venerdì 27 dicembre 2013

"Non posso mica lasciarti a marcire qua!"

Ciao,
non volevo scriverti neanche una lettera che non avresti mai letto, ma ne ho già iniziate quattro e nessuna di quelle conteneva le parole giuste, chissà perché, con te, sbaglio sempre tutte le parole.
Anzi, una volta sola ho usato le parole giuste, ma quella volta, non si può dire che le abbia “trovate”, erano fin troppo spontanee. Sai quale volta era? Era quel sabato sera in cui ti scrissi che se mai sarei riuscita ad andarmene da qui, ti avrei portato via con me e tu mi rispondesti che non potevo farti più felice. Buffo, no? Io cerco le parole e le uniche giuste, son quelle non cercate.
Domani parto, torno solo con l’anno nuovo… non è che torni anche te, vero? Stupido sperarlo, pensarlo, dopo le tue risposte-non risposte.
(E se ora, di punto in bianco, ti scrivessi “se non fosse per ieri, per i leciti dubbi che hai fatto nascere… anzi, nonostante ieri e i leciti dubbi, vorrei che partissi con me, visto che questo posto lo odiamo entrambi”).
Forse è meglio che vada a letto, domani è una levataccia e un giorno lungo da affrontare.
Ciao, anche se, forse, questa volta dire “addio” sarebbe più appropriato, ma c’hai mai pensato a quanto la parola “addio” abbia un suono orribile? Anche a scriverla, come parola, rimane sempre una parola “dal brutto suono”.

giovedì 26 dicembre 2013

Domani ho un treno da prendere, il mio trolley è già fin troppo pieno, lo zaino, tra scarpe e libri, sta per esplodere e le tasche, durante un viaggio, vanno lasciate, quindi per te, per le tue risposte del cazzo, per la tua mancanza di palle (o per le troppe palle, ma quelle dette), non ho spazio né in valigia o nello zaino né negli occhi, quelli li voglio lasciar liberi da tristezze. O almeno da tristezze come te che promettevi di non ferirmi.
E forse sto crescendo, sai? Non ti ho scritto lettere che non ti arriveranno mai, quello che avevo da dire, l'ho detto.

martedì 24 dicembre 2013

But if you really hold me tight, all the way home I'll be warm.

Ho ancora quattro minuti prima di dover correre a prepararmi, stamparmi un enorme sorriso falsissimo sul viso, allenarmi a farlo sembrar vero e a mantenerlo lì per tutta la sera. C’è Bublè che sta cantando Let It Snow, giusto per convincermi che è Natale, ed io preferirei sentirla cantare dal mio compagno di classe, ma “la base fa schifo ed ho cantato male, non la caricate!” e io non posso sentirla… mi devo accontentare di Bublè, insomma.
Io non ho neanche voglia di fingere, quest’anno, di dovermi vestir bene, di dover fingere la mia solita curiosità verso i regali, il mio odio per la zuppa (no, quello è vero!), di aver voglia di strafogarmi di dolci, di bisticciare per i video, perché “io non voglio essere ripresa!” e tutte quelle palle varie del cenone della vigilia.
Niente, tra qualche giorno salgo su un treno e non ho ancora fatto il biglietto del ritorno, magari mi faccio ospitare e non torno più giù che, tanto, io non sentirò di certo la mancanza di questo posto e questo posto non sentirà la mia mancanza. Non tornare, non sarebbe tanto male, no? E, oltre a mancare il biglietto di ritorno, manca anche di sapere cosa si fa il 31, non che io abbia chissà quale voglia di dire addio al duemilacredici e veder arrivare il duemilaquattordici, sarà che mi spaventa un altro anno (di merda) da affrontare, sarà che io i vent’anni non li voglio fare, ma il duemilacredici me lo terrei volentieri. Merda per merda, insomma.
Boh, qua il tempo è finito, mia madre mi ha già urlato che tra un’oretta arriverà mio padre e di prepararmi che non vuol sentir suonare il campanello venti volte.
Domani è Natale, no? E dicono sia buona educazione fare gli auguri, quindi boh, auguri eh, ingozzatevi di cibo, tanto il Natale è una volta all’anno.

lunedì 23 dicembre 2013

O metto via l'orgoglio o metto via te.
La seconda cosa, mi sembra impossibile.

giovedì 19 dicembre 2013

martedì 17 dicembre 2013

M’avevi fatto tornare le energie per continuare a scrivere una storia di cui, tu, non sai neanche l’esistenza e, poi, m’hai fatto finire a fumare tre sigarette, una dietro l’altra, con le mali che si gelano nell'aria fredda delle otto del mattino, e altre due imprecando, nella mia testa, che non puoi farmi rompere le promesse così facilmente.

domenica 15 dicembre 2013

There are many things that I would like to say to you, but I don't know how.

