E' un po' che non scrivo, non solo qua, ma anche per e a me stessa. E' uno di quei periodi in cui non mi va di starmi vicini e allora non scrivo, perché scrivere è un modo di parlare con me stessa, per capire cos'ho per la testa.
Ho cercato di preparare due esami, ma tra caldo ed ansia, ne sono riuscita a preparare (e dare passandolo) solo uno. L'altro l'ho rimandato, mi pesa parecchio, tutti dicono che va bene, che non è un problema, che lo ridarò, di non preoccuparmi, questo lo dicono anche i miei genitori, io invece metto un sorriso in faccia, dico che non mi pesa e invece mi pesa parecchio. Potevo farcela, ma ero indietro, il caldo mi impediva di studiare per bene, l'ansia era troppa e anche la paura di fare fiasco ad entrambi non scherzava, solo che io sono una perfezionista, un'ambiziosa, come si può pensare che non mi pesi?
Ho silenziosamente chiuso due amicizie, semplicemente non riuscivo a fidarmi, non riuscivo a convivere con il senso di inadeguatezza che avevo tornando a casa, con il fatto che mi sembrava sempre di dover scegliere tra essere quella che può essere accettata ed essere totalmente me. Così, mi sono chiusa in casa a studiare, ha portato due buoni risultati, ottimi anzi, e non mi sono più fatta né vedere né sentire e diciamocelo, prima che solo io passi per quella stronza, loro hanno fatto lo stesso o meglio, una ha fatto lo stesso, l'altra faceva l'interessata davanti agli altri chiedendo dove fossi, come mai non mi si vedesse in giro, ma mai che l'avesse detto direttamente a me, mai un "oh, ho saputo della macchina, caffè?". Alla fine mi sento meno stronza: io ho agito secondo quello che era giusto, nessuno sembra esserci rimasto male (anche se so che il giorno che ci rincontreremo in giro io passerò per la stronza che sparisce, loro saranno le vittime come sempre, quando di azioni per portarmi ad una decisione ne hanno fatte tante). Non è così male come sembra, davvero, certo se ripenso ad un anno fa o anche solo a sei mesi fa, esco molto molto molto meno, ma non mi pesa come cosa, perché quando esco sto bene. Mi sento libera di essere me e va benissimo, sto benissimo.
Tra le cose belle è che la me di quattordici, quindici e anche sedici anni si è tolta un sassolino dalla scarpa incontrando il cantante di una band che andava anni e anni fa (e siccome era ad un instore con degli artisti seguiti da ragazzine che ora hanno l'età che io avevo quando seguivo lui tempo fa, mi sono sentita vecchia! ndA) e non solo sentendolo cantare, facendogli firmare l'ultimo disco, facendoci delle foto, ma finendo ad incontrarlo in giro per il centro commerciale da solo e ritrovarmici a parlare insieme ad un'amica di musica, di com'era più facile farsi conoscere anni fa, di TRL, MySpace, di sogni, di vecchi concerti, patente, problemi con la frizione, di altre band e la me di quattordici, quindici e sedici anni gongola ancora come un'adolescente felice. Ho anche visto i Subsonica a pochi passi da casa e sono una di quelle band che vanno viste almeno una volta nella vita e, nonostante una carriera lunga vent'anni, nonostante il successo, la fama e tutto il resto, quando gli ho avuti faccia a faccia, quando ci ho parlato, sono persone umili. Fantastici sopra e sotto al palco! E ho altri due concerti in programma (uno rap, il mio primo concerto rap! E l'altro mi riporterà da una band che amo con un'Amica con la maiuscola) e sono felice, tanto.
Ho rivisto le amiche che non vedevo da un po', mi hanno ricordato quanto sia facile sorridere, quanto sia bello farlo e con la macchia inizia ad andare meglio, mi si spegne ancora, ho sempre la tachicardia, ma inizia ad andare meglio.
E ho scritto tanto per riassumere a me stessa come stanno le cose, per non dimenticarmi che io ci sono, anche se fingo di no.
domenica 24 luglio 2016
sabato 9 luglio 2016
"Hai messo la prima!"
