Sto ripensando a dove fossi l'ultima volta che ha piovuto, non troppi giorni fa, ed era meglio se non ci pensavo, se non ricordavo ogni minimo dettaglio oltre alle grosse gocce di pioggia che cadevano sull'asfalto, lasciando che l'aria si impregnasse dell'odore dell'asfalto e della terra bagnata.
Mi stupisco di ricordare ogni minimo dettaglio, ma non le parole a cui, io, do sempre fin troppa importanza, come mi stupisco di rivolere indietro quella sera che era piena di tristezza e di casini. Ricordo anche quel momento in cui la macchina curvava veloce ed io lo perdevo di vista, ben sapendo che l'indomani non sarebbe rimasto, ma non sapendo quando l'avrei rivisto e ricordo quel dolore, come uno strappo dentro che mi ha accompagnato fino a casa, in casa, a letto.
Sto ripensando all'ultima volta che ha piovuto e ripenso a quando, qualche ora prima dei casini, quando la pioggia non aveva ancora incominciato a cadere, mi ritrovai, in mezzo agli scherzi, a ricevere un abbraccio. Ora invece diluvia, non c'è l'ombra di abbracci, neanche scherzando, e penso a quanto sia stupida a ricordare tutto.
mercoledì 27 agosto 2014
domenica 24 agosto 2014
Pensieri senza senso.
Stasera son triste, lo ero anche ieri, ma poi son riuscita a ridere un po’, prima che le cose degenerassero in un casino generale – se non fossero incasinati, probabilmente, non mi ci troverei così bene - e finissi col rientrare in casa incazzata ed in iperventilazione per tutto il nervoso e l’ansia del fine serata.
Ieri, mi sono allontanata da tutti e me ne sono andata sulla riva a guardare il mare, sgolando alla goccia un bicchiere quasi pieno di vodka che avevo riempito di nuovo poco prima e che tenevo da troppo tra le mani, senza berlo, facendola diventare troppo calda per i miei gusti. Non sono rimasta sola allungo, un’amica mi ha raggiunto, ricordandomi che anche se non la posso avere accanto ogni giorno, lei c’è e mi conosce sempre meglio di chiunque altro. Alla fine, poi, non mi son sentita così sola, nonostante quella tristezza infame che ieri mi è salita dentro, perché a me fa schifo ‘sta cosa che tutti partono e io resto qua. Mi fa schifo da anni, ma quest’anno più che mai. E la cosa peggiore è che ho in testa una canzone di un gruppo stupido da ieri sera e non riesco a togliermela dalla testa, di nuovo.
Sto reprimendo ogni cosa, sto fingendo di non essere a pezzi per questo e mille altri motivi. Mi piace fingermi intera quando mi son resa conto di essere a metà, a pezzi. Tornerò a passare dei giorni di merda, come prima, perché negli ultimi dieci giorni son riuscita a reprimere tutto, a ritrovare il mio equilibrio fatto di risate, di discorsi seri, di cagate, di serate assurde e di casini immani.
Ho degli occhiali da ridare ad una persona che mi ignora, ed io faccio lo stesso non dico di non farlo, e non so neanche come riconsegnarli, ho da pensare a questo, alla scuola sempre più vicina, ad un esame di stato che io non so mica se riuscirò ad affrontare, ad una classe in stragrande maggioranza composta da gente che mi sta profondamente sul cazzo, dove l’unica persona da cui avevo preso l’abitudine di farmi abbracciare mancherà perché tra poche settimane si trasferirà altrove. Dio, a cosa mi appiglio di buono stasera, domani e nei prossimi giorni?
Non riesco a scrivere, ho un peso addosso che mi schiaccia, quindi scrivo a telegramma, continuando a sentire la stessa canzone mentre aspetto che sto maledetto film si carichi. Dio, quanto odio tutto questo, quanto odio me.
Ieri, mi sono allontanata da tutti e me ne sono andata sulla riva a guardare il mare, sgolando alla goccia un bicchiere quasi pieno di vodka che avevo riempito di nuovo poco prima e che tenevo da troppo tra le mani, senza berlo, facendola diventare troppo calda per i miei gusti. Non sono rimasta sola allungo, un’amica mi ha raggiunto, ricordandomi che anche se non la posso avere accanto ogni giorno, lei c’è e mi conosce sempre meglio di chiunque altro. Alla fine, poi, non mi son sentita così sola, nonostante quella tristezza infame che ieri mi è salita dentro, perché a me fa schifo ‘sta cosa che tutti partono e io resto qua. Mi fa schifo da anni, ma quest’anno più che mai. E la cosa peggiore è che ho in testa una canzone di un gruppo stupido da ieri sera e non riesco a togliermela dalla testa, di nuovo.
Sto reprimendo ogni cosa, sto fingendo di non essere a pezzi per questo e mille altri motivi. Mi piace fingermi intera quando mi son resa conto di essere a metà, a pezzi. Tornerò a passare dei giorni di merda, come prima, perché negli ultimi dieci giorni son riuscita a reprimere tutto, a ritrovare il mio equilibrio fatto di risate, di discorsi seri, di cagate, di serate assurde e di casini immani.
Ho degli occhiali da ridare ad una persona che mi ignora, ed io faccio lo stesso non dico di non farlo, e non so neanche come riconsegnarli, ho da pensare a questo, alla scuola sempre più vicina, ad un esame di stato che io non so mica se riuscirò ad affrontare, ad una classe in stragrande maggioranza composta da gente che mi sta profondamente sul cazzo, dove l’unica persona da cui avevo preso l’abitudine di farmi abbracciare mancherà perché tra poche settimane si trasferirà altrove. Dio, a cosa mi appiglio di buono stasera, domani e nei prossimi giorni?
Non riesco a scrivere, ho un peso addosso che mi schiaccia, quindi scrivo a telegramma, continuando a sentire la stessa canzone mentre aspetto che sto maledetto film si carichi. Dio, quanto odio tutto questo, quanto odio me.
giovedì 21 agosto 2014
Did you tattoo a lucky charm to keep you out of harms way?
Ieri a quest'ora, ero in ansia come non ero mai stata prima di ora, ma non per la paura di tatuarmi, per quello non ho avuto né dubbi né ripensamenti, nemmeno per un secondo. Avevo l'ansia perché stavo per macchiarmi la pelle a vita, perché stavo per mettere nero su bianco sulla mia pelle tutto quello che sono stata, che sono e che sarò, perché una volta finito, quando avrei sentito mancarmi la forza o mancarmi chi non è più qua, basterà che mi guarderò dietro per sapermi intera, forte, mai sola.
