C'è F., il mio amico-compagno di corso di cui ho scritto già altre volte (la persona xanax, insomma), che a volte penso sia un po' strano, altre penso lo sia del tutto.
Oggi è uno dei giorni in cui penso lo sia del tutto, perché ci incontriamo in aula, quella pienissima di Storia e critica del cinema, passa a salutare cercando un posto ed è, per me, la calma, come al solito. Sono belle le persone xanax per le persone ansiose, ma questa è un'altra storia.
Oggi sono arrivata prima a lezione, c'era tempo di scendere a fumarsi una sigaretta, le altre non fumano, scendo da sola, tanto non mi pesa più fare qualcosa da sola, così prendo il mio pacchetto (per la cronaca, devo capire perché mi capita sempre quello con la foto del piede malato) e scendo. Sono fuori a fumare, quando fumo dovete sapere che, a volte, mi isolo, ci siamo solo io e la sigaretta, oggi era una di queste giornate. Così, quando esce F., io sono tra le nuvole, neanche lo vedo arrivare, si avvicina, mi dà un colpetto con i filtri sulla fronte sorridendomi dicendo "goordmorning, princess".
"Good morning, princess".
Alle quattro del pomeriggio.
A me che della principessa neanche l'ombra (team Mulan che fa il culo a tutti o Megara che si salva da sola, al massimo).
"Good morning, princess".
Ho sorriso, inebetita.
Lui è andato a parlare con un suo amico, io cercavo di capirne il senso.
Niente. Il vuoto.
Dopo lezione, tutto era come prima, lui che mi racconta delle sue disavventure con la rete internet, gli altri che parlano, io che gli dico che gli porto io un adattatore per la presa per il caricabatteria. Tutto normale, di quella frase senza senso neanche l'ombra.
Le amiche fangirleggiano, un'amica ha capito che io non capisco i suoi comportamenti e vado in crisi, le amiche dell'università che non sanno nulla.
Comunque sono sveglia dalle 5:40, non riesco a scrivere, ho Pechino Express in sottofondo (scusate, ma io sono fan del trash, Tina sempre nel cuore, soprattutto ora su per un vulcano. Io sarei già morta!) e ho sonno. Tanto. Forse dovrei andare a letto e dimenticare tutto.
lunedì 17 ottobre 2016
giovedì 6 ottobre 2016
A bite of silly happiness #4.
L'andamento della mattinata mi ha convinto che il giovedì è il giorno della sfiga, perché anche oggi sembra non andare bene nulla, dal fatto che mi sono alzata presto per trovare parcheggio ed ho girato un'ora (no, non è un'esagerazione, è letterale) perdendo il primo treno utile per andare a Pisa, per poi finire a parcheggiare a quasi un chilometro dalla stazione per una strada orribile da fare a piedi; dopo, decido di ammazzare l'attesa del treno andando a fare colazione, mi si rompe la tasca porta monete del portafoglio e, dopo questo, al tabacchino mi hanno dato il pacchetto col piede marcio (che tra tutte le foto sui pacchetti di sigarette, è la peggiore) facendomi seriamente pensare di imparare a farmi i drum per passare al tabacco.
Arrivo a Pisa, in ritardo ovviamente, unica gioia è un'amica che mi regala un giornale su cui c'è un trafiletto su Bowie (oramai, hanno capito tutti quanto lo amo). Fine lezione, tutti a mensa, io me ne torno a casa. Arrivo, macchina... rischio un incidente, perché ovviamente la gente esce dagli stop con poca visibilità buttandosi costringendoti ad inchiodare (grazi riflessi pronti). Pomeriggio a mettermi in pari con gli appunti di una lezione che ho perso, con la testa che mi si spacca in due dal mal di testa.
In tutto questo, madre aveva da andare a vedere un appartamento da pulire. E' l'appartamento di uno scrittore ed editore, con una casa che madre ha descritto molto elegante, anche se vecchia, una scrivania disordinata con sopra un sacco di libri e fogli scritti, ma la cosa che ha notato quasi subito, guardando lo studio, è stata una libreria a muro grande quanto una parete che, a detta di madre, era più grande della parete di fondo di camera mia. Lì, le è scappato detto che leggo, così questo sconosciuto ha voluto sapere cosa leggo, se preferisco il cartaceo o se sono della nuova generazione degli e-Book, cosa faccio all'università. Alla fine di questo interrogatorio su di me, le ha dato un suo libro da portarmi con tanto di dedica (una semplice data e la scritta "Per Mara" seguita dalla sua firma), raccomandandosi di dirmi che voleva sapere cosa ne pensassi.