Stamani è arrivata la chiamata, quella che non aspettavo poi così tanto, quella in cui mio padre mi informava che, insieme a mio zio, mi avrebbe portato la macchina e le chiavi. Niente più scuse per non guidare. La patente c'è, la macchina pure... no, fermi tutti: manca la pratica. E' da quando ho preso la patente che non guido, ho provato domenica con mio padre, ma è stato un disastro e sono scesa lasciando a lui il ruolo di guidatore.
Mi lascia le chiavi. Torno a studiare (l'ansia. Potrei fare mille battute su me che studio l'ansia, ma questa è un'altra storia), mamma torna da lavoro e decide che è il caso di andare a guidare. Ah. Se lo dici tu.
Guida lei: prima tappa benzinaio e Odino santifichi le pompe di benzina con il servizio, ché io la benzina da sola non avrei saputo farla. Seconda tappa: il parcheggio dove tutti vanno a fare pratica.
Bene. Io e Bonnie (per ora la macchina si chiama Bonnie - come Bonnie e Clyde - ma il nome è in rivalità con Bunny, la protagonista di Sailor Moon) abbiamo un problema semplice, cioè non ho confidenza con la sua frizione e il suo cambio. Faccio qualche giro, miglioro il rapporto, sembra non spegnersi più e lì arriva la frase più brutta che abbia sentito negli ultimi sei mesi: "vai fino al DiPiù che facciamo la spesa".
Ah. Bene. Cosa!?
Niente. Panico totale, ma ci arrivo, parcheggio e mi complimento con me stessa, non è poi così storto.
"Al ritorno guidi te fino a casa".
Ah. Bene, Cosa!? Dovrei guidare sul vialone, fino a casa!? Mi prendi per il culo!?
Niente. Non era una presa in giro.
Ora, non è che io me la sia cavata poi così male per essere la seconda volta che guido in strada una macchina che non sia quella di scuola guida, quindi con i doppi pedali, ma il problema è il cambio. Allora, la Panda di scuola guida era bellissima, quel cambio senti subito dove va, non avevo mai dubbi su quale marcia stessi mettendo, ma Bonnie è una complicata, non è una Panda, il suo cambio è figlio di puttana, non si sente dove va con chiarezza assoluta come la Panda. Ora, immaginatevi la scena di me, persona ansiosa, a sessanta chilometri orari (giuro che non ero oltre il limite, lì è settanta. Sono una brava persona, rispetto i limiti!) che pensa a tutti i danni fisici che poteva causare a se stessa o ad altri in caso di incidente e che, dallo specchietto, poteva chiaramente vedere la faccia scoglionata di quella nella macchina dietro di lei (Signora, io comunque la P sulla macchina ce l'ho ancora, poteva superarmi e non stare a sbuffare...) che deve per forza cambiare marcia. Bene. Alzo il piede dall'acceleratore, schiaccio la frizione fino in fondo, respiro profondo, cambio marcia. Sbaglio. Non metto la terza, per un soffio e per sbaglio, metto la prima, la macchina sobbalza di brutto, reagisco in maniera rapida prima che si spegne, salvo la situazione.
Mia madre è chiaramente sbiancata, ha seriamente visto passarsi la vita davanti.
Niente, arriviamo a casa sane e salve, entro anche nel parcheggio del palazzo senza strusciare contro i piloni (gente, mi sentite scriverlo con gioia!? No, perché io ero convinta di fare Bonnie a strisce!) e, dopo mille manovre sotto consiglio, parcheggio in maniera dritta. Ora Bonnie è giù, tranquilla. Mamma è in terrazzo a parlare con la signora del piano di sotto e la sta avvertendo che la macchina è mia. E' più gasata lei di me, io ho solo messo in macchina un deodorante alla fragola con su scritto "Sono già simpatica, non posso essere anche brava a guidare", così, per avvertire chi sale...
Mi lascia le chiavi. Torno a studiare (l'ansia. Potrei fare mille battute su me che studio l'ansia, ma questa è un'altra storia), mamma torna da lavoro e decide che è il caso di andare a guidare. Ah. Se lo dici tu.
