti non li so risolvere.

lunedì 9 febbraio 2015

Non voglio dimenticare niente, non voglio dimenticare te.

Ciao nonna,
è notte fonda, io ho ancora qualche lacrima che mi scorre sul viso dopo aver finito un film, tu non ci sei più da anni e non conto solo quelli della tua effettiva morte, ma nel tuo non esserci ci sei sempre stata.
Ho guardato un film che si intitola “Still Alice”, parla di una donna affetta da Alzheimer prococe… il tuo non era precoce, durante il film ho fatto due conti e i primi sintomi si sono manifestati intorno ai settant’anni, non credo si possa parlare di “precoce”. Qualche lacrima sta ancora scappando, avrei dei messaggi a cui rispondere, i capelli da sistemare, scegliere cosa mettere per il primo giorno di stage e invece batto veloce sulla tastiera, solo perché so che se scrivessi a penna sarei ancora più in lacrime mentre voglio rimanere lucida scrivendo queste parole.
Ho riconosciuto ogni sintomo che vedevo in quel film, fin dal primo momento quando altri forse non ci avrebbero neanche fatto caso, io riconoscevo i sintomi ed ogni sintomo, ogni parola persa, ogni nome mancato, ogni attimo di smarrimento erano per me una pugnalata, sale su una ferita mai veramente rimarginata, una paura resa realtà. Dio, sapevo che questo film mi avrebbe straziato, ma non sapevo così tanto. Non avevo immaginato che in ogni cosa avrei ritrovato te, ricordandomi quanto avrei voluto essere più grande, aver goduto prima di te, averti potuto dire tante cose che non c’è mai stato tempo di raccontarti, di farti sapere. Avrei voluto vedessi chi sto diventando, anche se per te sono sempre stata bella, speciale.
Avevo sedici anni quando te ne sei andata, non riconoscevi più nessuno, eri un vegetale dal viso scavato, una donna minuta diventata così piccola che nelle poche volte che ti ho visto prima che te ne andassi ho avuto la sensazione che se ti avessi sollevato dal letto ti saresti spezzata in così tanti pezzi che non ti si poteva ricomporre. Te ne sei andata così in un giorno d’estate, ma tengo caro quell’attimo di lucidità dove m’hai guardato da un letto d’ospedale, ho rivisto i tuoi occhi e m’hai mandato un bacio. Stop. Momento finito. Ti sei spenta. Non ti ho più rivista.
Avevo sedici anni, la prima bocciatura in arrivo, anni di te che ti spegnevi negli occhi, di te che ti scordi di me, di nonno che ti guardava spegnerti senza sapere come tenerti con sé, tutti che a modo loro soffrivano e nessuno che lo dava a vedere. Ho dormito tre giorni con un peluche che mi regalasti quando ero bambina nel letto, ero a pezzi. Eri il primo pezzo della mia vita che se ne andava davvero, il mio ponte con l’infanzia, coi bei ricordi, che cadeva ed io non potevo più raggiungerlo. Avevo sedici anni e mi sembra così tanto tempo fa.
E’ il nove febbraio, tra quattordici giorni sarebbe il tuo ottantasettesimo compleanno, tra ventuno giorni è il mio ventunesimo compleanno e non riesco a ricordare da quanti anni non mi fai gli auguri per il mio compleanno, Dio, questo mi sta facendo così arrabbiare, perché come posso essermi dimenticata una cosa così? Ora sarebbe importate. Tutto sarebbe importate. Sai nonna, salto di palo in frasca in queste righe, forse colpa delle lacrime, dei troppi pensieri, dei ricordi che mi affollano la mente, ma c’è una cosa che vorrei tanto scriverti per quanto stupido sia scrivere ad una persona che non c’è più: ho al collo un tuo ciondolo, nei momenti tristi, nei momenti di sconforto, di debolezza o di mancanza di forza di volontà, lo stringo e tiro avanti. Sei sempre con me in ogni sorriso che faccio.
Non voglio dimenticare niente, non voglio dimenticare te.

