giovedì 22 dicembre 2016

Le mancanze sono strane, stai bene per giorni, non le senti quasi, poi vedi una foto e ti ritrovi con il telefono in mano, un messaggio già scritto ad un passo dall'inviarlo, ma poi rileggi cosa dicono gli ultimi messaggi e allora cancelli senza inviare.
Sono strane, perché a tavola madre ti chiede cosa farai con tuo padre per Natale, le racconti che farai il solito giro di tutti gli anni, che i figli della cugina di papà sono già a chiedere di me e pensi a chi, invece, non ci sarà per scelta e allora è un'altra morsa.
A volte è bello essere in sessione d'esame, almeno c'è altro a cui pensare.

domenica 18 dicembre 2016

Giovedì ho finito le lezioni del primo semestre, devo ancora staccare dalla parete di camera l'orario delle lezioni e quello dei treni (ho un grande rapporto con la tecnologia, ma su certe cose resto analogica), quindi in vista delle vacanze di Natale dove praticamente quasi tutto il gruppo migra al sud (tranne due, una migra a Nord e l'altra semplicemente fa ciao alla pendolarità, come me), abbiamo deciso che venerdì dovevamo salutarci come si deve. In sintesi, abbiamo tirato le cinque di mattina tutte insieme ed è stato coniato l'acronimo BAE (che non è né l'abbreviazione di Babe né Before Anyone Else o ancora Bitches Always Eating... anche se quest'ultimo, potrebbe pure andarci vicino), ma per una serie infinita di motivi, BAE resterà per tutti BAE, tranne per noi che eravamo insieme quella sera. Fatto sta che è stato un bel modo di salutarsi, in allegria, tra risate fino alle lacrime, cibo spazzatura e giochi trash.
Poi sono tornata a casa e mi sono ricordata che la prossima settimana è Natale e mi è presa la solita tristezza che mi prende tutti gli anni. Sono più di dieci anni che faccio fatica ad apprezzare pienamente il Natale, purtroppo sono i giorni in cui, da molti anni, mi rendo conto che la mia famiglia è solo un'accozzaglia di persone e tutte queste rimpatriate generali degli altri mi fanno un sacco di invidia. Non ho mai festeggiato un Natale con tutta la mia famiglia unita, non è mai stato possibile a causa di tutti i casini che ci sono sempre stati, ma negli anni sono arrivata ad un equilibrio abbastanza stabile che mi metteva meno tristezza (no, mettermi gioia no, troppo arduo), ma è andato a puttane. O meglio, è stato sbriciolato. Zia mia ha confermato quello che temevo: la vigilia e il "secondo giorno" (Santo Stefano, ndA) saremo solo io, lei, zio e padre. Basta. Tutti gli altri o saranno altrove o saranno ad evitare una o più persone, così del Natale di quando ero piccola resterà solo la zuppa nera per la Vigilia, ma tutte le persone presenti intorno al tavolo dei miei nonni non è rimasto quasi nessuno. La verità è che critico l'ipocrisia del Natale, ma mi piacerebbe tanto che la mia famiglia fosse ipocrita stringendosi intorno ad un tavolo, ma invece no. Siamo troppo onesti per buttare giù qualcosa anche solo per Natale.
Nota positiva, la madre di mia zia mi ha regalato due paia di calzini fatti a maglia dopo aver saputo che sono freddolosa. Teoricamente, dovevano essere il regalo di Natale, ma sono arrivata mentre zia li incartava, così sono già qua scartati. Sono la mia nuova gioia.

venerdì 9 dicembre 2016

E passerà così un altro inverno freddo poi magari con l'estate mi riscaldo. Tanto già lo so che non cambierà un cazzo, io per te non esisto.

