E' stato deciso in un po' di corsa di andare a quel concerto che lui mi aveva buttato lì: scende un'amica da Milangeles, qua non c'era nulla da fare e Pisa è solo un'ora di strada, e, oltretutto, mi si era presentata pure la scusa di andare per via della radio, serviva qualcuno a fare il report della serata.
Sentivo la pressione, porto un'amica a bere nella piazza degli studenti giusto perché volevo allontanarmi dal posto del concerto, dalla possibilità di vederlo, dalla possibilità di non vederlo.
Certo, il Caso è strano: tempo di allontanarmi e tornare, accendermi una sigaretta e vedo avvicinarsi un gruppo con uno da cui sotto il cappuccio spuntano dei capelli lunghi. Vado in panico, dimentico come ci si comporta da persona normale, ma che cazzo di effetto mi fa?
Alla fine ho fatto in tempo ad entrare, a dire alla mia amica "io non saluto per prima nessuno" che è entrato nel locale vedendomi subito e venendo a salutarmi. Due baci sulla guancia, una mano sul fianco che io non so neanche se ho sognato, "sei venuta!". B. dice che nel tempo delle quattro chiacchiere non faceva che avere occhi che per me, che tutte le volte che ha tentato di parlare si è sentita invisibile perché lui neanche la sentiva. Io so soltanto che, come a dicembre, in quegli occhi azzurri mi ci potrei perdere.
"Dopo tornate subito a casa?".
Orbitiamo intorno come due satelliti, volendo o no non l'ho neanche ben capito: parlo con la mia amica di capodanno, me lo ritrovo accanto all'amica a darmi le spalle; me lo ritrovo a un metro per tutto il concerto (B. sostiene di averlo beccato almeno quattro volte girato a guardarmi/ci, una delle quali pure prolungata, io lo vedevo sempre girato verso il palco a cantare). Ci perdiamo dopo il concerto, balliamo a un ritmo diverso: io entro, lui esce, io esco, lui entra tutto senza incrociarci.
Cosa mi hai chiesto cosa facevo dopo se poi neanche mi saluti prima di andartene?
Io, comunque, cretina come sempre gli ho scritto solo per confermare che aveva ragione sul tipo in concerto. Ovviamente, non risponderà.
domenica 24 febbraio 2019
venerdì 22 febbraio 2019
Origami e i Casi strani che attira senza neanche volerlo: Il Cantante #1 - Pilot.
Mi sono resa conto, parlando con le amiche, che la mia vita è sempre più simile a una serie TV di genere commedy, perché tra le mie avventure al volante, sui treni e in generale qualsiasi volta che metto piede fuori di casa ci sarebbe materiale per una mini serie di almeno tre stagioni. Siccome su questo blog abbiamo già "Origami e le sue (dis)avventure" e "Origami al volante pericolo costante", poteva mancare questo capitolo della mia vita che esisteva, ma non aveva un titolo? No. Ora che arrivo a questo punto mi domando a chi freghi di questa premessa, ma vabbe.
Il Cantante #1 - Pilot.
Una parte centrale della mia vita è composta dalla musica, è una cosa che non solo si nota parlando con me per più di cinque minuti, ma si nota anche passando da questo blog. Non faccio mistero di amarla, per questo amo andare ai piccoli festival musicali di provincia dove in un cartellone di due giorni ci sono si e no tre artisti un minimo più conosciuti perché per me è un modo per scoprire artisti nuovi. Così, quest'estate sono andata a un festival di due giorni dove ho fatto la mia solita figuretta da Origami: mi sono fatta vedere cantare sotto palco da questo bravo - davvero, è bravo davvero! - cantante che, non mi vergogno ad ammetterlo, quando ho scoperto la sua faccia dopo dieci giorni ad ascoltare il suo cd senza guardare manco mezza foto ho pensato "beh, complimenti a mamma e papà!". Lui mi vede cantare (infondo, ha suonato in un orario infelice e con poca gente sotto palco, cosa mi aspettavo io?), me lo fa sapere tramite l'amica che era a fare le foto e che gli riporta i complimenti, me lo fa sapere sui social quando vede che l'ho menzionato in una storia (dove, tra l'altro, stonavo la sua canzone che preferisco).
Nata e morta lì, per me. Invece nei mesi c'è stata un escalation: da semplici botta e risposta su Instagram - dove lui ha pure innocentemente ribadito che ho un posto speciale nel suo cuore, essendo io la prima persona "sconosciuta ed estranea ai fatti" che cantava le sue canzoni - siamo arrivati a lui che, dal nulla, mi informa di una macchina per andarlo a vedere nella sua città per il suo ultimo concerto salvo poi fare marcia indietro nel messaggio dopo con "non ti metterei mai nelle loro mani" e a sempre lui che mi informa, senza poi dirmi altro, della serata indie in una discoteca in zona (sì, la famosa sera del cd regalato e del mio post al gusto di vodka lemon). Mi sono detta, dopo un paio di giorni di farfalle nello stomaco perché Santo Tom Hiddleston da Wembley quanto è gentile e quanto sono azzurri i suoi occhi, "basta, move on!". Rispunta, rispondendo a un messaggio che neanche ricordavo di averli mandato, le amiche gli scrivono giorni dopo fingendosi me e lui risponde socievole come non mai. Continuiamo con me che cerco di attaccare bottone, ma finisce in un nulla di fatto.