domenica 8 febbraio 2015

#5

Ogni tanto mi pongo domande di cui temo così tanto la risposta che le lascio consumare dentro di me mentre consumano me, il mio sonno e la mia tranquillità, senza che le ponga a qualcun'altro in cerca, se non di risposte, perlomeno di un confronto, di un parere. Ultimamente credo di averne accumulate troppe di questo tipo di domande, per alcune sono arrivata alla ferma convinzione che non ci sia risposta o se c'è, è una risposta che mi ferirebbe soltanto, perché dopotutto sono umana anch'io e sapere che alcune risposte sono tipo "non eri abbastanza" o "lei era migliore di te" non mi renderebbero di certo più forte. Nonostante questo, però, io una domanda continuo a pormela incessantemente, soprattutto quando scherzando un'amica, conscia di quello che nascondo anche a me stessa, mi dice "dovresti lasciarlo perdere", soprattutto nei giorni della sua assenza o delle sue belle parole dedicate a quella che è solo un'amica.
Se una persona farebbe realmente di tutto pur di sapere che un'altra persona è felice, ma felice totalmente, incondizionatamente, la prima persona citata che sentimento prova per la seconda?
Io cosa provo?
E che l'inchiostro macchia un'altra pagina, io continuo a chiedermi cosa abbia di sbagliato, perché non sia mai io la scelta, ma anziché esserne realmente ferita, mi convinca sempre di più a voler lottare per sapere felice qualcuno che sarà felice solo tra le braccia di qualcun'altro senza volere niente in cambio, senza pretendere nulla se non di rimanere nel mio piccolo spazio che mi sono fatta nella sua vita. Vomito parole, macchio di inchiostro pagine su pagine, ma non trovo risposte, ma non mi svuoto mai.

giovedì 5 febbraio 2015

#4

Vai sul profilo Facebook di un parente solo per leggere una poesia dedicata ad una piccolina che si è trasferita a troppi chilometri di distanza e a troppe ore di viaggio per regalarci ancora ingenui sorrisi non perfettamente dentati, ma anziché a leggere quelle parole, ti ritrovi a leggere:
"Ad un grande equivoco esistenziale per cui, se per un amico/a sei disposto a dare e fare tutto senza pretendere nulla in cambio, non significa che c’è amicizia, ma Amore. E’ questo il sentimento vero che dovrebbe regolare i rapporti umani!"
E allora ricominciano i dubbi, le voci nella testa che sebbene siano metaforiche portano fuori di testa, portano notti insonni che ad ogni messaggio sono accompagnate da coltellate. Portano di nuovo sensibilità in cicatrici che dovrebbero essere perfettamente guarite.

domenica 1 febbraio 2015

#3

Più mi manchi, più mi mangio le unghie delle mani.
In questo momento, ho delle mani da far paura, chissà se è chiaro quanto mi manchi.

venerdì 9 gennaio 2015

#2

Ci sono constanti nella mia vita che vorrei fossero variabili e variabili che vorrei fossero costanti.
Tipo vorrei fosse una costante la sicurezza nei miei obiettivi e vorrei fosse una variabile l'insicurezza nei rapporti umani.

mercoledì 7 gennaio 2015

#1

Ho paura di perderti per la ragazzina dai capelli rossi e questo mi impedisce di respirare più del raffreddore.

giovedì 1 gennaio 2015

Every new beginning comes from some other beginning's end.

Ho finito il duemilaquattordici ridendo a crepapelle ed ho iniziato il duemilaquindici ridendo ancora di più con buona parte delle persone che mi danno forza al mio fianco, non tutte le persone che mi danno forza, ma almeno buona parte sì (forse, la parte migliore), in una città che avevo solo sfiorato con addosso un vestito che non so se avrò mai il coraggio di riusare. Ora scrivo a computer, con una stanchezza enorme addosso, le parole migliori le ho scritte stanotte, seduta sul letto in albergo con un po' troppo alcol in corpo, ma la mente ancora lucida, ma quelle parole sono troppo mie per poterle rendere pubbliche, perché ci sono cose che a trascriverle si perdono e io non voglio perdere niente.
Ho deciso che quest'anno passo da sopravvivere a vivere e l'ho deciso quando il Grog (mi domando ancora che cavolo fosse quel liquore bollente che ho buttato giù!) mi ha fatto brindare al nuovo anno con l'augurio di "meno Karma, più palle".