Ho avuto una bella settimana, quasi fortunata, forse saranno i postumi di Milano, delle amiche, dei Finley, la burrobirra e tutte queste cose insieme,però, nonostante il buon umore e i colpi di fortunata, ci sono stati momenti in questi sei giorni in cui a volte mi fermavo a pensare "questa cosa devo dirla ad amicofratello!", ma poi mi ricordavo che "non possiamo più essere amici" e allora arriva il vuoto, il senso di smarrimento.
Martedì ci siamo incontrati per strada, io andavo in una direzione e lui in quella opposta, ci siamo passati accanto, io avevo voglia di abbracciarlo, di prenderlo a calci, di chiedergli perché ha fatto quello che ci eravamo sempre giurati di non fare mai, lui invece mi è semplicemente passato accanto e, come se nulla fosse, come se non fosse uscito dalla mia vita senza darmi diritto di replica, mi ha salutato. Un misero "ciao", niente più, niente meno. Io l'ho guardato camminando, ho spostato lo sguardo e non ho risposto per orgoglio e perché non sarei stato in grado di salutare senza dimostrare che, sotto sotto, ci sto male per la sua scelta.
E ora è venerdì, domani sono sette giorni e fa ancora male, perché ho un'infinità di cose che vorrei scrivergli - l'ultima, ad esempio è che è uscita una canzone de Lo Stato Sociale, "quel gruppo che proprio non riesco a farti piacere", e che mi ricorda una persona che non penso quasi mai - e non posso, perché nonostante la rabbia, lo smarrimento, la tristezza, io per lui voglio solo la felicità e allora accetto che "non possiamo più essere amici", perché a scelto lei ed è giusto così, se è la strada per la sua felicità, però io ho comunque il diritto di sentirmi smarrita, perché ho perso chi mi aiutava a capire le cose, il mio punto di vista detto da un altro.
Ho ancora attaccato in camera il post-it con una sua frase, detta poco più che un anno fa, e non riesco a staccarla, nonostante sono convinta che dovrei toglierla.
Chissà come saremo tra un anno, chissà quante volte ci saremo incontrati per strada senza salutarci, chissà se ci saremo mai riparlati, chissà se tra un anno avrò finito di appuntarmi le cose da dirti e, soprattutto, chissà se da qui all'anno prossimo avrai mai provato, almeno per un attimo, un senso di mancanza.
Ho avuto una bella settimana, non è ancora finita, ma sarà che a me il periodo mette sempre tristezza, ma sento tutto amplificato.

lunedì 5 dicembre 2016

Abbiamo perso il conto delle botte prese dalla vita, ma dimmi un'altra volta che non è finita.