Febbraio. Io decido di tornare in me, superato Sanremo per me è un "basta!" vero, sono decisa a ritornare in me, perché non ha senso, è stato solo gentile.
Si rende conto di non seguirmi, iniziando a seguirmi (mentre parlavamo no, dal silenzio sì).
Non smette di seguirmi.
Inizia a commentarmi le storie.
Qua si apre lo scenario da Caso Strano che attiro senza neanche volerlo: se apre la conversazione lui, è socievole. La inizio io, con le sue stesse tecniche, è un palo in culo.
Uno dice vabbe, che vuoi che sia? Di Casi Strani così ne hai trovati a bizzeffe!
Sì, me lo dico anche io. Salvo che gli altri C.S. non buttavano lì messaggi in cui tutti, nessuno escluso, vedono il sotto testo del "vieni a questo concerto?"/"sei a questo concerto?" salvo che poi quando potrebbe davvero dirlo, sparisce.
Chiamiamo uno bravo... non per lui, ma per me, per capire come sia possibile.
(Intitoliamo #1 - Il pilot, perché io dico che è finita qua, tutti dicono no. Vedremo.)
Il Cantante #1 - Pilot.
Una parte centrale della mia vita è composta dalla musica, è una cosa che non solo si nota parlando con me per più di cinque minuti, ma si nota anche passando da questo blog. Non faccio mistero di amarla, per questo amo andare ai piccoli festival musicali di provincia dove in un cartellone di due giorni ci sono si e no tre artisti un minimo più conosciuti perché per me è un modo per scoprire artisti nuovi. Così, quest'estate sono andata a un festival di due giorni dove ho fatto la mia solita figuretta da Origami: mi sono fatta vedere cantare sotto palco da questo bravo - davvero, è bravo davvero! - cantante che, non mi vergogno ad ammetterlo, quando ho scoperto la sua faccia dopo dieci giorni ad ascoltare il suo cd senza guardare manco mezza foto ho pensato "beh, complimenti a mamma e papà!". Lui mi vede cantare (infondo, ha suonato in un orario infelice e con poca gente sotto palco, cosa mi aspettavo io?), me lo fa sapere tramite l'amica che era a fare le foto e che gli riporta i complimenti, me lo fa sapere sui social quando vede che l'ho menzionato in una storia (dove, tra l'altro, stonavo la sua canzone che preferisco).
Nata e morta lì, per me. Invece nei mesi c'è stata un escalation: da semplici botta e risposta su Instagram - dove lui ha pure innocentemente ribadito che ho un posto speciale nel suo cuore, essendo io la prima persona "sconosciuta ed estranea ai fatti" che cantava le sue canzoni - siamo arrivati a lui che, dal nulla, mi informa di una macchina per andarlo a vedere nella sua città per il suo ultimo concerto salvo poi fare marcia indietro nel messaggio dopo con "non ti metterei mai nelle loro mani" e a sempre lui che mi informa, senza poi dirmi altro, della serata indie in una discoteca in zona (sì, la famosa sera del cd regalato e del mio post al gusto di vodka lemon). Mi sono detta, dopo un paio di giorni di farfalle nello stomaco perché Santo Tom Hiddleston da Wembley quanto è gentile e quanto sono azzurri i suoi occhi, "basta, move on!". Rispunta, rispondendo a un messaggio che neanche ricordavo di averli mandato, le amiche gli scrivono giorni dopo fingendosi me e lui risponde socievole come non mai. Continuiamo con me che cerco di attaccare bottone, ma finisce in un nulla di fatto.
Febbraio. Io decido di tornare in me, superato Sanremo per me è un "basta!" vero, sono decisa a ritornare in me, perché non ha senso, è stato solo gentile.
Si rende conto di non seguirmi, iniziando a seguirmi (mentre parlavamo no, dal silenzio sì).
Non smette di seguirmi.
Inizia a commentarmi le storie.
Qua si apre lo scenario da Caso Strano che attiro senza neanche volerlo: se apre la conversazione lui, è socievole. La inizio io, con le sue stesse tecniche, è un palo in culo.
Uno dice vabbe, che vuoi che sia? Di Casi Strani così ne hai trovati a bizzeffe!