Guida lei: prima tappa benzinaio e Odino santifichi le pompe di benzina con il servizio, ché io la benzina da sola non avrei saputo farla. Seconda tappa: il parcheggio dove tutti vanno a fare pratica.
Bene. Io e Bonnie (per ora la macchina si chiama Bonnie - come Bonnie e Clyde - ma il nome è in rivalità con Bunny, la protagonista di Sailor Moon) abbiamo un problema semplice, cioè non ho confidenza con la sua frizione e il suo cambio. Faccio qualche giro, miglioro il rapporto, sembra non spegnersi più e lì arriva la frase più brutta che abbia sentito negli ultimi sei mesi: "vai fino al DiPiù che facciamo la spesa".
Ah. Bene. Cosa!?
Niente. Panico totale, ma ci arrivo, parcheggio e mi complimento con me stessa, non è poi così storto.
"Al ritorno guidi te fino a casa".
Ah. Bene, Cosa!? Dovrei guidare sul vialone, fino a casa!? Mi prendi per il culo!?
Niente. Non era una presa in giro.
Ora, non è che io me la sia cavata poi così male per essere la seconda volta che guido in strada una macchina che non sia quella di scuola guida, quindi con i doppi pedali, ma il problema è il cambio. Allora, la Panda di scuola guida era bellissima, quel cambio senti subito dove va, non avevo mai dubbi su quale marcia stessi mettendo, ma Bonnie è una complicata, non è una Panda, il suo cambio è figlio di puttana, non si sente dove va con chiarezza assoluta come la Panda. Ora, immaginatevi la scena di me, persona ansiosa, a sessanta chilometri orari (giuro che non ero oltre il limite, lì è settanta. Sono una brava persona, rispetto i limiti!) che pensa a tutti i danni fisici che poteva causare a se stessa o ad altri in caso di incidente e che, dallo specchietto, poteva chiaramente vedere la faccia scoglionata di quella nella macchina dietro di lei (Signora, io comunque la P sulla macchina ce l'ho ancora, poteva superarmi e non stare a sbuffare...) che deve per forza cambiare marcia. Bene. Alzo il piede dall'acceleratore, schiaccio la frizione fino in fondo, respiro profondo, cambio marcia. Sbaglio. Non metto la terza, per un soffio e per sbaglio, metto la prima, la macchina sobbalza di brutto, reagisco in maniera rapida prima che si spegne, salvo la situazione.
Mia madre è chiaramente sbiancata, ha seriamente visto passarsi la vita davanti.
Niente, arriviamo a casa sane e salve, entro anche nel parcheggio del palazzo senza strusciare contro i piloni (gente, mi sentite scriverlo con gioia!? No, perché io ero convinta di fare Bonnie a strisce!) e, dopo mille manovre sotto consiglio, parcheggio in maniera dritta. Ora Bonnie è giù, tranquilla. Mamma è in terrazzo a parlare con la signora del piano di sotto e la sta avvertendo che la macchina è mia. E' più gasata lei di me, io ho solo messo in macchina un deodorante alla fragola con su scritto "Sono già simpatica, non posso essere anche brava a guidare", così, per avvertire chi sale...
giovedì 7 luglio 2016
“Signorina, è sicura che non si scancella!?”.
Dopo diverso tempo che non lo facevo, vado a casa di mio padre in autobus ben sapendo che non c’era e che sarei dovuta tornare a casa con lo stesso mezzo. Dopo un pomeriggio di studio al fresco (Odino benedica le case dove non batte mai il sole!), scendo di casa sotto un sole cocente, prendo l’autobus.
A metà viaggio, sale una signora anziana, mi si siede davanti e inizia a fissarmi. Ora, okay che sono pallida come un fantasma che ho delle occhiaiei che potrei tranquillamente far passare per postumi di una rissa alla Fight Club, ma ho passato dieci lunghi minuti a chiedermi come mai mi stesse fissando. Non volevo essere inopportuna a chiedere, ma la situazione era imbarazzante. Alla fine, la signora si decide a parlare per dirmi “signorina, scusi, ma quel coso lì sulla pelle, come si chiama... il...”