Ecco, io non so né che faccia abbia né come sia il libro, ma sorrido. Tanto.
Arrivo a Pisa, in ritardo ovviamente, unica gioia è un'amica che mi regala un giornale su cui c'è un trafiletto su Bowie (oramai, hanno capito tutti quanto lo amo). Fine lezione, tutti a mensa, io me ne torno a casa. Arrivo, macchina... rischio un incidente, perché ovviamente la gente esce dagli stop con poca visibilità buttandosi costringendoti ad inchiodare (grazi riflessi pronti). Pomeriggio a mettermi in pari con gli appunti di una lezione che ho perso, con la testa che mi si spacca in due dal mal di testa.
In tutto questo, madre aveva da andare a vedere un appartamento da pulire. E' l'appartamento di uno scrittore ed editore, con una casa che madre ha descritto molto elegante, anche se vecchia, una scrivania disordinata con sopra un sacco di libri e fogli scritti, ma la cosa che ha notato quasi subito, guardando lo studio, è stata una libreria a muro grande quanto una parete che, a detta di madre, era più grande della parete di fondo di camera mia. Lì, le è scappato detto che leggo, così questo sconosciuto ha voluto sapere cosa leggo, se preferisco il cartaceo o se sono della nuova generazione degli e-Book, cosa faccio all'università. Alla fine di questo interrogatorio su di me, le ha dato un suo libro da portarmi con tanto di dedica (una semplice data e la scritta "Per Mara" seguita dalla sua firma), raccomandandosi di dirmi che voleva sapere cosa ne pensassi.
Ecco, io non so né che faccia abbia né come sia il libro, ma sorrido. Tanto.
mercoledì 5 ottobre 2016
di delusioni, amicizia, università ed altri demoni.
Questo è il cinquecentesimo post del blog, mi sarebbe piaciuto che fosse un post bello e spensierato, ma non lo sarà. O forse sì, ma non completamente.
Togliamoci il dente: alla radio non è andata. C'est la vie, direbbero i francesi. Cos'è successo? Non ho ricevuto risposta, altre persone sì, quindi non mi hanno presa. Ci sono rimasta male? Sì. Tanto? Abbastanza, ma non tanto perché non mi hanno preso per nessuno dei ruoli in cui mi ero candidata, quello l'avevo messo in conto, ma perché tra la gente presa c'è uno del mio gruppo in università e lui è uno che, davvero, se hanno preso lui e non altra gente, poveri noi. Sia chiaro, non sono quel tipo di volpe che non arrivando all'uva dice che è acerba, al contrario sono quel tipo di volpe che ti dice "è matura, ma sono troppo bassa per arrivarci", quindi non ho problemi a dire "lui non se lo meritava, l'hanno preso perché ha avuto il culo di candidarsi per argomenti dove c'era meno gente", perché io ve lo farei vedere, lui: un tappo saccente so-tutto-io che quando ti parla sembra che lui sia sempre migliore di te (mentre mi facevo convalidare un voto, J. l'ha sentito dire "ah, ha preso 28? Non me lo sarei aspettato" con tono di stizza. Simpatico, considerando che parte dell'esame te l'ho spiegato io) e lui vuole scrivere di attualità, ma se ci parli di questo argomento se ne esce con frasi fatte, ma ancora peggio inizia un discorso, fa giri immensi e... e niente, non ha fine quello che dice. Per andare da A a B, passa per tutto l'alfabeto e non arriva a B. E, ancora, se ci parli e non hai la sua stessa identica idea, si infervora, ma non come capita a me che mi infervoro solo se vedo che davanti ho persone chiuse che non accettano un'idea diversa o che argomentano con luoghi comuni, lui si infervora con cattiveria. Una volta in treno mi chiese perché, qualche tempo prima, avessi detto che credo fermamente che siamo lontani dalla parità dei sessi, sia a livelli più terra terra e di relazioni quotidiane che su piani più seri, io bella tranquilla, siccome le mie idee hanno basi solide, gli ho spiegato tutto e lui se ne uscito con frasi che neanche mio nonno che oramai avrebbe novant'anni, più le smontavo con senso critico, più si incazzava. Io voglio ridere quando lo manderanno a fare l'inviato e si avvicinerà con quella sua camminata saltellante che, come apre bocca, sembra che debba aggredirti e riderò anche, visto che giusto qualche giorno fa ha sancito che fare le lezioni delle otto e mezzo da non frequentate "perché io non lo prendo il treno prima, solo perché la gente arriva presto e non trovo posto" (notare; lezione alle 8:30, lui arriva in stazione alle 8:10 ad un quarto d'ora a piedi dall'aula...). E vabbe, questo era uno sfogo, sono ancora un po' delusa perché ci speravo tanto, ma è andata così. Era solo un primo tentativo, troverò altre occasioni.
