mercoledì 27 aprile 2011

L'eye-liner colato sarà come una ferita di guerra.

Amami per una notte, divorami tra le lenzuola mentre Patty Smith canta che la notte appartiene agli amanti, che la notte appartiene a noi e allora amiamoci per una notte e non di più. Amiamoci per una notte, curami le vecchie ferite e creane di nuove al risveglio.
Amiamoci, perché la notte appartiene agli amanti e può appartenere a noi. Amiamoci perché io sono sola e tu sei un quella fase della vita dove il sesso senza impegni dovrebbe essere un sogno.
Amiamoci per una notte, feriscimi, prenditi quella parte di me che nessuno si è mai preso e non parlo solo in senso materiale o sessuale, parlo di quella parte di cuore che nessuno ha mai voluto.
Amiamoci per una notte, senza impegni e ognuno, alla mattina, si riprende la sua vita e ci separeremo, io con le mie nuove ferite e tu col tuo sorriso.
Amiamoci e dormiamo insieme, non abbracciati perché sarebbe come dirti di restare e con quale diritto potrei chiedertelo? Tu dormiresti ed io non ti abbraccerei, guarderei le tue scapole e scoprire se sono macchiate di nei o se sono bianche e candide. La notte appartiene a noi e allora dormire anch’io, perché questa notte continui ad appartenerci.
Amami come si amerebbe una puttana che si prostituisce per non essere sola. Amami senza impegno, senza amarmi davvero. Sesso fine a se stesso per te, non per la puttana sola.
Amami, sporchiamo le lenzuola troppo candide, dormiamo insieme coi nostri corpi che si sfiorano e poi vattene alla mattina ed io ti guarderò andare via e sul mio volto l’eye-liner colato sarà come una ferita di guerra.

venerdì 22 aprile 2011

Non ho mai capito perché i fili delle collane o sono troppo lunghi o sono troppo corti. Valesse solo per le collane sarebbe okay, ma è tutto sempre un troppo qualcosa.
Filo troppo lungo o troppo corto.
Troppo bianco o troppo nero.
Sì o no.
Bene o male.
Le sfumature sono solo una convinzione. E' tutto una cosa od un'altra.

domenica 17 aprile 2011

Vorrei scriverti una lettera, sai? Ma non una di quelle dove si parla di un noi che non c'è e non ci sarà mai o una di quelle dove si scrive che dell'altra persona vorresti sapere tutto. No, vorrei scriverti una di quelle lettere dove si parla di se stessi denudandosi di tutte le paura. Vorrei scriverti una lettera parlandoti di me senza alcun freno, ma tu la legeresti mai una lettera del genere?

venerdì 15 aprile 2011

Ho avuto la faccia in fiamme e le guancie di un rosso così acceso che l’avrà notato anche lui, in quel minuto che è stato ad ascoltare cosa volesse da loro la bidella prima di tornare sui suoi passi. Ho rischiato di schiantarmi contro la porta, mentre (a causa sua) mi ripetevo mentalmente “inpira ed espira” perché volevo star calma per me, perché non mi sopporto quando mi faccio dominare dai “batticuore”. Ho perso un battito lanciando uno sguardo verso lui, con lei – devo dire la sua lei o basta lei? -, non credo che lo recupererò facilmente, almeno non oggi.
Chiudo gli occhi, lo penso mentre Myles Kennedy canta “I set out on my own / Just to breathe again / Touch the light that calls me home / Just to reach the end / Where I'm free to breathe again” e conto i batticuore rinchiusi nella mia gambia fatta di costole, conto quanti ne sono rimasti. Ne manca uno, ne manca irrimediabilmente uno.

mercoledì 13 aprile 2011

Cose da fare nella vita (anche se il titolo a matita era "cose da fare prima di morire", ma metteva troppa tristezza).