Ho avuto paura, seduta su uno sgabellino e mezza appoggiata ad un lettino, ho aspettato che la macchinetta toccasse la mia pelle stringendo tra i denti una maglia, ma il dolore non è mai arrivato. E' stata un'ora di lavoro, tra battutine di un'amica che lo pregava di farmi un po' male, perché così non c'era gusto, risate per cavolate (mie poche, avevo paura di muovermi!) e canzoni sparate a tutto volume. Ero tra amici, di cui una importantissima, non c'era dolore, ogni tanto ho lanciato un pensiero ad alcune persone che avrei voluto al mio fianco, ma non erano riuscite ad esserci fisicamente e persone che non hanno neanche provato ad esserci da lontano. Ha bruciato, dopo, la pelle era rossa vivo ed io non mi sono mai sentita così sicura di qualcosa nella mia vita.
Ora penso a quanto poco sappiano di me la maggior parte della gente che mi circonda, perché il significato vero e completo, lo sanno giusto le persone fidate e penso che forse sono anche tra le poche persone che sanno davvero chi sono, quindi mi convinco che non sia un caso. Forse, sono anche le uniche a sapere che con me non ci vuole tanto, basta solo esserci anche da lontano, anche solo dicendomi "voglio la foto u,u" nel giorno più importante dei miei vent'anni.
Mi sento pronta a prendere la mia vita in mano, ora. Pronta a mettere le mani sul timone per condurre questa nave dove voglio io che male che vada o bene che vada, se servisse, l'ancora a cui aggrapparmi c'è. C'è e ci sarà sempre.
martedì 19 agosto 2014
Ho ritirato il primo libro di quinta, arrivato qualche giorno fa. E' quello d'italiano, l'ho praticamente sfogliato tutto, soffermandomi su autori che conoscevo o su poesie che amo così tanto da non resistere a leggerle ad alta voce, come La pioggia nel pineto di D'Annunzio, che, però, non mi ispira poi così tanta simpatia, e La casa dei doganieri di Montale che è praticamente parte di me. La cosa più bella, però, è arrivata alla parte di "morfosintassi", dove ho trovato un breve capitolo sul corretto uso della è aperta e della é chiusa, dove, tra gli esempi, c'era "me" e "te", su cui l'altra sera si sono messi a discutere i miei amici. Forse, porterò con me queste serate senza senso durante un anno di tormenti.
Sto blaterando cose a caso, per non pensare che domani a quest'ora l'ansia per il tatuaggio sarà svanita, io avrò sulla pelle un disegno di un amico che riassume i miei (primi) vent'anni, lì tra i nei e le lentiggini che ho sulle spalle. Sarà lì, come un amuleto portafortuna, per quando sentirò la mancanza degli occhi di nonno e della cucina di nonna, sarà lì per ricordarmi che ce l'ho fatta e sempre ce la farò. Nonostante l'estrema convinzione, ho l'ansia, ma credo sia normale, è pur sempre una cosa definitiva.
E vorrei uscire, ma qua devo aspettare che mi dicano di scendere, ma qua secondo me si son persi tutti.
domenica 17 agosto 2014
Ho fatto la strada del ritorno cercando di spingere più possibile coi muscoli delle gambe per andare più veloce possibile con la bicicletta, nella vana speranza di togliermi dalla testa tutti i pensieri che lo riguardavano, ma non credo di esserci riuscita se sento ancora la sensazione della sua barbetta che pizzicava sulla mia pelle quando ha strusciato il mento tra le mie scapole, nonostante se la fosse fatta questa mattina.
sabato 16 agosto 2014
Sono le 4:41, scrivo qua per non perdere le parole che mi frullano in testa e non ho altri posti dove scriverle.
Sono a casa da quaranta minuti, i vestiti che ho buttato a lavare sanno di fumo e salsedine, gli anfibi sono sporchi di sabbia, ma io sto benone. Negli ultimi giorni, mi sto ricordando di avere vent’anni, che fare tardi a quest’estate è normale, anche se mia madre sta sveglia fino a quando non rientro e mi saluta scocciata per l’ora. E’ normale fare qualche stronzata, ritrovarsi davanti ad un falò improvvisatissimo, visto che in spiaggia ci siamo scesi tardi e per disperazione, osservare gli amici correre in mutande verso l’acqua e maledire il raffreddore per non poterli seguire se non rischiando di passare, poi, i prossimi giorni con la febbre.
Stasera, con il falò che a volte scaldava e a volte bruciava, ho accettato di avere vent'anni, non più “diciannove più uno”, e ho capito che a vent'anni si deve spegnere la testa e vivere un po’ di più.
(E' bello rientrare che potrebbe già considerarsi mattina, scrivere su Tumblr perché non si sa dove sia la Moleskine e dover poi copiare tutto alla mattina)
Sono a casa da quaranta minuti, i vestiti che ho buttato a lavare sanno di fumo e salsedine, gli anfibi sono sporchi di sabbia, ma io sto benone. Negli ultimi giorni, mi sto ricordando di avere vent’anni, che fare tardi a quest’estate è normale, anche se mia madre sta sveglia fino a quando non rientro e mi saluta scocciata per l’ora. E’ normale fare qualche stronzata, ritrovarsi davanti ad un falò improvvisatissimo, visto che in spiaggia ci siamo scesi tardi e per disperazione, osservare gli amici correre in mutande verso l’acqua e maledire il raffreddore per non poterli seguire se non rischiando di passare, poi, i prossimi giorni con la febbre.
Stasera, con il falò che a volte scaldava e a volte bruciava, ho accettato di avere vent'anni, non più “diciannove più uno”, e ho capito che a vent'anni si deve spegnere la testa e vivere un po’ di più.
(E' bello rientrare che potrebbe già considerarsi mattina, scrivere su Tumblr perché non si sa dove sia la Moleskine e dover poi copiare tutto alla mattina)
venerdì 15 agosto 2014
Sing me to sleep.
Ieri sera sono rimasta a casa, mentre gli altri andavano a ballare, nella vana speranza di stare meglio oggi per poter far serata senza rischiare di crollare morta sotto il peso di questo raffreddore micidiale, e non so né come né perché mi sono iniziati ad arrivare tremila messaggi, quasi tutti da gente che, bene o male, sento spesso. Tutti, tranne uno.
Per istinto di conservazione, non mi fido mai a prima vista delle persone, nonostante possano darmi buone sensazione. Prima di fidarmi, ma fidarmi davvero non fidarmi da "ciao come stai?" e quattro chiacchiere dove gli altri parlano di sé ed io non mi lascio neanche intuire, ci metto quella che può sembrare un'eternità, ma nell'ultimo anno c'è stata un'eccezione. Un'eccezione bellissima.