Vorrei che fosse già martedì, per vederti.
Vorrei che fosse martedì, che avessimo già mangiato (insieme) e che tu non sapessi dove portarmi ed io, in imbarazzo e balbettando, potrei dirti che amo il mare e che sarebbe bello andarci insieme. Vorrei andare insieme al mare, dirti che mi mancava il rumore delle onde, la sabbia, l’odore di salsedine, lo star seduta su uno scoglio a guardare l’orizzonte.
Vorrei che confermassimo tutto quello che ci siamo detti, che non rovinassimo nulla, che tu non temessi la mia fottuta paura e che io non ne avessi (impossibile!). Vorrei che mi baciassi, magari anche senza aver prima parlato, sarebbe bello imparare insieme a parlare senza usar parole, senza usar la voce.
Sai, vorrei che fossi tu il mio “nonostante la paura”.

sabato 14 dicembre 2013

And if I open my heart to you and show you my weak side, what would you do?

Io ho paura di rovinare tutto, lui teme il fatto che ho paura di rovinare tutto, nonostante i “io la posso affrontare” – posso affrontare la paura? – e “vediamo come vanno le cose”, so che se partiamo così, ci ritroviamo già impantanati nel fango e io mi pento di essere stata sincera, sincera davvero.
Io mi ci arrovello il cervello, mi maledico, non parliamo, no, tu sei a vedere un film in tv, io ad ascoltare canzoni che, forse, dovrei evitare. Non parliamo, forse sono io a farmi mille paranoie sul fatto che non vuoi parlarmi dopo quello che ci siamo detti, forse è davvero così. Io mi ci arrovello il cervello sul fatto che non dovevo provare ad usare il cuore, perché son tipa di testa, di ragione, non di sentimento e che forse era meglio pensare prima alle cose, invece che non ragionare.
Martedì mi sembra ancora così lontano ed ogni giorno è un continuo pensare “oggi è il giorno che mi dirà che ha da fare e che non possiamo uscire” ed è una frase coordinata continua che farebbe diventare matto quel prof. che si ostina a dirmi, nonostante io non sia più sua alunna, che sono in gamba. No, prof., non lo sono, combino solo danni, nelle relazioni amicizia-possibilequalcosa faccio schifo, in amicizia in generale, in famiglia, a scuola, in tutto.
Io ho paura di rovinare tutto, lui teme il fatto che ho paura di rovinare tutto, forse dovrei buttarmi, ma io sono nata senza paracadute, come faccio a saltare?
(Finisco di scrivere, ricompare, mi sembra già tutto un po' più apposto)

mercoledì 11 dicembre 2013

La mia vita sta prendendo una piega strana non programmata, fino a qualche mese fa questo mi avrebbe mandato fuori di testa, ora, a parte un po' d'ansia che mi porta ad avere il respiro irregolare e le mani tremanti, è praticamente accettabile. Forse ho rinunciato ad un po' di razionalità, per vivere di più le cose come vengono, forse avrei dovuto farlo prima, forse nella mia vita son sempre stata troppo attenta ad organizzare tutto, a farlo andare come volevo ed ora non so neanche bene come comportarmi, ma va bene, giuro, va bene così.
E di martedì non lo sto dicendo a nessuno, forse dovrei, giusto per farmi rassicurare un attimo, per farmi dire come dovrei comportarmi, ma sarà scaramanzia, sarà che non voglio castelli in aria costruiti da altri, ma ho deciso di tacere... ma poi so che cederò, che prima di martedì chiederò consiglio ad un amico, magari chiedendogli anche un abbraccio, che forse a fidarmi senza basi sto facendo male, ma lui mi rassicura.
E intanto, io, non so che strada stia prendendo la mia vita, il navigatore si è rotto, non ci sono né cartelli né persone a cui chiedere indicazioni, ma a me va bene così. Mi va bene così.

domenica 8 dicembre 2013

"Vivere significa scegliere".

Domani metterò una maglia colorata, più colorata del solito, uscirò di casa, saluterò chiunque mi saluterà, in maniera gentile, nonostante sia lunedì mattina, e darò uno sguardo al mare, mi ci tufferò dentro con lo sguardo. Mi farò rubare abbracci durante le ore di scuola e li ruberò a mia volta.
Riderò fino a perdere il fiato.
Cercherò di non sentire l’ansia.
Sorriderò, sorriderò di gusto, sorriderò davvero.
Ho scelto di voler vivere davvero, di nuovo.

martedì 3 dicembre 2013

Com'è possibile che tu mi sia rimasto nell'unico punto che io ho sfiorato a te, ma non tu a me?