Venerdì mattina sono uscita di casa che il sole non aveva ancora schiarito il cielo, perché volevo prendere l'autobus, arrivare nel paese con la stazione avendo il tempo di andare al bar che fa anche da forno per prendere la focaccia da portare a Milano ad un'amica che la voleva tanto. Sono salita in treno che iniziava ad albeggiare, uno zaino pieno di vestiti e una borsa stracolme di cose pregustandomi con tutto il cuore Milano, l'amicizia che mi aspettava, i mille progetti, le mille cose da fare, la necessità di staccare al spina, un concerto da vivere, una band e tante persone da rivedere.
Sulla carta, era tutto bello e, a dire il vero, lo è stato, di questo ne sono certa, perché ho un enorme sorriso sulle labbra. C'è stata una grande amica che mi ha spostato e mi ha trascinato nella sua quotidianità, portandomi persino a vederla ballare (e Dio, quanto è bello il suo maestro di ballo!); ci sono state le risate, i "quando salirai, ti dovrò portare" mantenuti, i momenti di disagio, le quasi cadute, le corse per i ritardi. Ci sono state un'infinità di momenti belli, di amiche riviste, di abbracci in stazione, ma c'è stato anche un singolo momento che ha increspato tutto.
Un momento che è un messaggio mentre sei sulle scale mobili che ti conducono alla metro; è un messaggio lungo, ma il contenuto semplice riassumibile in "ti ho considerato una sorella per anni, ci siamo sostenuti sempre, ma tra te e la ragazza gelosa, scelgo lei. Ciao. Non siamo più amici", semplice, lineare, doloroso, una doccia fredda. Non c'erano state avvisaglie, era tutto normale, era tutto tranquillo, poi questo. Ci sono io sbigottita che guardo le tre persone che sono con me, che cerco di capire, ma non mi riesce. Ci sono io che poi vado avanti, cerco di fare finta di niente e quindi rido di gusto, mi godo l'attesa di un concerto, finisco le maglie che dobbiamo finire tra mille scazzi, ci sono io che insieme alla metà di mille mangio al fastfood prima di andare al locale dove mi ritrovo a ricevere abbracci appena mi fermo. E' bello, è un tornare a casa, in un posto dove ti senti te al cento per certo. Ieri sera ci sono io, quella vera al cento per cento, sono stata quella che guarda l'Amica per trovare il suo sostegno quando scorge una persona tra la folla, quella che ha offerto i biscotti alla mandorla che le avevano portato, quella che ha riso, ha fatto figure di merda. E poi sul palco c'erano loro, quella band che mi ha fatto compagnia per dieci anni e allora è facile che persino una persona come me che non piange mai si ritrova le lacrime che corrono sul viso. Ci sono canzoni a cui sono legata da sempre, che sono state le mie compagne nei momenti no, quella che abbiamo sentito cercando di abbracciarci tutte mentre due di noi piangevano perché portavano con sé un'infinita di momenti passati ("senza di loro io non avrei conosciuto voi", ha detto una di noi. Dio, quanto è vero!), c'è la canzone che porto tatuata in nero inchiostro su bianco pelle e poi c'è quella canzone. Quella che dopo il messaggio di quel pomeriggio non vorrei sentire, sulla quale vorrei rannicchiarmi a terra cercando di non sentirla, ma non si può e allora ci sono le prime note che si infilano sotto pelle, gli occhi che bruciano sempre di più e un'esplosione che accompagna "il tempo di un minuto per spiegarti che poi mi devi tutto il tempo che ho perso con te" che però ti fa capire chi è tua Amica, perché basta una spalla su cui piangere mentre la folla canta e allora sai di non essere sola, sai che quella band sul palco ti ha dato così tanto da averti concesso un grande numero di belle conoscenze, ma soprattutto un piccolo numero di amiche fidate che sa quanto un gesto del genere non sia quotidiano per te. E allora passa, passa tutto, sopravvivi, ritorni quella di prima, anche se un po' svuotata. Loro non sono una band, non sono una parte semplice della mia vita, ma sono il porto sicuro in cui so che posso gettare l'ancora e fermarmi, perché sono in acque sicure, tranquille. Sono quelli che in questi dieci anni con la musica mi hanno salvato più e più volte, quelli che mi hanno "regalato" persone senza le quali non sai proprio immaginarti, nonostante i chilometri. E' bello come dopo il concerto sia facile mettersi lì e chiacchiere, a ricevere abbracci, prese in giro, scroccare sigarette, piccoli spoiler per un futuro che non si sa quando sarà. Ci sono ricordi che non scriverò, che tengo preziosi, ma che ieri mi hanno salvato da crollare.
Qualche ora fa, in treno, ero stanca, sentivo il bisogno di tornare indietro,di non arrivare a casa, non volevo tornare alla quotidianità, alle cose che mi avrebbero oppresso, ma invece sono qua, scrivo, anche se viene meccanico e non troppo spontaneo, e sorrido, sorrido nonostante tutto e non potrei essere più grata che per questo sorriso enorme, sfacciato, arrogante che dice "la vita mi ha fatto un altro sgambetto, ma non sono sola, ho dei momenti felici da ricordare, posso andare avanti, nonostante questo, nonostante l'ansia, lo stress e tutto quello che capita".



(le foto con le amiche non si mettono qua, ma queste due possono pure starci.)