Era novembre, quando entrò in classe, bello anche per me che ho standard di bellezza totalmente diversi, gentile, educato e con una voce calda che, a sentirla cantare, ti fa venire due metri e mezzo di pelle d'oca. Io me lo ricordo bene, perché timidezza o no, istinto di non fidarmi mai di nessuno, alla seconda ricreazione ci stavo già parlando come se nulla fosse. Neanche una settimana dopo, avevo già una dipendenza dai suoi abbracci e dalla sua voce quando cantava. Secondo la prof. di tecniche della comunicazione, che capisci tutti con un solo sguardo, abbiamo instaurato un determinato rapporto, in così breve tempo, perché siamo due persone affini, simili e forse è la cosa più vera che abbia mai detto riferita a me e, di cose vere, ne ha dette tante.
Coi mesi, ha solo dimostrato di essere una persona fantastica, ma con quello sguardo triste che non riuscivo mai a capire del tutto, che non riuscivo a raggiungere davvero, come non capivo perché di tutte le sue notti insonni, delle assenze a causa dei suoi attacchi di panico troppo frequenti. Non capivo e quando qualcuno lo nominava, mi sentivo in colpa. L'ultima volta che abbiamo parlato, era giugno, ci dicemmo di non perderci, ma io son così, non cerco mai nessuno per non disturbare, ma a lui un pensiero lo buttavo sempre, come quando in piena ansia mettevo una sua cover in ripetizione, per calmarmi e questo lui mica lo sa. Non sapevo più nulla di lui, se non certe notizie carpite da facebook, fino a ieri quando non ho trovato il suo nome sul display del mio cellulare, fino a quella chiamata, quella voce che conosco così bene che mi parlava ed alleggeriva mesi di pesantezza sul cuore.
Ha rischiato di farmi piangere, quella chiamata, non dal dolore, ma dalla gioia. Mesi di assenza, cancellati così, perché c'erano cose che voleva dirmi perché mi vuole bene e mi considera una delle due persone che, in quella classe, meritava di sapere le cose. Lui parlava, mi raccontava di quanto stesse meglio, di quanto si sia finalmente accettato, di quanto abbia trovato chi lo renda felice e del fatto che tra poco parte. Va lontano, va ad essere felice ed io ascoltavo, parlavo, gli dicevo che è giusto così, con la convinzione che lui se lo meriti davvero. C'è solo una cosa che mi ha fatto riempire gli occhi di lacrime ancora di più del "perché ti voglio bene", quel "fagli il culo a tutti, non solo durante le verifiche", come se sapesse che ho la capacità di farmi valere, di dare tanto.
Ho scritto tutto ieri sera, ora sto riscrivendo, perché quella parole a caldo erano troppo calde, ma tutt'ora, con la sua voce che canta in sottofondo, ho gli occhi lucidi. Non ho mai chiesto tanto dalla vita, non ho mai preteso che qualcuno mi considerasse abbastanza importante da dirmi qualcosa anziché dirlo a qualcun'altro, ma quella dimostrazione d'affetto, disinteressata e venuta da sé, senza forzature da nessuno se non da chi la voleva dare, mi ha spiazzata. Spiazzata così tanto che scrivo a ruota libera come non facevo da un sacco, presa da una febbricitante gioia di vivere e vorrei gridare alla vita che a lui deve più di quanto gli abbia dato in diciannove anni di vita.
Per istinto di conservazione, non mi fido mai a prima vista delle persone, nonostante possano darmi buone sensazione. Prima di fidarmi, ma fidarmi davvero non fidarmi da "ciao come stai?" e quattro chiacchiere dove gli altri parlano di sé ed io non mi lascio neanche intuire, ci metto quella che può sembrare un'eternità, ma nell'ultimo anno c'è stata un'eccezione. Un'eccezione bellissima.
Era novembre, quando entrò in classe, bello anche per me che ho standard di bellezza totalmente diversi, gentile, educato e con una voce calda che, a sentirla cantare, ti fa venire due metri e mezzo di pelle d'oca. Io me lo ricordo bene, perché timidezza o no, istinto di non fidarmi mai di nessuno, alla seconda ricreazione ci stavo già parlando come se nulla fosse. Neanche una settimana dopo, avevo già una dipendenza dai suoi abbracci e dalla sua voce quando cantava. Secondo la prof. di tecniche della comunicazione, che capisci tutti con un solo sguardo, abbiamo instaurato un determinato rapporto, in così breve tempo, perché siamo due persone affini, simili e forse è la cosa più vera che abbia mai detto riferita a me e, di cose vere, ne ha dette tante.
Coi mesi, ha solo dimostrato di essere una persona fantastica, ma con quello sguardo triste che non riuscivo mai a capire del tutto, che non riuscivo a raggiungere davvero, come non capivo perché di tutte le sue notti insonni, delle assenze a causa dei suoi attacchi di panico troppo frequenti. Non capivo e quando qualcuno lo nominava, mi sentivo in colpa. L'ultima volta che abbiamo parlato, era giugno, ci dicemmo di non perderci, ma io son così, non cerco mai nessuno per non disturbare, ma a lui un pensiero lo buttavo sempre, come quando in piena ansia mettevo una sua cover in ripetizione, per calmarmi e questo lui mica lo sa. Non sapevo più nulla di lui, se non certe notizie carpite da facebook, fino a ieri quando non ho trovato il suo nome sul display del mio cellulare, fino a quella chiamata, quella voce che conosco così bene che mi parlava ed alleggeriva mesi di pesantezza sul cuore.
Ha rischiato di farmi piangere, quella chiamata, non dal dolore, ma dalla gioia. Mesi di assenza, cancellati così, perché c'erano cose che voleva dirmi perché mi vuole bene e mi considera una delle due persone che, in quella classe, meritava di sapere le cose. Lui parlava, mi raccontava di quanto stesse meglio, di quanto si sia finalmente accettato, di quanto abbia trovato chi lo renda felice e del fatto che tra poco parte. Va lontano, va ad essere felice ed io ascoltavo, parlavo, gli dicevo che è giusto così, con la convinzione che lui se lo meriti davvero. C'è solo una cosa che mi ha fatto riempire gli occhi di lacrime ancora di più del "perché ti voglio bene", quel "fagli il culo a tutti, non solo durante le verifiche", come se sapesse che ho la capacità di farmi valere, di dare tanto.
Ho scritto tutto ieri sera, ora sto riscrivendo, perché quella parole a caldo erano troppo calde, ma tutt'ora, con la sua voce che canta in sottofondo, ho gli occhi lucidi. Non ho mai chiesto tanto dalla vita, non ho mai preteso che qualcuno mi considerasse abbastanza importante da dirmi qualcosa anziché dirlo a qualcun'altro, ma quella dimostrazione d'affetto, disinteressata e venuta da sé, senza forzature da nessuno se non da chi la voleva dare, mi ha spiazzata. Spiazzata così tanto che scrivo a ruota libera come non facevo da un sacco, presa da una febbricitante gioia di vivere e vorrei gridare alla vita che a lui deve più di quanto gli abbia dato in diciannove anni di vita.
martedì 12 agosto 2014
Sono rientrata a casa che l'orologio sul display del mio cellulare segnava le 5:22 del mattino, facendo piano, perché me lo sentivo che mia madre era già crollata, nonostante dica sempre che quando esco e faccio tardi non riesce a dormire. Arrivata al piano delle camere da letto, la sentivo russare, l'ho svegliata per dirle che ero sana e salva a casa, così almeno poteva dormire tranquilla.