Mi hanno toccato la schiena, oggi, un po’ come facevo io con te quest’estate. Al solito punto dove sussultavi tu, sono sussultata io, senza forzature, è stato una reazione spontanea.
Ti ho pensato, ti ho pensato forte (forte, forte com’è il mare, e, bada, non intensamente) e ho capito che, senza averlo mai sfiorato, mi sei rimasto in quella zona erogena infondo alla schiena.

martedì 26 novembre 2013

Little spring.

La pace dei sensi, data da una bambina nata da pochissimo che contrae i muscoli in un sorriso, è insuperabile.

lunedì 25 novembre 2013

Per quanto giusto sia, questa è casa mia.

Sentire la voce di mio cugino, ora diventato zio, tremare dall'emozione, impapinarsi, balbettare, non saper concludere la frase e dirmi chiaramente solo un "è nata, eh! Tutto bene!", mi fa capire quanto questa famigliasia la mia. E' la mia!
E l'ho capito ieri, quando gli occhi azzurri di mia cugina, ora diventata mamma, se pur preoccupati, brillavano. Brillavano davvero.
E l'ho capito prima, quando guardando un tramonto pensavo che, un giorno, potrò dire ad una bambina con un nome che sa tanto di primavera, "lo vedi il tramonto? Fallo tuo, portatelo dentro, perché non c'è un posto nel mondo dove sarà più bello, perché questa, nel bene o nel male, è un po' casa tua".

martedì 12 novembre 2013

My pain is mine. Only mine.

C’è una fase in cui passano alcuni bambini, dove il loro rapporto coi propri giocattoli e quelli degli altri si può riassumere in “quello che è tuo, è mio e quello che è mio, è mio” ed io faccio, nella mia vita, con il dolore. Il tuo dolore, è mio e il mio dolore è mio. Mio e basta.

giovedì 7 novembre 2013

Paranoie. Fottutissime paranoie.

E’ normale confessare ad una persona che si è sempre sulla difensiva perché si ha paura di affezionarsi alle persone e rimanerci fottuti, come al solito, e poi il giorno dopo avere problemi a scrivergli, cosa che, prima, veniva fatta senza problemi?

martedì 5 novembre 2013

You're the cigarette after a bad day.

C’è chi si affeziona facilmente e che si attacca troppo facilmente alle piccole abitudine quotidiane, come me, che stasera che non parlo con te, dopo giorni a fare tardi scambiandoci messaggi più o meno sensati, mi sento come un fumatore, che ha avuto una pessima giornata, a cui sono state tolte le sigarette.
O come me, se dopo una pessima giornata, mi venisse negata la possibilità di bere una fumante tazza di tè caldo con tanto limone.

domenica 20 ottobre 2013

There's a whole ‘nother conversation going on, in a parallel universe.

Se il tuo ricordo, se il fatto che non sei qui, che non posso scriverti come e quando voglio, che non ti posso neanche sfiorare, se tutto questo è simile alla sensazione di voler urlare, durante un brutto sogno, ma non riuscire a farlo, cosa vuol dire? A me sembra che, se non sei qui, neanche il mare ha più senso.

giovedì 17 ottobre 2013

Nessuno si accorge che bevo più caffè che tè.

Studiare, quest’anno, è uno sforzo, privo di motivazione, ma che va fatto.
Non ho tempo per leggere.
Non riesco a scrivere.
Non riesco più a credere al futuro.
Non sopporto nessuno.
Non mi fido più di nessuno.
Non credo più nelle promesse, sono fondamentalmente parole senza senso. A meno che non sia io a farle, allora, sto una merda, ma le porto avanti.
Fondamentalmente, va tutto bene, mento, e nessuno si accorge che bevo più caffè che tè.

mercoledì 2 ottobre 2013

La mattina a scuola e alla sera sette ore a contatto col genere umano, in pratica, venerdì, la mia allergia all'universo raggiungere le stelle. Buono.

lunedì 23 settembre 2013

Ogni tanto ci ricado, nelle vecchie insicurezze, ma almeno lo faccio col sorriso.

lunedì 16 settembre 2013

Take me somewhere nice.