Ho imparato a vedere il lato positivo delle cose, sapete? Anche in queste situazioni di delusione, tipo questa volta ho capito che chi è amico ti sostiene anche quando prendi una delusione e pensi di non valere un cazzo, ricordandoti che non è vero, prima di tutto, e che c'è in seconda parte. C'è chi me lo ricorda da lontano e chi più da vicino, svoltandomi la giornata incontrandoci in stazione per poi venire a cena da me, tornando in un revival dei primi anni delle superiori. E basta quello a distrarti, a strapparti un sorriso. Certa gente, anche se passano gli anni, continua a rimanere l'unica fortuna degli anni bui dell'adolescenza. E anche in università, con le amicizie, va bene. Ricordo un anno fa, prima di iniziare, che avevo paura di non farmi neanche un amico (o un'amica), di finire a vivere le lezioni come vivevo le superiori: rapporti superficiali destinati a perdersi al suono della campana (e, anche quelle che sembravano più amiche, finite le superiori chi le ha più viste?). Un anno dopo, scrivo queste righe e sorrido, perché con chi più con chi meno sono nate delle simil amicizie. C'è chi ho sentito anche durante l'estate, riuscendo pure a vederci, chi da quando ho iniziato nuovamente le lezioni lo vedo più di mia madre e passiamo il tempo a ridere, ogni tanto a dirci cose serie; c'è chi si mette a insegnarmi un drum, perché un po' stufo che quando sono senza sigarette e siamo al bar gli chiedo di girarmeli - anche se mica lo dice - e un po' perché lo chiedo io, decisa a risparmiare (stessa persona che, fa mezzi inviti che mi strappano un sorriso). Va così bene che venerdì mi fermo a Pisa per una serata tra amiche per una maratona Wes Anderson - Fincher (tra l'altro, i film di quest'ultimo li ho già visti, ma li rivedo volentieri), mi sento spaesata, perché in sette anni di superiori sono stata invitata fuori ben poche volte e da ben poche persone, ora mi ritrovo catapultata in un mondo di "venite a dormire qui?", "facciamo qualcosa questo giovedì?", "esci in *inserirenomediunpostoinzona*? Sai che l'hanno fatto nuovo, un venerdì o un sabato si potrebbe organizzare di andare tutti insieme" e cose così e, sarà anche che da quando ho chiuso qualche ponte, mi erano rimaste ben poche amicizie vicine, poi le persone care sono tutte lontane, io sorrido come un ebete e accetto gli inviti, con ansia, ma li accetto anche quando sono solo ipotesi e mi bastano così per sorridere un po'.
L'università è ripresa a pieno ritmo, l'orario è quello che è con tre levatacce all'alba di fila, un giorno con quattro ore di buco, un giorno con un'ora sola nel mezzo della giornata (di giovedì, giorno in cui dove vado a prendere il treno c'è il mercato e non si trova parcheggio), però i corsi sono okay, chi più chi meno, tra l'altro quello che pensavo essere noioso e micidiale per l'orario in prima mattinata, mi piace un sacco e ascolto ogni singola parola sulla comunicazione spiegata da un professore che, l'abbiamo ammesso unanimemente, sa mantenere davvero viva l'attenzione spiegando bene.