Tra una cosa e l'altra, non ho messo la testa sul cuscino prima delle sei e, sarà stata che ero esausta, che il mio ginocchio mi inveiva contro con fitte allucinanti se lo muovevo, sarà stata una serie di cose, ma sono crollata pensando che forse, una crepes alle quattro e mezzo del mattino, potevo mangiarmela anch'io come gli altri. Sembravano buone.
Non ho sognato o forse ho sognato, ma ero troppo stanca per rendermene conto, l'unico sogno che riesco a ricordare è quello che mi ha portato a svegliarmi: un numero non registrato in rubrica mi comunicava che aveva chiarito con il/la tipo/a e che non scendeva quest'estate, perché andavano al Bolgia. Ora, di gente che conosco che potrebbe andarci, c'è, ma che mi scrivano a me per dirmi questo, non penso proprio. Non so perché, però mi sono svegliata di soprassalto e il telefono segnava che erano passati trentacinque minuti a mezzogiorno. Faceva caldo, troppo caldo, per girarsi dall'altra parte e dormire ancora, ma l'avrei fatto volentieri. Ora, più di un'ora e mezza dopo ho ancora i capelli bagnati avvolti nell'asciugamano, il letto da fare, il collo bloccato e scrivo post senza senso, perché ho preso l'abitudine di scrivere anche le stronzate, solo per tenermi attiva.
Alla fine non ho neanche bevuto ieri sera, ma ho ballato uguale, ho scambiato qualche parola con gente sconosciuta che non so neanche da quando esce con loro, ho incontrato una ragazza che è a scuola da me e mi ha guardato un po' sconvolta per avermi trovato poco prima delle cinque in una crepperia affollata di gente che veniva da ballare. Ho spento la testa, per qualche ora, ogni tanto dovrei farlo, perché forse hanno ragione che penso troppo... anche se io, le cinque/le sei di mattina vorrei farle vedendo l'alba, almeno.
Tra una cosa e l'altra, non ho messo la testa sul cuscino prima delle sei e, sarà stata che ero esausta, che il mio ginocchio mi inveiva contro con fitte allucinanti se lo muovevo, sarà stata una serie di cose, ma sono crollata pensando che forse, una crepes alle quattro e mezzo del mattino, potevo mangiarmela anch'io come gli altri. Sembravano buone.
Non ho sognato o forse ho sognato, ma ero troppo stanca per rendermene conto, l'unico sogno che riesco a ricordare è quello che mi ha portato a svegliarmi: un numero non registrato in rubrica mi comunicava che aveva chiarito con il/la tipo/a e che non scendeva quest'estate, perché andavano al Bolgia. Ora, di gente che conosco che potrebbe andarci, c'è, ma che mi scrivano a me per dirmi questo, non penso proprio. Non so perché, però mi sono svegliata di soprassalto e il telefono segnava che erano passati trentacinque minuti a mezzogiorno. Faceva caldo, troppo caldo, per girarsi dall'altra parte e dormire ancora, ma l'avrei fatto volentieri. Ora, più di un'ora e mezza dopo ho ancora i capelli bagnati avvolti nell'asciugamano, il letto da fare, il collo bloccato e scrivo post senza senso, perché ho preso l'abitudine di scrivere anche le stronzate, solo per tenermi attiva.
Alla fine non ho neanche bevuto ieri sera, ma ho ballato uguale, ho scambiato qualche parola con gente sconosciuta che non so neanche da quando esce con loro, ho incontrato una ragazza che è a scuola da me e mi ha guardato un po' sconvolta per avermi trovato poco prima delle cinque in una crepperia affollata di gente che veniva da ballare. Ho spento la testa, per qualche ora, ogni tanto dovrei farlo, perché forse hanno ragione che penso troppo... anche se io, le cinque/le sei di mattina vorrei farle vedendo l'alba, almeno.
lunedì 11 agosto 2014
Don't let the water drag you down.
La mia vita, ultimamente, è un paradosso. C’è chi, pur di avermi con loro stasera, mi passa a prendere dopo aver staccato di lavorare alle undici passate, nonostante il rapporto sia oramai fatto di sporadici messaggi e richieste di uscite che rifiuto praticamente la stragrande maggioranza delle volte con scuse pessime, mentre chi usa tante belle parole continua a darti le spalle dimostrando il contrario di quello che dice. Questo paradosso, però, lo prendo col sorriso, penso che se esco, almeno un drink riuscirò a farmelo, che se spengo la testa e non ricordo dov’ero l’ultima volta che sono andata a ballare facendo quindi paragoni tra la compagnia della volta prima e di stasera, posso sempre divertirmi.
Me lo merito. Merito di staccare la spina, i pensieri, l’ansia, la voglia di urlare, di mandare a fanculo la maggior parte della gente almeno per qualche ora.
Continuo a dormire male, a svegliarmi di soprassalto da incubi così reali che a volte penso di non aver solo sognato ritrovandomi a combattere contro me stessa, per riprendere sonno, ma oramai non funziono più tanto bene ed è un’eterna lotta tra le paranoie portate dagli incubi che faccio e i pensieri pesanti che mi seguono sempre. A volte penso che sarebbe meglio non svegliarsi affatto, continuare a vivere quegli incubi in ripetizione continua anziché svegliarsi e sentirsi arrivare addosso tutto. Di giorno, però, sto meglio, credo, me ne voglio convincere anche se continuo a distruggermi le mani mangiandomi le unghie e le pellicine a sangue e sperando di uscire nella speranza di accendermi quante più sigarette possibile. Va meglio, credo, perché ho seguito un consiglio ed ho reagito, smettendola di essere sempre quella che ascolta in silenzio, spiegando a chi meritava di essere tenuto vicino, perché non c’ero come c’ero sempre stata e, grazie al cielo, nel secondo caso hanno capito, facendomi persino sentire 'in colpa' per averle volute tenere fuori per "non farle preoccupare". Va meglio, perché ho deciso di non essere passiva ai rapporti, ma di essere attiva e reattiva ai rapporti con gli altri. Non taccio più, non sto più ferma, perché, per quanto possibile, voglio prendere in mano la mia vita... almeno quella parte che posso decidere io in che direzione puntare.