Okay. Panico. Di cosa parla!? Ho un ragno sulla spalla!? Un altro insetto!? Cosa intende con “quel coso lì sulla pelle”!? Poi capisco. Parla del tatuaggio. Suggerisco la parola e la “simpatica” vecchina continua con “ecco, non mi veniva il nome... ma le viene via prima o poi!?”.
Okay. E’ una signora anziana, si diplomatica, non riderle in faccia, porta rispetto.
“Mi auguro di no...”.
La signora torna al suo mutismo, io inizio a scrivere quanto successo ad un’amica cercando di non ridere che, dai, cerchiamo di essere una persona quanto più normale possibile.
La signora suona per prenotare la fermata, traballante si alza, reggendosi al palo si ferma a metà tra il posto dove sono seduta e la porta, mi guarda e “ma signorina, è sicura che non si scancella!?".
Brividi. Freddo. Giramento di testa. Ho appena sentito usare il verbo “scancellare” che pensavo si fosse estinto dalla terra da molti secoli o almeno ci speravo. L’autobus si ferma, la signora scende. Io sono rimasta ammutolita.
“Signorina, è sicura che non si scancella!?”.
Del fatto che il tatuaggio non sparirà sono sicura, del trauma di aver (ri)sentito il verbo “scancellare” non sono sicura di riprendermi tanto presto.
A metà viaggio, sale una signora anziana, mi si siede davanti e inizia a fissarmi. Ora, okay che sono pallida come un fantasma che ho delle occhiaiei che potrei tranquillamente far passare per postumi di una rissa alla Fight Club, ma ho passato dieci lunghi minuti a chiedermi come mai mi stesse fissando. Non volevo essere inopportuna a chiedere, ma la situazione era imbarazzante. Alla fine, la signora si decide a parlare per dirmi “signorina, scusi, ma quel coso lì sulla pelle, come si chiama... il...”
Okay. Panico. Di cosa parla!? Ho un ragno sulla spalla!? Un altro insetto!? Cosa intende con “quel coso lì sulla pelle”!? Poi capisco. Parla del tatuaggio. Suggerisco la parola e la “simpatica” vecchina continua con “ecco, non mi veniva il nome... ma le viene via prima o poi!?”.
Okay. E’ una signora anziana, si diplomatica, non riderle in faccia, porta rispetto.
“Mi auguro di no...”.
La signora torna al suo mutismo, io inizio a scrivere quanto successo ad un’amica cercando di non ridere che, dai, cerchiamo di essere una persona quanto più normale possibile.
La signora suona per prenotare la fermata, traballante si alza, reggendosi al palo si ferma a metà tra il posto dove sono seduta e la porta, mi guarda e “ma signorina, è sicura che non si scancella!?".
Brividi. Freddo. Giramento di testa. Ho appena sentito usare il verbo “scancellare” che pensavo si fosse estinto dalla terra da molti secoli o almeno ci speravo. L’autobus si ferma, la signora scende. Io sono rimasta ammutolita.
“Signorina, è sicura che non si scancella!?”.
Del fatto che il tatuaggio non sparirà sono sicura, del trauma di aver (ri)sentito il verbo “scancellare” non sono sicura di riprendermi tanto presto.
domenica 3 luglio 2016
Un porto sicuro.
Quando la tua vita accelera iniziando ad evolvere velocemente, ritrovarsi sotto lo stesso palco dopo dieci anni spaventa un po', perché ti ritrovi a chiederti se ci sia ancora spazio per loro e per la te che sei quando ci sono loro di mezzo o se è arrivato il momento di chiudere anche quel capitolo. E poi tra mille sorrisi tuoi e di chi hai accanto, tra risate per una cavolata e canzoni che conosci meglio di te ti ritrovi a capire che per quanto lontano andrai, per quanto cambierai avrai sempre un porto sicuro in cui tornare.
Finley, Genova - 02 luglio 2016. |
venerdì 1 luglio 2016
L'ottava piaga d'Egitto: le cavallette.