Vedere New York in tutte le stagioni e in tutte le sue sfaccettature. Vedere la primavera a Central Park. Andare a Tokyo. Girare l’Europa. E l’Oceania. E l’America. Visitare la tomba di Bukowski. Macchiare la pelle con inchiostro indelebile più e più volte. Fare la cosplay. Stringere la mano ad un paio – o forse son più di un paio – di musicisti con le palle e contro palle. Vivere di musica. Suonare, emozionarmi ed emozionare. Finire una storia. Riuscire a superare i miei ostacoli nella scrittura. Superare tutte le mie fobie. Vivere in una mansarda in qualche capitale europea. Vivere circondata da libri e cd. Non essere più sola tra fogli scritti, libri e cd. Convivere con le mie emozioni. Smettere di essere fredda e cinica davanti alle emozioni. Sporcare di vita le lenzuola insieme a qualcuno. Riuscire ad innamorarmi. Diventare forte. Ricucire ogni ferita in modo che non ne resti neanche la cicatrice. Vedere le ferite di chi merita guarite. Vedere certa gente Felice. Dimenticare. Vivere.

domenica 10 aprile 2011

Sei quello che resta dopo un cappuccino ed una sigaretta.

Sai ho trovato il mio equilibrio, anche se un anno fa non l’avrei mai creduto possibile. Ho iniziato a fumare, a bere il cappuccino chiarissimo, perché il caffè non mi piace granché, mi sono buttata sulle Benson Blu – e il blu mi ricorda il cielo e non più le lacrime – ed ho ridotto le dosi di estathè.
Sai, un anno fa a pensare a te, a parlare di te mi si spezzava la voce, ma ora rido. Ho trovato il mio equilibrio senza di te e ti ho dimenticato, chi l’avrebbe mai detto che ci sarei riuscita davvero?
Sei quello che (mi) resta dopo il cappuccino e una sigaretta. Il buon sapore in bocca e le mani che odorano di fumo.
Sei solo un ricordo di cui sorridere.

sabato 9 aprile 2011

Aver capito finalmente l'inutilità delle chiese e dei duomi.

Sei in giro, con un bisogno urgente di far pipì, ma un bisogno così urgente che ti ritrovi persino a ripetere "sei in mezzo al deserto, qui non c'è acqua che possa stimolarti" e arrivare a pensare di fare pipì in ospedale, perché al bar ti vergogni a chiedere, ma scartare l'ospedale perché:

  • L'ospedale ti mette ansia e, quindi, andare in un ospedale per fare pipì non è pensabile.

  • Ti vergogni ad entrare.

  • Motivo più importante: andare al bagno dell'ospedale ti sa tanto di drogato disperato.

Così, ti ritrovi a passare davanti ad una chiesa, chiedere alla tua amica se secondo lei c'è un bagno e ti senti rispondere che il bagno se c'è, è in sacrestia e quindi escludi la chiesa. Ti ritrovi a fare la stessa scena davanti al duomo e anche lì la stessa risposta. Ora voglio a sapere a cosa servono le chiese ed i duomi se uno è bisognoso di un cesso e loro non ti aiutano ad averlo!


- E volevo che questo blog fosse un blog serio. Pft, io non sono seria, quindi neanche lui può esserlo.

venerdì 8 aprile 2011

When you see my face hope it gives you hell.