Continuo a scrivere storie che quasi nessuno ha il diritto di leggere, mi impegno a dare senso a trame e personaggi che ho in testa, mi era mancato così tanto questo aspetto della scrittura che girare con un quadernino di PizzaBo nello zaino, perché sia mai che mi venga un'idea e vada persa, mi strappa sempre un sorriso nei momenti bui, soprattutto quando c'è di mezzo Trenitalia che regala solo grandi disagi e avventure.
La mia ansia si fa sentire più del solito, ultimamente, la gestisco, ma è onnipresente; spesso mi torna in mente il disegno e la descrizione data a Toby Allen nella sua rappresentazione di vari disturbi psichici come mostri. La descrizione e la rappresentazione che dà dell'ansia è perfetta (per me). Ci convivo, ma se ogni tanto se ne andasse mi farebbe felice, ecco.
E' il cinquecentesimo post del blog, è passato così tanto tempo dal primo, sono passate così tante me da allora. Pensavo che questo post sarebbe stato più triste, invece non è poi così tanto cupo.
Togliamoci il dente: alla radio non è andata. C'est la vie, direbbero i francesi. Cos'è successo? Non ho ricevuto risposta, altre persone sì, quindi non mi hanno presa. Ci sono rimasta male? Sì. Tanto? Abbastanza, ma non tanto perché non mi hanno preso per nessuno dei ruoli in cui mi ero candidata, quello l'avevo messo in conto, ma perché tra la gente presa c'è uno del mio gruppo in università e lui è uno che, davvero, se hanno preso lui e non altra gente, poveri noi. Sia chiaro, non sono quel tipo di volpe che non arrivando all'uva dice che è acerba, al contrario sono quel tipo di volpe che ti dice "è matura, ma sono troppo bassa per arrivarci", quindi non ho problemi a dire "lui non se lo meritava, l'hanno preso perché ha avuto il culo di candidarsi per argomenti dove c'era meno gente", perché io ve lo farei vedere, lui: un tappo saccente so-tutto-io che quando ti parla sembra che lui sia sempre migliore di te (mentre mi facevo convalidare un voto, J. l'ha sentito dire "ah, ha preso 28? Non me lo sarei aspettato" con tono di stizza. Simpatico, considerando che parte dell'esame te l'ho spiegato io) e lui vuole scrivere di attualità, ma se ci parli di questo argomento se ne esce con frasi fatte, ma ancora peggio inizia un discorso, fa giri immensi e... e niente, non ha fine quello che dice. Per andare da A a B, passa per tutto l'alfabeto e non arriva a B. E, ancora, se ci parli e non hai la sua stessa identica idea, si infervora, ma non come capita a me che mi infervoro solo se vedo che davanti ho persone chiuse che non accettano un'idea diversa o che argomentano con luoghi comuni, lui si infervora con cattiveria. Una volta in treno mi chiese perché, qualche tempo prima, avessi detto che credo fermamente che siamo lontani dalla parità dei sessi, sia a livelli più terra terra e di relazioni quotidiane che su piani più seri, io bella tranquilla, siccome le mie idee hanno basi solide, gli ho spiegato tutto e lui se ne uscito con frasi che neanche mio nonno che oramai avrebbe novant'anni, più le smontavo con senso critico, più si incazzava. Io voglio ridere quando lo manderanno a fare l'inviato e si avvicinerà con quella sua camminata saltellante che, come apre bocca, sembra che debba aggredirti e riderò anche, visto che giusto qualche giorno fa ha sancito che fare le lezioni delle otto e mezzo da non frequentate "perché io non lo prendo il treno prima, solo perché la gente arriva presto e non trovo posto" (notare; lezione alle 8:30, lui arriva in stazione alle 8:10 ad un quarto d'ora a piedi dall'aula...). E vabbe, questo era uno sfogo, sono ancora un po' delusa perché ci speravo tanto, ma è andata così. Era solo un primo tentativo, troverò altre occasioni.
