Ciao nonna,
è notte fonda, io ho ancora qualche lacrima che mi scorre sul viso dopo aver finito un film, tu non ci sei più da anni e non conto solo quelli della tua effettiva morte, ma nel tuo non esserci ci sei sempre stata.
Ho guardato un film che si intitola “Still Alice”, parla di una donna affetta da Alzheimer prococe… il tuo non era precoce, durante il film ho fatto due conti e i primi sintomi si sono manifestati intorno ai settant’anni, non credo si possa parlare di “precoce”. Qualche lacrima sta ancora scappando, avrei dei messaggi a cui rispondere, i capelli da sistemare, scegliere cosa mettere per il primo giorno di stage e invece batto veloce sulla tastiera, solo perché so che se scrivessi a penna sarei ancora più in lacrime mentre voglio rimanere lucida scrivendo queste parole.
Ho riconosciuto ogni sintomo che vedevo in quel film, fin dal primo momento quando altri forse non ci avrebbero neanche fatto caso, io riconoscevo i sintomi ed ogni sintomo, ogni parola persa, ogni nome mancato, ogni attimo di smarrimento erano per me una pugnalata, sale su una ferita mai veramente rimarginata, una paura resa realtà. Dio, sapevo che questo film mi avrebbe straziato, ma non sapevo così tanto. Non avevo immaginato che in ogni cosa avrei ritrovato te, ricordandomi quanto avrei voluto essere più grande, aver goduto prima di te, averti potuto dire tante cose che non c’è mai stato tempo di raccontarti, di farti sapere. Avrei voluto vedessi chi sto diventando, anche se per te sono sempre stata bella, speciale.
Avevo sedici anni quando te ne sei andata, non riconoscevi più nessuno, eri un vegetale dal viso scavato, una donna minuta diventata così piccola che nelle poche volte che ti ho visto prima che te ne andassi ho avuto la sensazione che se ti avessi sollevato dal letto ti saresti spezzata in così tanti pezzi che non ti si poteva ricomporre. Te ne sei andata così in un giorno d’estate, ma tengo caro quell’attimo di lucidità dove m’hai guardato da un letto d’ospedale, ho rivisto i tuoi occhi e m’hai mandato un bacio. Stop. Momento finito. Ti sei spenta. Non ti ho più rivista.
Avevo sedici anni, la prima bocciatura in arrivo, anni di te che ti spegnevi negli occhi, di te che ti scordi di me, di nonno che ti guardava spegnerti senza sapere come tenerti con sé, tutti che a modo loro soffrivano e nessuno che lo dava a vedere. Ho dormito tre giorni con un peluche che mi regalasti quando ero bambina nel letto, ero a pezzi. Eri il primo pezzo della mia vita che se ne andava davvero, il mio ponte con l’infanzia, coi bei ricordi, che cadeva ed io non potevo più raggiungerlo. Avevo sedici anni e mi sembra così tanto tempo fa.
E’ il nove febbraio, tra quattordici giorni sarebbe il tuo ottantasettesimo compleanno, tra ventuno giorni è il mio ventunesimo compleanno e non riesco a ricordare da quanti anni non mi fai gli auguri per il mio compleanno, Dio, questo mi sta facendo così arrabbiare, perché come posso essermi dimenticata una cosa così? Ora sarebbe importate. Tutto sarebbe importate.
Sai nonna, salto di palo in frasca in queste righe, forse colpa delle lacrime, dei troppi pensieri, dei ricordi che mi affollano la mente, ma c’è una cosa che vorrei tanto scriverti per quanto stupido sia scrivere ad una persona che non c’è più: ho al collo un tuo ciondolo, nei momenti tristi, nei momenti di sconforto, di debolezza o di mancanza di forza di volontà, lo stringo e tiro avanti.
Sei sempre con me in ogni sorriso che faccio.
Non voglio dimenticare niente, non voglio dimenticare te.