Aver voglia di cioccolato e caramelle gommose.
Aver voglia di sedersi su uno scoglio con le ginocchia al petto perdendo se stessi nel mare (di notte).
Aver voglia di sentire qualcuno leggere (leggermi) un libro.
Aver voglia di andar via e rimanere bloccati qua, senza neanche le caramelle o il cioccolato.

giovedì 12 settembre 2013

Two years has gone so fast.

Ciao nonno,
è passata la mezzanotte, è ufficialmente il 12 settembre 2013, sono due anni.
Mi manchi.
Avrei voluto aspettare le sei e mezza di stasera per scriverti, ma non ho resistito, sono giorni che sento la necessità di scriverti. Nonno, sto usando la penna che uso per scrivere la storia che sto cercando di portare a diventare la mia prima storia finita. Non è una penna a caso, tu non sei una persona a caso.
Posso parlare a ruota libera? Il tuo silenzio, lo prendo come un sì, anziché come un’assenza.
Nonno, io non credo in Dio, nel paradiso, nell'inferno, in un aldilà o cose simili, quindi è stupido che io ti scriva, soprattutto se nelle pause penso “lui mi prenderebbe per stupida”. O forse non lo faresti. Non lo so, ma io, nonostante tutto, ti scrivo, come se tu potessi, chissà da dove, leggere tutto questo.
Sai nonno, ultimamente non è un periodo facile, ho pensato di non passare l’esame di francese (visto? Ci sono riuscita ed ho passato l’anno con una buona media!) e non avrei sopportato di fallire, di bocciare un’altra volta, soprattutto ora. Ora che a casa va uno schifo, ora che mamma e papà sono di nuovo in guerra ed io di nuovo in mezzo. Nonno, ti ricordi una volta che mamma e papà erano giù dagli zii a litigare e tu, per impedirmi di scendere, mi hai svelato che se appoggiavo l’orecchio allo stipite della porta della cucina, avrei sentito tutto? Ora, anni dopo, penso a quel tuo gesto come a dirmi “scegli se sentire o meno”. Ascoltai o no, te lo ricordi? Io no.
Sai, litigano, si fanno guerra, si fanno dispetti ed io sono qua in mezzo, con l’ansia perenne, che penso a quando me ne andrò da qua (me ne andrò nonno, vero?), a come faranno a coinvolgermi quando sarò lontana. Mi mancherebbe il mare, se me ne andassi, ma se restassi, mi mancherebbe me stessa, la pace. E’ questo pensiero a mandarmi avanti, a non farmi cadere, a farmi resistere.
Papà, l’altro giorno, mi ha chiesto da chi vado se ho un problema, perché sa che quest’età non è facile, ho risposto da nessuno. Era un po’ una bugia, ho le amiche, loro sono lì se ho bisogno, ma, se posso, evito anche loro. Lui dice che non è giusto, che “non va bene”, ma come posso andare da loro se in “passato” sono stati i primi a demolirmi?
Nonno, non pensare che stia andando tutto male.
Guardami!
Sono in piedi, tremo, inciampo, ma non cado e se cadessi, farei in modo di rialzarmi da sola e sempre da sola mi disinfetterei le ferite. No, non lo dico come prima che farei tutto da sola, lo dico convincendomi che potrei farcela da sola. E’ diverso, no?
Guardami!
Mi trema il cuore, brucia un po’, come quando cadevo in cortile e mi sbucciavo i gomiti, le ginocchia (mi disinfetti anche ora?) e bruciavano un po’ se le sfioravi, ma non fa così male da non sopportarlo. [...] Ma, te lo giuro, va bene così (mandami un bacio in fronte, un abbraccio, ne ho bisogno).
Guardami!
Sorrido. Una volta mi dicesti “vai e sorridi”, sto sorridendo. Lo faccio davvero. Sorrido senza limiti, “sorrido per hobby” come scrisse un chitarrista.
E’ quasi un’ora che ti scrivo, posso andare avanti?
Tra poco torno a scuola, mi impegnerò, te lo devo.
Nonna come sta? Mi manca anche lei. Ora, mi mancate forte… sì, forte, non tanto, perché il nodo che ho ora in gola è forte ed il peso della vostra assenza.
Nonno non ti arrabbiare se qualche volta faccio qualche cazzata, non esserne deluso. Non sono perfetta, lo so, lo sai.
Me ne stavo scordando!
La P. e M. aspettano una bambina! Sai, l’altra sera pensavano che sarebbe stato bello essere tutti, ma esserci davvero, non solo fisicamente o come ricordo.
Sai, essere tutti in ospedale, P. stanca, ma felice, M. che le sta accanto, la bambina tra le sue braccia mentre zio, duro come roccia, si scioglie e si commuove, piange, perché felice, è diventato nonno e zia si commuovere, la sua bambina è diventata mamma. D. e l’E. li invidiano un po’, ma so che D. – ce lo vedi a fare lo zio!? – sarebbe felice per sua sorella. Poi ci sarebbe papà… chissà che farà. E sarebbe bello ci foste anche tu e nonna, ora bisnonni ed io mi sentirei in famiglia.
Voi non ci sarete, ma fare in modo che potrò avere tra le braccia quella creaturina?