Sì, me lo dico anche io. Salvo che gli altri C.S. non buttavano lì messaggi in cui tutti, nessuno escluso, vedono il sotto testo del "vieni a questo concerto?"/"sei a questo concerto?" salvo che poi quando potrebbe davvero dirlo, sparisce.
Chiamiamo uno bravo... non per lui, ma per me, per capire come sia possibile.
(Intitoliamo #1 - Il pilot, perché io dico che è finita qua, tutti dicono no. Vedremo.)
Ultimamente ho una bassa tolleranza per le critiche, più o meno costruttive, che mi vengono mosse da determinate persone. Ad esempio è da ieri che rifletto sulla frase, “è vero, hai uno stile molto anni 90 e mi piace, ma spesso sei ancora troppo maschiaccio.”.
Sarà che, come ho scritto all'inizio, ho una bassa tolleranza verso le critiche che vengono mosse da determinate persone, ma piegando i panni e sistemando i vestiti sparsi per camera non ho ben capito cosa ci sia (ancora) di troppo maschiaccio. Il fatto che di base vado giro in jeans e felpa? Perché per vestirmi bene e sfoderare una gonna o un vestito aspetto un occasione decente anziché mettermela per andare a portare il cane?
Quello che mi perplime di più non è che nonostante tutti i miei sforzi per trovare il mio stile - trovando un equilibrio tra mio gusto, il mio voler stare comoda, la mia comfort zone e, perché no, un pizzico di maggiore femminilità - io venga ancora vista come un maschiaccio, come Mario, ma mi perplime di più il fatto che nel 2019 il fatto di non vestirsi sei giorni su sette con abiti considerati femminili e con delle scarpe alte - cosa che, essendo bassa, mi sento dire da anni - sia ancora stigmatizzato, come se dovessi vergognarmi di avere una mia personalità che si esprime anche attraverso i jeans e la felpa enorme della mostra di Andy Warhol.
Sarà che, come ho scritto all'inizio, ho una bassa tolleranza verso le critiche che vengono mosse da determinate persone, ma piegando i panni e sistemando i vestiti sparsi per camera non ho ben capito cosa ci sia (ancora) di troppo maschiaccio. Il fatto che di base vado giro in jeans e felpa? Perché per vestirmi bene e sfoderare una gonna o un vestito aspetto un occasione decente anziché mettermela per andare a portare il cane?
Quello che mi perplime di più non è che nonostante tutti i miei sforzi per trovare il mio stile - trovando un equilibrio tra mio gusto, il mio voler stare comoda, la mia comfort zone e, perché no, un pizzico di maggiore femminilità - io venga ancora vista come un maschiaccio, come Mario, ma mi perplime di più il fatto che nel 2019 il fatto di non vestirsi sei giorni su sette con abiti considerati femminili e con delle scarpe alte - cosa che, essendo bassa, mi sento dire da anni - sia ancora stigmatizzato, come se dovessi vergognarmi di avere una mia personalità che si esprime anche attraverso i jeans e la felpa enorme della mostra di Andy Warhol.
mercoledì 20 febbraio 2019
Prima o poi, appena avrà una mezza giornata di pace (mentale, soprattutto), inaugurerò su questo blog la rubrica "Origami e i Casi strani che attira senza neanche volerlo", ma per ora voglio solo appuntarmi che nonostante lanci segnali non chiari che ci lasciano tutte - e tutti confusi - non è giusto che abbia tutto quello che mi piace in una ragazzo (bella voce, begli occhi, belle labbra, bei capelli - cazzo, fanno invidia a me!) e che io non possa averlo.
giovedì 7 febbraio 2019
E quindi per ogni volta che vorrò sentirti chiuderò gli occhi su questa realtà.
Ciao Nonno,
so che continuare a scriverti non ha più senso, l so da anni, ma ogni tanto avrei bisogno di sedermi in salotto con te - tu sulla poltrona a dondolo dal lato della finestra io o sull'altra poltrona o sul divano - e parlare, parlare, parlare. Non posso più farlo, quindi non mi resta che vomitare tutto su carta con l'inchiostro.
Io lo so che, ora, ti parlerei anche del mio mondo interiore, ora che ho superato l'adolescenza, ora che avrei bisogno della tua saggezza, dei tuoi consigli. Ora che sono sempre più vicina al quarto di secolo e mi sembra di sapere meno cose di dieci anni fa, ora che mi sembra di essermi dimenticata di come si cammina.
Mi manchi, mi manchi ogni volta che mi sento sbagliata mentre con te mi sono sempre sentita giusta, anche quando in casa tutti mio chiedevano di cambiare. Mi manchi ogni volta passo da casa degli zii, ogni volta che salgo e casa non più quella casa. Mi sei mancato quando ho la visto P. e abbiamo parlato un po' di te e, sai, non le ho detto che ho capito che per entrambe eri un po' come la bussola per un marinaio, avrei voluto dirglielo e sentirmi capita, sentirmi meno sola nel pensarti ancora come una bussola, quella bussola oramai persa sul fondo del mare.