Ho imparato a vedere il lato positivo delle cose, sapete? Anche in queste situazioni di delusione, tipo questa volta ho capito che chi è amico ti sostiene anche quando prendi una delusione e pensi di non valere un cazzo, ricordandoti che non è vero, prima di tutto, e che c'è in seconda parte. C'è chi me lo ricorda da lontano e chi più da vicino, svoltandomi la giornata incontrandoci in stazione per poi venire a cena da me, tornando in un revival dei primi anni delle superiori. E basta quello a distrarti, a strapparti un sorriso. Certa gente, anche se passano gli anni, continua a rimanere l'unica fortuna degli anni bui dell'adolescenza. E anche in università, con le amicizie, va bene. Ricordo un anno fa, prima di iniziare, che avevo paura di non farmi neanche un amico (o un'amica), di finire a vivere le lezioni come vivevo le superiori: rapporti superficiali destinati a perdersi al suono della campana (e, anche quelle che sembravano più amiche, finite le superiori chi le ha più viste?). Un anno dopo, scrivo queste righe e sorrido, perché con chi più con chi meno sono nate delle simil amicizie. C'è chi ho sentito anche durante l'estate, riuscendo pure a vederci, chi da quando ho iniziato nuovamente le lezioni lo vedo più di mia madre e passiamo il tempo a ridere, ogni tanto a dirci cose serie; c'è chi si mette a insegnarmi un drum, perché un po' stufo che quando sono senza sigarette e siamo al bar gli chiedo di girarmeli - anche se mica lo dice - e un po' perché lo chiedo io, decisa a risparmiare (stessa persona che, fa mezzi inviti che mi strappano un sorriso). Va così bene che venerdì mi fermo a Pisa per una serata tra amiche per una maratona Wes Anderson - Fincher (tra l'altro, i film di quest'ultimo li ho già visti, ma li rivedo volentieri), mi sento spaesata, perché in sette anni di superiori sono stata invitata fuori ben poche volte e da ben poche persone, ora mi ritrovo catapultata in un mondo di "venite a dormire qui?", "facciamo qualcosa questo giovedì?", "esci in *inserirenomediunpostoinzona*? Sai che l'hanno fatto nuovo, un venerdì o un sabato si potrebbe organizzare di andare tutti insieme" e cose così e, sarà anche che da quando ho chiuso qualche ponte, mi erano rimaste ben poche amicizie vicine, poi le persone care sono tutte lontane, io sorrido come un ebete e accetto gli inviti, con ansia, ma li accetto anche quando sono solo ipotesi e mi bastano così per sorridere un po'.
L'università è ripresa a pieno ritmo, l'orario è quello che è con tre levatacce all'alba di fila, un giorno con quattro ore di buco, un giorno con un'ora sola nel mezzo della giornata (di giovedì, giorno in cui dove vado a prendere il treno c'è il mercato e non si trova parcheggio), però i corsi sono okay, chi più chi meno, tra l'altro quello che pensavo essere noioso e micidiale per l'orario in prima mattinata, mi piace un sacco e ascolto ogni singola parola sulla comunicazione spiegata da un professore che, l'abbiamo ammesso unanimemente, sa mantenere davvero viva l'attenzione spiegando bene.
Continuo a scrivere storie che quasi nessuno ha il diritto di leggere, mi impegno a dare senso a trame e personaggi che ho in testa, mi era mancato così tanto questo aspetto della scrittura che girare con un quadernino di PizzaBo nello zaino, perché sia mai che mi venga un'idea e vada persa, mi strappa sempre un sorriso nei momenti bui, soprattutto quando c'è di mezzo Trenitalia che regala solo grandi disagi e avventure.
La mia ansia si fa sentire più del solito, ultimamente, la gestisco, ma è onnipresente; spesso mi torna in mente il disegno e la descrizione data a Toby Allen nella sua rappresentazione di vari disturbi psichici come mostri. La descrizione e la rappresentazione che dà dell'ansia è perfetta (per me). Ci convivo, ma se ogni tanto se ne andasse mi farebbe felice, ecco.
E' il cinquecentesimo post del blog, è passato così tanto tempo dal primo, sono passate così tante me da allora. Pensavo che questo post sarebbe stato più triste, invece non è poi così tanto cupo.
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