Sto pensando che mancano due giorni e inizierà un periodo di cose belle, ma continuo ad avere l'ansia, la voglia matta di gridare, di sedermi in riva al mare a scrivere, invece che farlo a computer che continuo a pensare che sia prendere distacco da me stessa. Scrivo ed ho l'ansia che non passa, forse dovevo farlo a penna o continuare a vegetare sul letto aspettando stasera.
Continuo a dormire male, a svegliarmi di soprassalto da incubi così reali che a volte penso di non aver solo sognato ritrovandomi a combattere contro me stessa, per riprendere sonno, ma oramai non funziono più tanto bene ed è un’eterna lotta tra le paranoie portate dagli incubi che faccio e i pensieri pesanti che mi seguono sempre. A volte penso che sarebbe meglio non svegliarsi affatto, continuare a vivere quegli incubi in ripetizione continua anziché svegliarsi e sentirsi arrivare addosso tutto. Di giorno, però, sto meglio, credo, me ne voglio convincere anche se continuo a distruggermi le mani mangiandomi le unghie e le pellicine a sangue e sperando di uscire nella speranza di accendermi quante più sigarette possibile. Va meglio, credo, perché ho seguito un consiglio ed ho reagito, smettendola di essere sempre quella che ascolta in silenzio, spiegando a chi meritava di essere tenuto vicino, perché non c’ero come c’ero sempre stata e, grazie al cielo, nel secondo caso hanno capito, facendomi persino sentire 'in colpa' per averle volute tenere fuori per "non farle preoccupare". Va meglio, perché ho deciso di non essere passiva ai rapporti, ma di essere attiva e reattiva ai rapporti con gli altri. Non taccio più, non sto più ferma, perché, per quanto possibile, voglio prendere in mano la mia vita... almeno quella parte che posso decidere io in che direzione puntare.
Sto pensando che mancano due giorni e inizierà un periodo di cose belle, ma continuo ad avere l'ansia, la voglia matta di gridare, di sedermi in riva al mare a scrivere, invece che farlo a computer che continuo a pensare che sia prendere distacco da me stessa. Scrivo ed ho l'ansia che non passa, forse dovevo farlo a penna o continuare a vegetare sul letto aspettando stasera.
domenica 10 agosto 2014
Se qualcuno mi ha mandato degli accidenti, deve avermeli mandati buoni.
Dopo aver tirato fuori un padellino che, non so per quale oscuro motivo forse per le sue piccole dimensioni, mi ricorda la casa delle Barbie che avevo da bambina, le uova e l'olio, mi accingo a prepararmi la cena da sola, ma già accendere il gas si presenta come un'impresa. L'accendi gas della cucina, che non so neanche da quando esista in casa quella specie di incrocio tra una pistola ed un accendino verde fluo, non va, così dopo aver girato tutta casa in cerca di un accendino, tutta pimpante all'idea di farmi una frittata - che, tra l'altro si è miseramente rotta - accendo il gas... rischio di bruciarmi, perché parte una fiammata.
Vabbè, penso, è andata bene. Puzza solo un po' di pollo, ma non mi sono bruciata.
Cinque minuti e una frittata brutta come la morte dopo mi siedo a tavola, Ghost whisperer in tv, infilzo una fetta di frittata e, da una festa con tanto di gonfiabili che non sapessero stessero montando sotto casa, parte Cicale Cicale.
Ok, sopporta, alza la tv e sopporta.
Finisci di vedere la tv, finisci la cena e parte Il Ballo Di Simone.
Repertorio moderno, penso, peggio di così non ti può andare stasera.
Invece no! Perché se può andar peggio, va peggio.
E mentre scrivo sta cosa, pensando che davvero qualcuno mi odia e mi manda degli accidenti, è partita una canzone non meglio identificata che sembro lo Yodel. Sia ben chiaro che qua è una località di mare e non mi trovo tra le montagne svizzere o tirolesi.
(Ogni tanto mi piace raccontare le mie vicende tragicomiche su blog che hanno l'aspetto serio...)
Vabbè, penso, è andata bene. Puzza solo un po' di pollo, ma non mi sono bruciata.
Cinque minuti e una frittata brutta come la morte dopo mi siedo a tavola, Ghost whisperer in tv, infilzo una fetta di frittata e, da una festa con tanto di gonfiabili che non sapessero stessero montando sotto casa, parte Cicale Cicale.
Ok, sopporta, alza la tv e sopporta.
Finisci di vedere la tv, finisci la cena e parte Il Ballo Di Simone.
Repertorio moderno, penso, peggio di così non ti può andare stasera.
Invece no! Perché se può andar peggio, va peggio.
E mentre scrivo sta cosa, pensando che davvero qualcuno mi odia e mi manda degli accidenti, è partita una canzone non meglio identificata che sembro lo Yodel. Sia ben chiaro che qua è una località di mare e non mi trovo tra le montagne svizzere o tirolesi.
(Ogni tanto mi piace raccontare le mie vicende tragicomiche su blog che hanno l'aspetto serio...)
sabato 9 agosto 2014
Oggi mi sento forte, nonostante il mio corpo sia in procinto di spezzarsi sotto i dolori dovuti al ciclo.
Oggi mi sento forte, ho aggiornato un'amica sul come mai nell'ultimo periodo ero più assente del solito, ho risposto ad un'altra amica a cui promettevo da giorni di rispondere e mi hanno fatto sorridere un sacco, ricordandomi che nonostante la distanza, nonostante io domani non sarò in viaggio con loro per il Salento, nonostante tutto che cos'è l'amicizia, quella dei piccoli gesti, come promettermi di portarmi i taralli e di portar dietro Jimmy il pallone per ricordarsi di me, cosa che so che faranno, come so che quando dicono che gli mancherò insieme al mio disordine e alle mie chiacchiere infinite dicono il vero.
Oggi mi sento forte, sarà anche che ho iniziato a seguire i consigli di un amico a cui, forse forse, ha ragione davvero.
Oggi mi sento bene, anche se stanotte ho fatto di nuovo tardi, ma questa volta senza piangere, tra sorrisi spontanei davanti a messaggi forse banali e scontati dopo tutto questo tempo e tra mille pensieri che mi hanno schiacciato di nuovo.
Oggi mi sento forte, nonostante stia perdendo una festa a cui avrei voluto andare, ma non avevo nessuno e tanto meno non avevo le persone dell'anno scorso con cui ballare, non avevo lui brillo con i suoi capelli rossi che sotto le luci sembravano più rossi. Un po' mi brucia, al solito punto dove sento come una specie di fastidiosissimo prurito da un anno, ma è ok. Anche se stasera non sono lì, anche se mi aspetta un film anziché vodka e vino, anche se non potrò ballare in mezzo alla gente, anche se sono qua da sola e non vorrei essere qua da sola, ma vorrei essere a ridere, a ridere di gusto, mi sento forte ed è tutto ok.