Il "bello" di abitare in una zona dove c'è anche del verde - tanto, troppo! - è che non è raro vedersi entrare in casa insetti e/o altri animali. Ad esempio, da mio padre, che è ancora più nel nulla con campi vicini, ci sono le mini lepri - che io chiamo "lepri nane", anche se a me sembrano lepri di grande - che sono così dannatamente carine che, se riesco a prenderne una, l'adotterei volentieri. Ovvio, si compensano questi adorabili animali con ragni di varie dimensioni che non aiutano la mia aracnofobia, soprattutto quando sono a dormire lì, mio padre è fuori casa e io sono in casa da sola con un ragno troppo grosso per farmi stare tranquilla anche se sono chiusa in camera mia e lui è in sala.
Da mia madre, invece, la cosa è più comica: nella casa prima, a venticinque metri da qua, avevamo un'invasione di gechi. Ora, io non ho paura, ma non è che fossero proprio belli eh! Erano bianchicci e in casa, soprattutto in primavera e in estate, spuntavano ovunque. Per questa sovrappopolazione ho sempre incolpato mio padre, oltre che il fatto di poter dire di vivere quasi in campagna, perché fino a qualche anno fa, aveva la mania di "salvare" gli animali che trovava nelle stive delle navi e liberarli nei campi - sappi, tu che stai leggendo, che ha rianimato delle rane nere che erano mezze tramortite, a distanza di tempo, ha scoperto essere velenose e si era messo un geco, quello carino, nella ex casa, quindi gli do la colpa per un motivo!- ma questa è un'altra storia. Dicevamo, i gechi sono rimasti di là, a volte mi mancano pure un po', anche se non ero una grande fan di ritrovarmeli in camera, qua a parte qualche ragno, qualche vespa e qualche ape fino a ieri notte non ci sono stati grandi incontri. Appunto, fino a ieri notte.
Cos'è successo!? Iniziamo dal principio: l'una passata di notte, ho messo le mani sul PDF di un racconto collegato ad una saga che avevo letto molti molti anni fa, tutta bella gasata mi metto a leggerla al computer, tanto il sonno era lontano, mandando i commenti ad un'amica. Alle mie spalle, dalla libreria si sente uno "stoc". Boh, mi giro, vedo una cosa che sembra uno dei miei soprammobili caduti, penso "ah, vabbe, ci sarà stata una scossetta di terremoto e l'avrà fatto cadere", mi alzo per metterlo apposto, mi blocco a metà strada: cavalletta. Cavalletta grossa. Tanto grossa.Troppo grossa. Jurassic Park aveva dinosauri più piccoli e meno spaventosi - sì, okay, io sono di parte che vorrei che esistesse davvero un parco così.
Bene. Cazzo facciamo ora!? Tu, cavalletta enorme sei in camera mia, io con te in camera non ci sto. Si muove, finisco fuori camera in tre decimi di secondo, roba che neanche Bolt. Madre dorme, stranamente, quella ha più difficoltà di me a dormire e quando mi serve dorme!
Dopo un'interminabile mezz'ora alla ricerca di una via di fuga sia per me che per l'ottava piaga d'Egitto, arrivo ad una conclusione: vado a dormire in sala. Ecco, sì, idea geniale se non fosse che la cavalletta era sul muro proprio sopra al mio letto e io avrei dovuto avvicinarmi a quella cosa per prendere quanto meno il cuscino. Niente, entro di corsa, prendo il cuscino, scappo di camera chiudendo la porta rumorosamente, che non si è svegliato nessuno e Dio solo sa come sia stato possibile.
Ho passato la notte sul divano, con il cane che ogni tanto cercava di salire sul divano, che tra madre che non vuole e il caldo, amore mio stai giù, gli orologi che ticchettavano fuori sincrono e l'ansia che il mostro riuscisse a passare da sotto alla porta.
Alla fine, comunque, stamani madre ha educatamente - io non sono stata educatamente sfrattata di camera, perché lei sì!? - sfrattato fuori casa il redivivo dinosauro, che ora è chissà dove all'aperto e io sono convinta che tornerà a vendicarsi, portandosi dietro tutte le cavallette dell'ottava piaga d'Egitto, compresi i fantasmi dei suoi antenati che hanno ispirato la bibbia.
