martedì 1 agosto 2017

"Happiness can be found even in the darkest of times, if one only remembers to turn on the light".

Nonostante non sia il periodo migliore della mia vita, voglio scrivere queste righe in modo da averle nei futuri momenti no, per ricordarmi che come diceva Silente - e come ho scritto sulla parete di camera - "happiness can be found even in the darkest of times, if one only remembers to turn on the light".

Per quasi tutta l'adolescenza ho messo gli altri davanti a me, non importava se lo meritassero o meno, era mia indole farlo. Non valeva solo per le decisioni o finire in un gruppo di "amici" che non mi faceva sentire né me stessa né accettata, ma anche di fare cose per strappare un sorriso a persone che poi non hanno mai neanche ringraziato. A volte mi pento di averlo fatto, altre penso "ero una persona più buona, mi faceva piacere farlo, lo facevo". Poche volte, da determinate persone ho visto lo stesso, alla fine sono cose a cui neanche penso più, tranne che in giornate come ieri sera o come stamani.
Nel luglio 2006 scoprii una band per cui tanti mi hanno preso in giro, per cui in undici anni spesso mi sono sentita dire "ma li ascolti ancora? Ma sono ancora vivi?", l'ho sentito chiedere così tante volte che a un certo punto neanche ci facevo più caso. Nessuno ha mai visto di buon occhio quella band, nessuno si è mai soffermato a chiedere cosa ci trovassi in loro o perché per me la loro musica era così importante da farmi tatuare una loro frase senza pentirmene un solo giorno. In undici anni, grazie a loro, ho conosciuto tante persone, molte avrei preferito non incontrarle mai, altre sono rimaste conoscenze con cui farsi qualche risata a qualche concerto - e fa sempre un po' piacere arrivare da qualche parte e vedere qualcuno che, nonostante non sia in dovere di salutarti, ti viene a salutare con un sorriso e un "come stai?" -, altre sono entrate e poi uscite dalla vita come succede spesso, ma altre ancora, conosciute a periodi diversi, sono diventate amiche di quelle che sanno farmi pensare che, nonostante in passato abbia avuto amiche di merda, l'amicizia disinteressata esiste. Esiste davvero.
Ieri ero a casa, alcune di queste amiche erano a un concerto di quella band che ci ha fatto conoscere e forse un po' per questo e un po' perché non mi andava di dire a nessuno che era una di quelle sere in cui non mi andava bene nulla e tutto mi stava stretto, persino le pareti di casa. Era una serata nera, di quelle che anche se guardi una sera che ti piace, la testa va ad altro e se non fosse che fa troppo caldo per avere lacrime, forse piangeresti pure per tutta sera abbracciata a un cuscino. Era, perché a un certo punto il telefono ha iniziato a vibrare a intervalli irregolari, foto per salutare, audio per aggiornarmi su come andasse la serata (e per una canzone che tormenta un'amica da quando gliel'ho cantata fino allo sfinimento), canzoni, quelle importanti, quelle per cui non ti vergogni di ammettere che hai cantato in camera da sola e hai pianto - come l'amica che all'inizio di una ha urlato "sto piangendo Pezzy" -, perché sono quelle canzoni che sanno raccontare una parte di undici anni della tua vita che, tra alti e bassi generali, è la parte che spesso direttamente o indirettamente ti ha salvato, ti ha salvato in così tanti modi che è anche difficile spiegarli tutti. E poi ci sono le promesse, quelle fatto ridendo di (dis)avventure milanesi, di freddo che fa venire gli strizzoni di pancia. Quelle promesse che se dette a qualcuno esterno a un'amicizia direbbe "ah", non capendo come e perché è nata e anche se venisse reso partecipe non capirebbe. Quelle promesse che, le persone come me abituate a mantenere le promesse e raramente vederle mantenute dagli altri, si ritengo fortunate, non tanto per 24 secondi di audio in cui un chitarrista che praticamente ha scritto la canzone che ti manda avanti da quando l'hai ascoltata la prima volta parla di cagotto solidale (se non sono normale, è perché sono cresciuta con una band a-normale), ma perché dopo anni di pessime amicizie, di persone che anche se vicine fisicamente erano distanti anni luce, di persone che non ti hanno mai fatto sentire capita, accettata, che ti hanno sempre fatto sentire meno di zero, realizzi quanto sei fortunata, che non importata quanto distanti quelle amiche che dicono il tuo cognome, le stesse che ti urlano ciao negli audio, sono quelle che non importa se spesso distanti - e a breve pure più distanti anche se non ci vuoi pensare - sono tra quelle che ti hanno insegnato cosa vuol dire "amicizia".
E ci sono altre persone, oltre a quelle, che te lo hanno insegnato, persone incontrate sotto quel palco ma che poi l'hanno lasciato, però sono rimaste comunque amiche e so bene che il "sono qua per te" è reciproco, ci sono anche persone che quella band la tollera perché mi vuole bene, ma non la ascolta, che comunque sono pilastri in una vita che di stabile ha poco e niente, ma quel palco è casa e sapere che anche se lontana c'è chi ti ricorda quale sia e dove sia casa, fa sempre bene.

Nessun commento:

Posta un commento