Oggi mi sento forte, forse è solo una sensazione data dal fatto che mi sono fatta la cena da sola senza bruciarmi e senza bruciare casa, dopo tanto tempo che non ero più abituata a dovermela cavare da sola. O forse è dovuta al fatto che non stia pensando, che mi riempia il tempo di libri, canzoni e film.
Oggi mi sento forte, so che tra qualche ora, a letto, non sarà così, ma per ora respiro profondamente e mi convinco che sì, sono forte e resto in piedi.
Ed è buffo come scriva cose senza senso conscia che manchino di senso e come non faccia niente per dargliene uno. Oggi sono forte, ma resto sempre troppo pigra per risistemare questo flusso di parole senza senso.
Oggi mi sento forte, ho aggiornato un'amica sul come mai nell'ultimo periodo ero più assente del solito, ho risposto ad un'altra amica a cui promettevo da giorni di rispondere e mi hanno fatto sorridere un sacco, ricordandomi che nonostante la distanza, nonostante io domani non sarò in viaggio con loro per il Salento, nonostante tutto che cos'è l'amicizia, quella dei piccoli gesti, come promettermi di portarmi i taralli e di portar dietro Jimmy il pallone per ricordarsi di me, cosa che so che faranno, come so che quando dicono che gli mancherò insieme al mio disordine e alle mie chiacchiere infinite dicono il vero.
Oggi mi sento forte, sarà anche che ho iniziato a seguire i consigli di un amico a cui, forse forse, ha ragione davvero.
Oggi mi sento bene, anche se stanotte ho fatto di nuovo tardi, ma questa volta senza piangere, tra sorrisi spontanei davanti a messaggi forse banali e scontati dopo tutto questo tempo e tra mille pensieri che mi hanno schiacciato di nuovo.
Oggi mi sento forte, nonostante stia perdendo una festa a cui avrei voluto andare, ma non avevo nessuno e tanto meno non avevo le persone dell'anno scorso con cui ballare, non avevo lui brillo con i suoi capelli rossi che sotto le luci sembravano più rossi. Un po' mi brucia, al solito punto dove sento come una specie di fastidiosissimo prurito da un anno, ma è ok. Anche se stasera non sono lì, anche se mi aspetta un film anziché vodka e vino, anche se non potrò ballare in mezzo alla gente, anche se sono qua da sola e non vorrei essere qua da sola, ma vorrei essere a ridere, a ridere di gusto, mi sento forte ed è tutto ok.
Oggi mi sento forte, forse è solo una sensazione data dal fatto che mi sono fatta la cena da sola senza bruciarmi e senza bruciare casa, dopo tanto tempo che non ero più abituata a dovermela cavare da sola. O forse è dovuta al fatto che non stia pensando, che mi riempia il tempo di libri, canzoni e film.
Oggi mi sento forte, so che tra qualche ora, a letto, non sarà così, ma per ora respiro profondamente e mi convinco che sì, sono forte e resto in piedi.
Ed è buffo come scriva cose senza senso conscia che manchino di senso e come non faccia niente per dargliene uno. Oggi sono forte, ma resto sempre troppo pigra per risistemare questo flusso di parole senza senso.
giovedì 7 agosto 2014
I legami continuano a sgretolarsi, tra urla e dubbi su un'ora vuota post rabbia che non riesco a ricostruire - cos'è successo mentre ero rannicchiata in terra? - mentre gli oggetti, la casa, rimangono in piedi. Neanche minimamente sfiorati da tutto quello che succede.
Penso che dovrei chiedere aiuto, almeno a chi si definisce amico, ma no, io non chiedo aiuto. Io chiudo la porta, mi rannicchio sul letto, ai messaggi rispondo come se nulla fosse, come se non stessi piangendo, come se il cuore non pompasse troppo forte e l'aria non si spezzasse. Poi scrivo, il giorno dopo, di quanto avrei voluto scrivere a qualcuno "ho bisogno di un abbraccio", ma a chi? Le uniche che ci sarebbero davvero, sono a chilometri e che senso ha farle preoccupare? Ad un amico che mi ha sempre detto di esserci, ma io taglio fuori ogni volta che sto male? No, questa parte di me la conosce da lontano, tra spiragli di porte che chiudo quando mi sfogo, ma non voglio mostrargli tutti i cocci della mia esistenza. Alle altre? Alle altre chi, quelle che chiedono di uscire quando hanno voglia e bisogno loro di sfogarsi? Chi c'è ogni tanto lavandosi la coscienza dicendo "io ci sono", ma poi non c'è mai o chi ti scrive un "mi manchi" su whatsapp, senza mai cercarti davvero?
No, caccio indietro quella voglia e stringo il cuscino, il giorno dopo mi incazzo che son stanca di esserci per le cagate di tutti, ma mai che ci sia qualcuno o che io permetta a qualcuno di esserci quando sono io quella che sta a pezzi.
Continuo a scrivere cose senza senso, cercando di svuotare la testa, ma non svuoto un cazzo e la cosa buffa è che neanche la musica sembra aiutarmi, ma forse sono io che sento roba a caso senza impegnarmi a sentire qualcosa che mi disinfetti le ferite. Sto sentendo Salmo solo perché me lo consigliava youtube, neanche sento cosa dice, sento solo il beat martellante che mi rimbomba nelle orecchie attraverso le cuffie.
Sono stanca di provare ad essere buona, ad essere la figlia perfetta, ad essere educata, a sorvolare, a non rispondere. Sono stanca, vorrei solo chiudere gli occhi e riaprirli lontano da qua.
Penso che dovrei chiedere aiuto, almeno a chi si definisce amico, ma no, io non chiedo aiuto. Io chiudo la porta, mi rannicchio sul letto, ai messaggi rispondo come se nulla fosse, come se non stessi piangendo, come se il cuore non pompasse troppo forte e l'aria non si spezzasse. Poi scrivo, il giorno dopo, di quanto avrei voluto scrivere a qualcuno "ho bisogno di un abbraccio", ma a chi? Le uniche che ci sarebbero davvero, sono a chilometri e che senso ha farle preoccupare? Ad un amico che mi ha sempre detto di esserci, ma io taglio fuori ogni volta che sto male? No, questa parte di me la conosce da lontano, tra spiragli di porte che chiudo quando mi sfogo, ma non voglio mostrargli tutti i cocci della mia esistenza. Alle altre? Alle altre chi, quelle che chiedono di uscire quando hanno voglia e bisogno loro di sfogarsi? Chi c'è ogni tanto lavandosi la coscienza dicendo "io ci sono", ma poi non c'è mai o chi ti scrive un "mi manchi" su whatsapp, senza mai cercarti davvero?
No, caccio indietro quella voglia e stringo il cuscino, il giorno dopo mi incazzo che son stanca di esserci per le cagate di tutti, ma mai che ci sia qualcuno o che io permetta a qualcuno di esserci quando sono io quella che sta a pezzi.