Morale della favola: sarò anche cresciuta giocando nei campi, ma non sono adatta a vivere dove c'è tanto vere. Qua gli animali sono troppo grossi ed arroganti.
Da mia madre, invece, la cosa è più comica: nella casa prima, a venticinque metri da qua, avevamo un'invasione di gechi. Ora, io non ho paura, ma non è che fossero proprio belli eh! Erano bianchicci e in casa, soprattutto in primavera e in estate, spuntavano ovunque. Per questa sovrappopolazione ho sempre incolpato mio padre, oltre che il fatto di poter dire di vivere quasi in campagna, perché fino a qualche anno fa, aveva la mania di "salvare" gli animali che trovava nelle stive delle navi e liberarli nei campi - sappi, tu che stai leggendo, che ha rianimato delle rane nere che erano mezze tramortite, a distanza di tempo, ha scoperto essere velenose e si era messo un geco, quello carino, nella ex casa, quindi gli do la colpa per un motivo!- ma questa è un'altra storia. Dicevamo, i gechi sono rimasti di là, a volte mi mancano pure un po', anche se non ero una grande fan di ritrovarmeli in camera, qua a parte qualche ragno, qualche vespa e qualche ape fino a ieri notte non ci sono stati grandi incontri. Appunto, fino a ieri notte.
Cos'è successo!? Iniziamo dal principio: l'una passata di notte, ho messo le mani sul PDF di un racconto collegato ad una saga che avevo letto molti molti anni fa, tutta bella gasata mi metto a leggerla al computer, tanto il sonno era lontano, mandando i commenti ad un'amica. Alle mie spalle, dalla libreria si sente uno "stoc". Boh, mi giro, vedo una cosa che sembra uno dei miei soprammobili caduti, penso "ah, vabbe, ci sarà stata una scossetta di terremoto e l'avrà fatto cadere", mi alzo per metterlo apposto, mi blocco a metà strada: cavalletta. Cavalletta grossa. Tanto grossa.Troppo grossa. Jurassic Park aveva dinosauri più piccoli e meno spaventosi - sì, okay, io sono di parte che vorrei che esistesse davvero un parco così.
Bene. Cazzo facciamo ora!? Tu, cavalletta enorme sei in camera mia, io con te in camera non ci sto. Si muove, finisco fuori camera in tre decimi di secondo, roba che neanche Bolt. Madre dorme, stranamente, quella ha più difficoltà di me a dormire e quando mi serve dorme!
Dopo un'interminabile mezz'ora alla ricerca di una via di fuga sia per me che per l'ottava piaga d'Egitto, arrivo ad una conclusione: vado a dormire in sala. Ecco, sì, idea geniale se non fosse che la cavalletta era sul muro proprio sopra al mio letto e io avrei dovuto avvicinarmi a quella cosa per prendere quanto meno il cuscino. Niente, entro di corsa, prendo il cuscino, scappo di camera chiudendo la porta rumorosamente, che non si è svegliato nessuno e Dio solo sa come sia stato possibile.
Ho passato la notte sul divano, con il cane che ogni tanto cercava di salire sul divano, che tra madre che non vuole e il caldo, amore mio stai giù, gli orologi che ticchettavano fuori sincrono e l'ansia che il mostro riuscisse a passare da sotto alla porta.
Alla fine, comunque, stamani madre ha educatamente - io non sono stata educatamente sfrattata di camera, perché lei sì!? - sfrattato fuori casa il redivivo dinosauro, che ora è chissà dove all'aperto e io sono convinta che tornerà a vendicarsi, portandosi dietro tutte le cavallette dell'ottava piaga d'Egitto, compresi i fantasmi dei suoi antenati che hanno ispirato la bibbia.
Morale della favola: sarò anche cresciuta giocando nei campi, ma non sono adatta a vivere dove c'è tanto vere. Qua gli animali sono troppo grossi ed arroganti.
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