Sai, m’ero ripromessa di non scrivere mai più su di te. Mai più. Molto probabilmente “mai più” era un tempo troppo lungo per me.
Sai, m’ero ripromessa di non scrivere mai più di te dopo averti visto e dopo essere palesemente ignorata da te. E m’ero ripromessa anche di non scrivere mai più di te nei momenti in cui sento freddo perché i tuoi abbracci non li sento da mesi e mesi e mesi.
Sai, è che oggi sono nervosa a causa tua, ma non perché non ti ho visto o perché ci son stati due giorni di fila che hai accennato quel tuo stramaledetto sorriso sghembo che adoro – adoravo -, no sono nervosa a causa tua perché ci sono giorni, quando fuori fa caldo e dentro fa freddo, che mi ricordo com’era caldo dentro quando finivo stretta contro il tuo petto, perché il vantaggio di essere bassa non era sentirsi dire che come me ne saltavi tre, era finire stretta con la guancia contro il tuo petto ed era bello, dannatamente bello.
Sai, una persona normale o una persona un po’ meno orgogliosa al tuo accenno di sorriso avrebbe risposto con un sorriso, come a dirti “hey, sono ancora qua ad aspettare che ti decida a salutarmi!”, ma sai forse è che mi sono fatta più furba; ho acceso il cuore, sì, son più umana e meno androide, ma il cervello c’è sempre e quello son due giorni che mi salva dal cedere ai tuoi riccioli e a quel maledetto sorriso sghembo.
Sai, mi manchi, lo ammetto. Mi manchi, perché dentro a quelle braccia avevo trovato un piccolo porto sicuro o almeno credevo che lo fosse. Mi manchi, perché tu mi sapevi ridare l’ossigeno che il ghiaccio e il freddo mi toglievano. Mi manchi, perché mi facevi scrivere quella dannata storia che ora sta marcendo in una cartella del computer. Mi manchi, perché i tuoi abbracci stretti contro al tuo petto mi facevano sentire protetta. Mi manchi, perché amavi i Guns’n Roses ed è stata la prima cosa, ad inizio anno, a farmi rivalutare l’antipatia che a pelle mi avevi fatto venire. Mi manchi, perché era bello poter toccare quei riccioli neri che, cazzo, son perfetti. Mi manchi, perché mi facevi ridere e sorridere come non facevo da prima di rompermi la gamba e prima lo facevo pure raramente di sorridere così, diciamocelo chiaramente. Mi manchi, perché i tuoi abbracci mi piacevano così tanto da farmi cadere in una meschine dipendenza. Mi manchi, perché eri un amico.
Ma sai che c’è? C'è che spero che quando vedrai la mia faccia lei ti dia l'inferno. Spero che quando tu mi vedrai e tra noi ci saranno due persone e tu accennerai il tuo sorriso sghembo, spero che la mia faccia ti dia l'inferno. Sì, la ragazzina che era dipendente dai tuoi abbracci e che ora ha deciso di disintossicarsi da loro spera vivamente che quando vedi la sua non adorabile faccina lei ti dia l'inferno.
E tutto questo con tanto affetto lasciato a marcire e che presto, dopo una bella disintossicazione dal ricordo dei tuoi riccioli e dei tuoi abbracci, finirà nel cesso.

martedì 5 aprile 2011

E' che la primavera mi fa allergia al cuore, o a quello che ne resta dopo anni di prigione e botte.

La primavera fa male alle persone, le fa rincitrullire, come diceva Tamburino. E non solo le persone, anche la natura si rincitrullisce.
La primavera mi fa pizzicare gli occhi, mi fa prudere il naso e le braccia.
La primavera mi fa allergia al cuore, o a quello che ne resta dopo anni di prigione e botte.
La primavera mi fa allergia al cuore e tu mi fai allergia al cervello.
La primavera mi fa allergia al cuore e tu ti infili in ogni santa parola che scrivo e risultano, ai miei occhi e alle mie orecchie, stucchevoli.
E’ che la primavera mi fa allergia al cuore, o a quello che ne resta dopo anni di prigione e botte e tu mi solletichi lo stomaco, i polmoni e la pelle come questo sole primaverile.

E i colori dei campi di tulipani mi riempivano gli occhi e il cuore.

E sto guardando le foto fatte un anno fa in Olanda e ci sono io, in quelle rare foto dove compaio, che mi sembro un’altra persona; non sono i capelli lunghi con la frangia o le stampelle a farmi strano, sono gli occhi. Erano spenti, vuoti. Che poi ci tornerei, là. Ci tornerei di corsa. Ci tornerei per l’aria pulita e le persone che giravano in bicicletta e non in macchina. Ci tornerei per Amsterdam e rivederla tutta camminando senza maledire tutti i Santi possibili per il dolore alle mani. Ci tornerei per le case tipiche e ci tornerei per i colori dei campi di tulipani che mi riempivano gli occhi guardandoli dal pullman. E i colori dei campi di tulipani mi riempivano gli occhi e il cuore. Mi sentivo piena, piena come non mi sentivo da un po’ e come non riesco a sentirmi da quando l’aereo a toccato il suolo italiano. Ci arrivo vicina, ma i colori dei campi di tulipani non li ho più rivisti. E com’erano belli, veri ed allegri, i campi di tulipani.