Continuo a scrivere cose senza senso, cercando di svuotare la testa, ma non svuoto un cazzo e la cosa buffa è che neanche la musica sembra aiutarmi, ma forse sono io che sento roba a caso senza impegnarmi a sentire qualcosa che mi disinfetti le ferite. Sto sentendo Salmo solo perché me lo consigliava youtube, neanche sento cosa dice, sento solo il beat martellante che mi rimbomba nelle orecchie attraverso le cuffie.
Sono stanca di provare ad essere buona, ad essere la figlia perfetta, ad essere educata, a sorvolare, a non rispondere. Sono stanca, vorrei solo chiudere gli occhi e riaprirli lontano da qua.
martedì 5 agosto 2014
I can't drown my demons, they know how to swim.
Ennesima notte insonne a combattere l'ansia, che finge di essersi fatta battere, facendomi finire con la faccia schiacciata sul cuscino per coprire i singhiozzi del pianto.
Mi sembrava di soffocare, tra lacrime e ansia, mi è ritornata in mente quella volta al mare, da bambina, quando stavo giocando a riva con altri bambini, perché c'era bandiera rossa ed il bagno non si poteva fare, e rimasi intrappolata dentro all'onda che si infrange sulla riva, facendo un effetto centrifuga, e mentre giravo come i calzini in lavatrice, l'acqua salata mi entrava nel naso, nella bocca, mi faceva bruciare gli occhi. Ieri notte, mi sono sentita nella stessa schifosissima maniera. Stavo annegando, ma nessuno se ne accorgeva, perché sto solo giocando sulla riva, perché io so nuotare.
Ennesima notte insonne dove, tra un tremito d'ansia ed un singhiozzo da pianto, penso che mi piacerebbe dormire di notte e star sveglia di giorno.
Mi sembrava di soffocare, tra lacrime e ansia, mi è ritornata in mente quella volta al mare, da bambina, quando stavo giocando a riva con altri bambini, perché c'era bandiera rossa ed il bagno non si poteva fare, e rimasi intrappolata dentro all'onda che si infrange sulla riva, facendo un effetto centrifuga, e mentre giravo come i calzini in lavatrice, l'acqua salata mi entrava nel naso, nella bocca, mi faceva bruciare gli occhi. Ieri notte, mi sono sentita nella stessa schifosissima maniera. Stavo annegando, ma nessuno se ne accorgeva, perché sto solo giocando sulla riva, perché io so nuotare.
Ennesima notte insonne dove, tra un tremito d'ansia ed un singhiozzo da pianto, penso che mi piacerebbe dormire di notte e star sveglia di giorno.
lunedì 4 agosto 2014
Now, you’re just somebody that I used to know.
Stavo pensando a quella volta, più di due anni fa, quando ricevetti un abbraccio così forte da rimettere tutto apposto dopo un attacco d’ansia, il peggiore di sempre.
Stavo pensando a sabato sera, quello di due giorni fa, quando un’amica mi ha domandato se quello non fosse lui, dopo essergli passata accanto senza accorgermene ricevendo solo un’occhiata di gelido rancore.
Stavo pensando a come lui sia diventato un perfetto sconosciuto, di come io sia cresciuta rimanendo in piedi senza di lui, senza i suoi abbracci, senza la sua compagnia a camminare per qualche chilometro sotto al sole d’agosto per delle crepes e per tanta tristezza
Stavo pensando che ho un groppo in gola maledetto, tutte urla e lacrime represse, che mi rende pesante respirare e che l’unica soluzione sarebbe camminare per chilometri, per sedersi davanti al fiume, mentre qualcuno ti passa un accendino in silenzio.
Io mi salvo da sola, però, così mi tengo il groppo in gola e non permetto più a nessuno di avvicinarsi come avevo permesso a lui.
Stavo pensando a sabato sera, quello di due giorni fa, quando un’amica mi ha domandato se quello non fosse lui, dopo essergli passata accanto senza accorgermene ricevendo solo un’occhiata di gelido rancore.
Stavo pensando a come lui sia diventato un perfetto sconosciuto, di come io sia cresciuta rimanendo in piedi senza di lui, senza i suoi abbracci, senza la sua compagnia a camminare per qualche chilometro sotto al sole d’agosto per delle crepes e per tanta tristezza
Stavo pensando che ho un groppo in gola maledetto, tutte urla e lacrime represse, che mi rende pesante respirare e che l’unica soluzione sarebbe camminare per chilometri, per sedersi davanti al fiume, mentre qualcuno ti passa un accendino in silenzio.
Io mi salvo da sola, però, così mi tengo il groppo in gola e non permetto più a nessuno di avvicinarsi come avevo permesso a lui.
venerdì 1 agosto 2014
Anche se lo so, mi convinco che forse piangere laverà via la rabbia.
Quando i miei si sono separati, per qualche anno, ho sofferto di attacchi d'ira - esistono? - dove il cervello si spegneva e per me non c'era altro che il nervoso, la rabbia, la voglia di urlare, di rompere tutto e nel farlo magari di fare male, più che altro era rivolto verso me stessa quel istinto di voler far male. Perché me lo sono ricordata solo oggi a distanza di tanti anni? Perché la rabbia che ho dentro sta montando come all'ora, solo che anziché uscire come faceva prima, mi incazzo per niente, col computer che non va, con mia madre che mi dice mezza parola storta, e bestemmio come il peggior scaricatore di porto e tiro pugni contro la scrivania, facendomi male alla mano pensando "ma chissene, tanto passa e se non passa neanche questa, pace. Sopravvivo". Sono ritornata apatica, non faccio nulla, mi rompo il cazzo a non far nulla, ma pace, continuo a non far nulla, se non guardare film e telefilm a sfare e leggere libri che mi fanno ripensare alla morte di nonno, senza dirlo a nessuno, e continuo a leggere.
Non tocco una sigaretta da settimane, domani sera magari riesco ad uscire, le compro e ne faccio fuori almeno un paio, forse la rabbia passa, ma non credo. Quel gesto è parte della rabbia, la rabbia autodistruttiva, non costruttiva, come Alaska di "Cercando Alaska" di J. Green che fuma per ammazzarsi. Un qualcosa del genere.
