lunedì 5 dicembre 2016

Abbiamo perso il conto delle botte prese dalla vita, ma dimmi un'altra volta che non è finita.

Venerdì mattina sono uscita di casa che il sole non aveva ancora schiarito il cielo, perché volevo prendere l'autobus, arrivare nel paese con la stazione avendo il tempo di andare al bar che fa anche da forno per prendere la focaccia da portare a Milano ad un'amica che la voleva tanto. Sono salita in treno che iniziava ad albeggiare, uno zaino pieno di vestiti e una borsa stracolme di cose pregustandomi con tutto il cuore Milano, l'amicizia che mi aspettava, i mille progetti, le mille cose da fare, la necessità di staccare al spina, un concerto da vivere, una band e tante persone da rivedere.
Sulla carta, era tutto bello e, a dire il vero, lo è stato, di questo ne sono certa, perché ho un enorme sorriso sulle labbra. C'è stata una grande amica che mi ha spostato e mi ha trascinato nella sua quotidianità, portandomi persino a vederla ballare (e Dio, quanto è bello il suo maestro di ballo!); ci sono state le risate, i "quando salirai, ti dovrò portare" mantenuti, i momenti di disagio, le quasi cadute, le corse per i ritardi. Ci sono state un'infinità di momenti belli, di amiche riviste, di abbracci in stazione, ma c'è stato anche un singolo momento che ha increspato tutto.
Un momento che è un messaggio mentre sei sulle scale mobili che ti conducono alla metro; è un messaggio lungo, ma il contenuto semplice riassumibile in "ti ho considerato una sorella per anni, ci siamo sostenuti sempre, ma tra te e la ragazza gelosa, scelgo lei. Ciao. Non siamo più amici", semplice, lineare, doloroso, una doccia fredda. Non c'erano state avvisaglie, era tutto normale, era tutto tranquillo, poi questo. Ci sono io sbigottita che guardo le tre persone che sono con me, che cerco di capire, ma non mi riesce. Ci sono io che poi vado avanti, cerco di fare finta di niente e quindi rido di gusto, mi godo l'attesa di un concerto, finisco le maglie che dobbiamo finire tra mille scazzi, ci sono io che insieme alla metà di mille mangio al fastfood prima di andare al locale dove mi ritrovo a ricevere abbracci appena mi fermo. E' bello, è un tornare a casa, in un posto dove ti senti te al cento per certo. Ieri sera ci sono io, quella vera al cento per cento, sono stata quella che guarda l'Amica per trovare il suo sostegno quando scorge una persona tra la folla, quella che ha offerto i biscotti alla mandorla che le avevano portato, quella che ha riso, ha fatto figure di merda. E poi sul palco c'erano loro, quella band che mi ha fatto compagnia per dieci anni e allora è facile che persino una persona come me che non piange mai si ritrova le lacrime che corrono sul viso. Ci sono canzoni a cui sono legata da sempre, che sono state le mie compagne nei momenti no, quella che abbiamo sentito cercando di abbracciarci tutte mentre due di noi piangevano perché portavano con sé un'infinita di momenti passati ("senza di loro io non avrei conosciuto voi", ha detto una di noi. Dio, quanto è vero!), c'è la canzone che porto tatuata in nero inchiostro su bianco pelle e poi c'è quella canzone. Quella che dopo il messaggio di quel pomeriggio non vorrei sentire, sulla quale vorrei rannicchiarmi a terra cercando di non sentirla, ma non si può e allora ci sono le prime note che si infilano sotto pelle, gli occhi che bruciano sempre di più e un'esplosione che accompagna "il tempo di un minuto per spiegarti che poi mi devi tutto il tempo che ho perso con te" che però ti fa capire chi è tua Amica, perché basta una spalla su cui piangere mentre la folla canta e allora sai di non essere sola, sai che quella band sul palco ti ha dato così tanto da averti concesso un grande numero di belle conoscenze, ma soprattutto un piccolo numero di amiche fidate che sa quanto un gesto del genere non sia quotidiano per te. E allora passa, passa tutto, sopravvivi, ritorni quella di prima, anche se un po' svuotata. Loro non sono una band, non sono una parte semplice della mia vita, ma sono il porto sicuro in cui so che posso gettare l'ancora e fermarmi, perché sono in acque sicure, tranquille. Sono quelli che in questi dieci anni con la musica mi hanno salvato più e più volte, quelli che mi hanno "regalato" persone senza le quali non sai proprio immaginarti, nonostante i chilometri. E' bello come dopo il concerto sia facile mettersi lì e chiacchiere, a ricevere abbracci, prese in giro, scroccare sigarette, piccoli spoiler per un futuro che non si sa quando sarà. Ci sono ricordi che non scriverò, che tengo preziosi, ma che ieri mi hanno salvato da crollare.
Qualche ora fa, in treno, ero stanca, sentivo il bisogno di tornare indietro,di non arrivare a casa, non volevo tornare alla quotidianità, alle cose che mi avrebbero oppresso, ma invece sono qua, scrivo, anche se viene meccanico e non troppo spontaneo, e sorrido, sorrido nonostante tutto e non potrei essere più grata che per questo sorriso enorme, sfacciato, arrogante che dice "la vita mi ha fatto un altro sgambetto, ma non sono sola, ho dei momenti felici da ricordare, posso andare avanti, nonostante questo, nonostante l'ansia, lo stress e tutto quello che capita".



(le foto con le amiche non si mettono qua, ma queste due possono pure starci.)




Nessun commento:

Posta un commento