Ciao nonno,
sto cercando di scriverti da un’ora buona, ma mi sono interrotta troppe volte, così ho cancellato tutte le righe che avevo battuto prima per iniziare una nuova lettera. Il brutto di scriverti al computer, sai qual è? E’ che se cancello, non rimangono i segni. Non resta nulla.
Sarà che hanno “rovinato” una canzone con un grande significato, sarà che quella canzone è stata la mia forza – è la mia forza – nelle sere in cui mi dovevo abituare veramente al fatto che, ogni volta che avrei cercato il tuo viso, i tuoi occhi, avrei dovuto trovarti solo su fotografie che, giorno dopo giorno, svaniscono un po’ di più. Sarà che io sto crescendo, ma ci sono ferite che non guariscono così facilmente o forse guariscono, ma male, perché non le abbiamo disinfettate bene, non c’era nessuno a passarti sopra un batuffolo di cotone imbevuto di Lysoform Medical, quello verde che non brucia. Sono state sciacquate bene, tu e nonna l’avete sempre fatto, avete sempre tolto lo sporco di quelle ferite che nessuno vedeva, che nessuno vede. Se non ci foste stati voi…
Ti scrivo e ho gli occhi lucidi, sai? Non piango, tranquillo. Sono abbastanza forte per riuscire a non piangere, certo, a te non posso nasconderlo che ci sono volte in cui, poi, tutte le lacrime vengono fuori, silenziose ed inesorabili, ma quando ci sei tu di mezzo mi brillano gli occhi, mi pizzica il naso, ma non piango. Come si può piangere per qualcosa che ti dà forza?
Continuo a sentire quella canzone da ore, sai? Sarà che mi manchi, tanto, davvero. Sarà che ho imparato a sorridere, sono andata e ho sorriso, come mi dicesti di fare una volta, poco tempo prima di iniziare a spegnerti davvero, perché noi siamo così, è nel nostro sangue. Siamo legno che si crepa, ma non lo dimostra, resiste fino a quando, un giorno, quando può sembrare di punto in bianco, si spezza e quando il legno si spezza, non si riaggiusta. Non si riaggiusta. Sarà che ogni tanto chiudo gli occhi e ripenso a quella casa che, ora, non ha più lo stesso aspetto, gli stessi mobili, gli stessi colori e gli stessi profumi e cerco di ricordare più quante cose possibili di quel posto che per me era casa più di ogni posto segnato sui miei documenti, più di Firenze, di Milano, del mondo intero, di nonna, della sua cucina e di te che aggiustavi le cose, di te che facevi le parole crociate, di te che mi facevi appassionare alla storia, di te che cantavi… la memoria è infame, lo sai? Ti lascia le immagini che non vorresti ricordare impresse nella mente che, a tradimento, ti tornano davanti come dei flash, mentre le voci, i suoni, sono i primi a sbiadire. Oh, ricordo bene dove ti mettevi a cantare, ricordo bene che spesso chiudevi gli occhi sulla poltrona verde in sala e ti dondolavi leggermente e cantavi piano canzoni che se potessi sentirti ora, ti lascerei cantare guardandoti, magari seduta sull'altra poltrona e dondolando leggermente anch'io, perché lo notai di un giorno di qualche anno fa, io e te avevamo lo stesso vizio di dondolarci sempre un po’, e poi ti chiederei a cosa pensavi mentre le cantavi, perché col senno di poi, sono sicura che le cantavi perché ti ricordavano qualcosa. Sono sicura che quando cantavi l’Inno di Italia lo facevi con più orgoglio, più speranza, più sentimento, di chiunque altra persona, questo me lo ricordo, perché se chiudo gli occhi e ci penso vedo un sorriso che esprime tutto. Sono sicura che Bella Ciao non ti ricordava solo il tuo passato da partigiano, la guerra, tutto quello che hai fatto, che hai rischiato, ma ti ricordasse anche altro, chissà forse nonna… nonna che quando ti si sentiva cantare dal salotto, mentre noi eravamo, ad esempio, nell'ingresso sedute a mangiare il gelato e tu in salotto con le finestre aperte che facevano entrare un po’ d’aria fresca, sorrideva. Oh se sorrideva!