In tutti questi anni, la cosa che non ho mai e poi mai fatto era smetterci di esserci per gli altri, anche per chi non c'era per me, io c'ero. C'ero in qualsiasi circostanza, anche quando avrei voluto urlare "ma mi vedi!? Sono a pezzi, sto crollando da mesi e tu non ci sei mai stato per me, perché dovrei esserci io!?" e invece stavo lì, ascoltavo e davo consigli, perché dicono che quelli li so dare, me la cavo bene. Bella merda avere come talento quello di saper dar consigli e mettersi nei panni degli altri, perché nei miei chi ci si mette? Io. E mi è sempre andato bene, mi piaceva cavarmela da sola, essere in grado di stare bene o male in piedi da sola, essere forte o almeno farlo credere a quasi tutti. Mi è sempre andato bene essere nata per ascoltare gli altri, col tempo ho anche smesso di essere logorroica per imparare ad ascoltare anche i silenzi, ma ora credo di essere arrivata al limite massimo. Sono stufa di ascoltare chi non c'è poi quando non dormo alla notte e sento che sto per piangere, prendo il telefono, ma poi lo rimetto giù senza aver detto a nessuno di come sto. Sono arcistufa di sentire chi fa la vittima, come se al mondo soffrissero solo loro, che stanno male solo loro, che poi nel 90% dei casi la colpa è loro e il concetto "chi è causa del suo male pianga se stesso" non è neanche tanto chiaro; gente che non fa scriverti quando stanno male, ma poi se sei tu a scrivere che non dormi, che ti svegli in piena notte con l'ansia e non riesci a dormire, ti lasciano nella tua merda come hanno sempre fatto, ma con l'estrema pretesa che poi tu sia sempre buona e cara quando hanno i loro momenti no. Forse è vero, "non c'è peggior cattivo di un buono che si incazza", perché ora le cose non le dico più con calma, le dico con rabbia, se tu fai la vittima io ti lascio nel tuo brodo, com'è stato fatto con me quando mentivo sul "io non piango mai", "sto bene", "nono, l'ansia m'è passata" e si fingeva che fossi brava a mentire.
Sto male, lo riconosco da tutta la rabbia che porto dentro, che più che con gli altri poi è con me stessa, con quella stupida che si fa il sangue marcio per tutti, per quella stupida che non fa che pensare che forse, se si fosse impegnata, due anni non li avrebbe persi, è tutta rabbia contro di me che sto dritta davanti a me, riflessa nello specchio, e l'unico istinto che ho è tirare un cazzotto contro quell'immagine e sentire il vetro che si rompe, che taglia e fa male. E' contro di me che non so come tirarmi fuori, ma che a volte ammetto di star male, ma tra chi non c'è e a chi non voglio chiedere aiuto, resto in piedi da sola su due gambe instabili.
Ho un groppo in gola, gli occhi lucidi che minacciano di piangere come i cieli grigi delle foto che ha messo un'amica dalla sua vacanza in Puglia.
"Ora che sei forte, che se piangi ti si arrugginiscono le guance" canta Brondi, me l'hanno pure scritto, tempo fa, ma ora come ora non mi importa. Si vedesse pure la ruggine sulle guance, ma magari le lacrime lavano via la rabbia.
Anche se dubito.
Anche se so che non sarà così.
Anche se so che sta corrodendo le fondamenta.
Anche se lo so, mi convinco che forse piangere laverà via la rabbia.
Non piango, però, non piango di giorno, si noterebbe troppo.
Non tocco una sigaretta da settimane, domani sera magari riesco ad uscire, le compro e ne faccio fuori almeno un paio, forse la rabbia passa, ma non credo. Quel gesto è parte della rabbia, la rabbia autodistruttiva, non costruttiva, come Alaska di "Cercando Alaska" di J. Green che fuma per ammazzarsi. Un qualcosa del genere.
In tutti questi anni, la cosa che non ho mai e poi mai fatto era smetterci di esserci per gli altri, anche per chi non c'era per me, io c'ero. C'ero in qualsiasi circostanza, anche quando avrei voluto urlare "ma mi vedi!? Sono a pezzi, sto crollando da mesi e tu non ci sei mai stato per me, perché dovrei esserci io!?" e invece stavo lì, ascoltavo e davo consigli, perché dicono che quelli li so dare, me la cavo bene. Bella merda avere come talento quello di saper dar consigli e mettersi nei panni degli altri, perché nei miei chi ci si mette? Io. E mi è sempre andato bene, mi piaceva cavarmela da sola, essere in grado di stare bene o male in piedi da sola, essere forte o almeno farlo credere a quasi tutti. Mi è sempre andato bene essere nata per ascoltare gli altri, col tempo ho anche smesso di essere logorroica per imparare ad ascoltare anche i silenzi, ma ora credo di essere arrivata al limite massimo. Sono stufa di ascoltare chi non c'è poi quando non dormo alla notte e sento che sto per piangere, prendo il telefono, ma poi lo rimetto giù senza aver detto a nessuno di come sto. Sono arcistufa di sentire chi fa la vittima, come se al mondo soffrissero solo loro, che stanno male solo loro, che poi nel 90% dei casi la colpa è loro e il concetto "chi è causa del suo male pianga se stesso" non è neanche tanto chiaro; gente che non fa scriverti quando stanno male, ma poi se sei tu a scrivere che non dormi, che ti svegli in piena notte con l'ansia e non riesci a dormire, ti lasciano nella tua merda come hanno sempre fatto, ma con l'estrema pretesa che poi tu sia sempre buona e cara quando hanno i loro momenti no. Forse è vero, "non c'è peggior cattivo di un buono che si incazza", perché ora le cose non le dico più con calma, le dico con rabbia, se tu fai la vittima io ti lascio nel tuo brodo, com'è stato fatto con me quando mentivo sul "io non piango mai", "sto bene", "nono, l'ansia m'è passata" e si fingeva che fossi brava a mentire.
Sto male, lo riconosco da tutta la rabbia che porto dentro, che più che con gli altri poi è con me stessa, con quella stupida che si fa il sangue marcio per tutti, per quella stupida che non fa che pensare che forse, se si fosse impegnata, due anni non li avrebbe persi, è tutta rabbia contro di me che sto dritta davanti a me, riflessa nello specchio, e l'unico istinto che ho è tirare un cazzotto contro quell'immagine e sentire il vetro che si rompe, che taglia e fa male. E' contro di me che non so come tirarmi fuori, ma che a volte ammetto di star male, ma tra chi non c'è e a chi non voglio chiedere aiuto, resto in piedi da sola su due gambe instabili.
Ho un groppo in gola, gli occhi lucidi che minacciano di piangere come i cieli grigi delle foto che ha messo un'amica dalla sua vacanza in Puglia.
"Ora che sei forte, che se piangi ti si arrugginiscono le guance" canta Brondi, me l'hanno pure scritto, tempo fa, ma ora come ora non mi importa. Si vedesse pure la ruggine sulle guance, ma magari le lacrime lavano via la rabbia.
Anche se dubito.
Anche se so che non sarà così.
Anche se so che sta corrodendo le fondamenta.
Anche se lo so, mi convinco che forse piangere laverà via la rabbia.
Non piango, però, non piango di giorno, si noterebbe troppo.
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