venerdì 15 agosto 2014

Sing me to sleep.

Ieri sera sono rimasta a casa, mentre gli altri andavano a ballare, nella vana speranza di stare meglio oggi per poter far serata senza rischiare di crollare morta sotto il peso di questo raffreddore micidiale, e non so né come né perché mi sono iniziati ad arrivare tremila messaggi, quasi tutti da gente che, bene o male, sento spesso. Tutti, tranne uno.
Per istinto di conservazione, non mi fido mai a prima vista delle persone, nonostante possano darmi buone sensazione. Prima di fidarmi, ma fidarmi davvero non fidarmi da "ciao come stai?" e quattro chiacchiere dove gli altri parlano di sé ed io non mi lascio neanche intuire, ci metto quella che può sembrare un'eternità, ma nell'ultimo anno c'è stata un'eccezione. Un'eccezione bellissima.
Era novembre, quando entrò in classe, bello anche per me che ho standard di bellezza totalmente diversi, gentile, educato e con una voce calda che, a sentirla cantare, ti fa venire due metri e mezzo di pelle d'oca. Io me lo ricordo bene, perché timidezza o no, istinto di non fidarmi mai di nessuno, alla seconda ricreazione ci stavo già parlando come se nulla fosse. Neanche una settimana dopo, avevo già una dipendenza dai suoi abbracci e dalla sua voce quando cantava. Secondo la prof. di tecniche della comunicazione, che capisci tutti con un solo sguardo, abbiamo instaurato un determinato rapporto, in così breve tempo, perché siamo due persone affini, simili e forse è la cosa più vera che abbia mai detto riferita a me e, di cose vere, ne ha dette tante.
Coi mesi, ha solo dimostrato di essere una persona fantastica, ma con quello sguardo triste che non riuscivo mai a capire del tutto, che non riuscivo a raggiungere davvero, come non capivo perché di tutte le sue notti insonni, delle assenze a causa dei suoi attacchi di panico troppo frequenti. Non capivo e quando qualcuno lo nominava, mi sentivo in colpa. L'ultima volta che abbiamo parlato, era giugno, ci dicemmo di non perderci, ma io son così, non cerco mai nessuno per non disturbare, ma a lui un pensiero lo buttavo sempre, come quando in piena ansia mettevo una sua cover in ripetizione, per calmarmi e questo lui mica lo sa. Non sapevo più nulla di lui, se non certe notizie carpite da facebook, fino a ieri quando non ho trovato il suo nome sul display del mio cellulare, fino a quella chiamata, quella voce che conosco così bene che mi parlava ed alleggeriva mesi di pesantezza sul cuore.
Ha rischiato di farmi piangere, quella chiamata, non dal dolore, ma dalla gioia. Mesi di assenza, cancellati così, perché c'erano cose che voleva dirmi perché mi vuole bene e mi considera una delle due persone che, in quella classe, meritava di sapere le cose. Lui parlava, mi raccontava di quanto stesse meglio, di quanto si sia finalmente accettato, di quanto abbia trovato chi lo renda felice e del fatto che tra poco parte. Va lontano, va ad essere felice ed io ascoltavo, parlavo, gli dicevo che è giusto così, con la convinzione che lui se lo meriti davvero. C'è solo una cosa che mi ha fatto riempire gli occhi di lacrime ancora di più del "perché ti voglio bene", quel "fagli il culo a tutti, non solo durante le verifiche", come se sapesse che ho la capacità di farmi valere, di dare tanto.
Ho scritto tutto ieri sera, ora sto riscrivendo, perché quella parole a caldo erano troppo calde, ma tutt'ora, con la sua voce che canta in sottofondo, ho gli occhi lucidi. Non ho mai chiesto tanto dalla vita, non ho mai preteso che qualcuno mi considerasse abbastanza importante da dirmi qualcosa anziché dirlo a qualcun'altro, ma quella dimostrazione d'affetto, disinteressata e venuta da sé, senza forzature da nessuno se non da chi la voleva dare, mi ha spiazzata. Spiazzata così tanto che scrivo a ruota libera come non facevo da un sacco, presa da una febbricitante gioia di vivere e vorrei gridare alla vita che a lui deve più di quanto gli abbia dato in diciannove anni di vita.

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