Sai nonno, tu mi hai insegnato tanto. La maggior parte sono cose che mi porto dentro, sotto pelle e tra le costole, per farle uscire, per poterle guardare stando in piedi davanti ad uno specchio, avrò bisogno di pazienza, sopportazione, di un ago e di inchiostro per inciderlo sulla pelle fino alla fine. Mi hai insegnato cose che posso raccontare, cose che un giorno potrò insegnare a qualcuno che, come me, dava importanza alle cose semplici e apparentemente banali, come la colla fatta su un cucchiaio con acqua e farina o come un disegno di una bambina dell’asilo, seconda elementare al massimo, attaccato con il silicone sul muro. Mi hai insegnato la bellezza di cose passate, di cose che restano, delle cose piccole, semplici, come un piccolo gesto, una frase qualunque di cui, nonostante il tempo che passa, non capisci da cosa ti sia venuta fuori. Mi hai insegnato la felicità silenziosa, l’amore quello vero che sia esso per un’ideale, una donna, dei figli, dei nipoti o per la famiglia in generale e che viene espresso in tanti modi, scritto a parole, in baci delicati, in sguardi forti, oltre all'amore, però, mi hai insegnato il dolore che non si può descrivere, urlare, tirare fuori. Mi hai insegnato la vita e la morte, mi hai insegnato l’amore e il dolore. Mi hai dato fiducia prima ancora che mi venisse data da altri, dandomi i soldi in mano per andare a prendere il gelato da sola per la prima volta, senza dirmi “mi raccomando, la strada!” come diceva mamma, come diceva nonna ogni volta che uscivo a giocare nella strada semi-deserta dove vivevate. Mi hai dato testardaggine, forza e orgoglio, ma non mi hai fatto mai vedere la delusione per i miei insuccessi scolastici e non hai potuto vedere le mie rivincite, piccole, perché tra il prima e l’adesso, non c’è paragone, ma son pur sempre rivincite, ma se ti conoscevo abbastanza bene tu mi avresti sorriso dicendomi che ero stata brava, ma non come molti implicando un “potevi pensarci prima a cambiare” o “è il tuo lavoro”, ma credendoci davvero.
Te ne sei andato in quello che per me era un nuovo inizio, il primo giorno in una nuova scuola. Era un lunedì di settembre del duemilaundici, il dodici per esattezza. Io non so cosa è scattato dentro di me quando, ancora prima di rispondere a papà, ho capito che te n’eri andato, ma qualcosa è scattato e da quel giorno, ogni mio successo, te l’ho segretamente dedicato. Ogni obbiettivo che mi pongo per il mio futuro che sia esso un buon voto per la qualifica, la patente, delle medie alte a fine anno, un buon voto alla maturità, l’università, un lavoro part-time per iniziare ad essere indipendente, la laurea, un lavoro serio, la realizzazione personale, l’ho dedicato a te ancora prima che a me stessa e al mio orgoglio.
Queste cose, forse, avrei dovuto dirtele tempo fa, quando nonna era ancora viva, ma già non mi riconosceva più, quando tu stavi su per lei, perché hai sempre pensato prima a lei e dopo a te, e io ero capace solo di salutarti lasciandoti un bacio sulla fronte
Qualche lacrima scappa, mi hai insegnato anche che anche il miglior guerriero può concedersi di essere fragile.
“I've never knew what it was to be alone, no,
'cause you were always there for me
You were always there waiting
And I'll come home and I miss your face so
Smiling down on me
I close my eyes to see
And I know, you're a part of me
And it's your song that sets me free
I sing it while I feel I can't hold on
I sing tonight cause it comforts me”.
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