Sai, a Sanremo c'è questa canzone scritta per un nonno che non c'è più. Sarà per quelli squarci di provincia che si sentono tra le parole, sarà che ogni provincia - in Toscana soprattutto - sono tutte uguali, sarà per la nostalgia delle parole, ma dal primo ascolto ti ho pensato, ti ho pensato tanto, ti ho ritrovato tra quelle parole. Vorrei tanto i tuoi consigli, vorrei potertela fartela sentire e dirti le cose che non ti dissi mai quando eri qua, chissà se, però, le hai capite anche senza che parlassi.
so che continuare a scriverti non ha più senso, l so da anni, ma ogni tanto avrei bisogno di sedermi in salotto con te - tu sulla poltrona a dondolo dal lato della finestra io o sull'altra poltrona o sul divano - e parlare, parlare, parlare. Non posso più farlo, quindi non mi resta che vomitare tutto su carta con l'inchiostro.
Io lo so che, ora, ti parlerei anche del mio mondo interiore, ora che ho superato l'adolescenza, ora che avrei bisogno della tua saggezza, dei tuoi consigli. Ora che sono sempre più vicina al quarto di secolo e mi sembra di sapere meno cose di dieci anni fa, ora che mi sembra di essermi dimenticata di come si cammina.
Mi manchi, mi manchi ogni volta che mi sento sbagliata mentre con te mi sono sempre sentita giusta, anche quando in casa tutti mio chiedevano di cambiare. Mi manchi ogni volta passo da casa degli zii, ogni volta che salgo e casa non più quella casa. Mi sei mancato quando ho la visto P. e abbiamo parlato un po' di te e, sai, non le ho detto che ho capito che per entrambe eri un po' come la bussola per un marinaio, avrei voluto dirglielo e sentirmi capita, sentirmi meno sola nel pensarti ancora come una bussola, quella bussola oramai persa sul fondo del mare.
Sai, a Sanremo c'è questa canzone scritta per un nonno che non c'è più. Sarà per quelli squarci di provincia che si sentono tra le parole, sarà che ogni provincia - in Toscana soprattutto - sono tutte uguali, sarà per la nostalgia delle parole, ma dal primo ascolto ti ho pensato, ti ho pensato tanto, ti ho ritrovato tra quelle parole. Vorrei tanto i tuoi consigli, vorrei potertela fartela sentire e dirti le cose che non ti dissi mai quando eri qua, chissà se, però, le hai capite anche senza che parlassi.
"Mi tengo stretto addosso i tuoi consigli
Perché lo sai che qua non è mai facile
Per chi fa muso contro, ancora
E quindi
Per ogni volta che vorrò sentirti
Chiuderò gli occhi su questa realtà
Nonno mi hai lasciato dentro ad un mondo a pile
Una generazione che non so sentire
Ma in fondo siamo storie con mille dettagli
Fragili e bellissimi tra i nostri sbagli"
- Enrico Nigiotti, Nonno Hollywood.
domenica 3 febbraio 2019
You’re just another story I can’t tell anymore.
Non sapevo cosa mettermi domani, per una questione di sentirmi sempre inadatta tutto quello che avevo nell’armadio mi sembrava troppo o in un verso o in un altro. Volevo scegliere da sola, ma alla fine ho chiesto aiuto alle amiche lasciando scegliere loro tra due abbinamenti camicia+jeans, perché mi convincevano entrambi poco. Il voto ha unanimemente optato per una camicia blu con le ancore abbinata a dei jeans blu, quando ho scelto l’opzione non mi ero ricordata di una cosa: la camicia era quella del mio primo esame, quello dove mi feci volutamente bocciare allo scritto e ragazzo-xanax, il quale dava l’esame con me e ci eravamo sentiti quasi tutti i giorni mentre lo preparavamo (da cose serie a cagate pazzesche), si arrabbiò rompendo quella su aura di calma per la mia decisione di non rispondere o di sbagliare alcune risposte per non andare all’orale. Fu anche la volta in cui gli scrissi disperatamente di fermarsi a un tabacchino per prendermi le sigarette, arrivò e la prima cosa che mi disse, lo ricordo ancora, fu che non aveva trovato un tabacchino ma “ti faccio tutte quelle che vuoi”.
Questa camicia, alla sua discussione, mi sa di chiusura, del degno silenzioso addio che sarà (la tristezza la terrò per domani, quando finirò a scrivere su un treno di ritorno).
Questa camicia, alla sua discussione, mi sa di chiusura, del degno silenzioso addio che sarà (la tristezza la terrò per domani, quando finirò a scrivere su un treno di ritorno).
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