Nonno, tra qualche mese, mi macchio a vita. Non esserne inorridito o cose simili.

Non sono perfetta. Non posso esserlo, ma ti vado bene uguale?
Sarai fiero di me qualsiasi cosa sarò da grande?
Nonno, ti prego, fai in modo che io non molli, che tenga duro, che non smetta di credere in quello che mi ha detto una persona, che “il meglio arriva”. Non credo in Dio o nei santi vari, ma credo in te, nel tuo sangue che in parte è il mio, credo che tu mi renda forte, come in passato, come ora.
Scusa, sono stata debole. Non sono venuta in ospedale, se non una volta, ma non ci riuscivo proprio, non avercela con me.

Ciao nonno,
è passata l’una, è quasi l’una e mezza di notte, è ufficialmente il 12 settembre 2013, sono due anni.
Settecentotrenta giorni che mi manchi.
Ciao nonno,
ti verrò a trovare, ora so di essere abbastanza forte.
Ti voglio bene, più di quanto abbia mai saputo spiegare.

Ps. Ti ricordi gli omini di cartone attaccati alle buste di plastica con la colla fatta in casa? Ne facciamo “volare” un altro?

martedì 10 settembre 2013

Doesn’t mean we’re bound for life,
Are you gonna stay the night?

Avrei dovuto dir(te)lo.

domenica 8 settembre 2013

Tears of chocolate.

Tu non ci sei e io mi riempio di budino al cioccolato mentre scrivo con la penna rossa – io! Con la penna rossa!
Qua va tutto a rotoli, io ho paura, vorrei andare alla scogliera e guardare la luna.
Non posso.
Non c’è neanche la luna, o le stelle, stasera.
Dove sei?

giovedì 5 settembre 2013

La tua canzone che passa alla radio mentre vorrei vederti, avrei bisogno di sentire (giusto un'altra volta) la tua voce, è uno scherzo del caso o un segno del tipo "sono ovunque tranne accanto a te"?

martedì 3 settembre 2013

domenica 1 settembre 2013

Come il sole di settembre, quando ormai l'estate se ne va.

Benvenuto Settembre!
Quest’anno ti scrivo un più tardi del solito, perché ero in spiaggia a guardare il ragazzo – uomo – della mia miglior amica pescare mentre guardavo il cielo pensando che se si vedono le stelle non può essere tutto perso. Ora, ti scrivo facendomi luce col telefono alle 04:15 di notte ascoltando September di Daughtry.
Ciao Settembre, sei arrivato e, l’ho detto anche un anno fa, non se per fortuna o per sfortuna, quest’anno non faccio programmi, non mi creo aspettative, al massimo, mi preparo al peggio, a sentire la mancanza degli amici, a sbattere in terra, a non vedere le cose che vanno come voglio, come vorrei (non essere troppo duro, settembre).
Settembre, due anni fa ti sei portato via nonno, l’anno scorso mi hai giocato un tiro poco simpatico tra F. ed il concerto dei Green Day, quest’anno non aspetto nulla, al massimo è l’esame ad aspettare me. Non aspetto nulla, ma tu non giocare troppo duro, anzi, se riesci, perché non mi porti il sorriso delle amiche lontane, degli amici che non rivedrò per un po’? Non mi dispiacerebbe.
Settembre io credo in te, perché per me sei sempre stato il mese dei cambiamenti, dei buoni propositi, del ripartire, della fine e dell’inizio. Credo in te, perché sei per me come il primo dell’anno per tante altre persone. Credo in te, tanto, anche se quest’anno mi fai paura, tanta. Non so cosa aspettarmi dalle partenze degli amici (come starò senza la sua voce?), dalla scuola, da questa casa che crolla, ma so che avrai le risposte, settembre, e se non le hai mi metterai sulla strada giusta per averle.
Settembre, sono quasi le cinque di mattina, dormirò troppo poco, sai?
Porta vento nuovo, porta vento fresco di tramontana, porta sorrisi fino a farne indigestione, porta speranza e forza, porta, se puoi, anche un po’ di fortuna.
Tingiti di rosso, giallo e arancio, non di sospiri e lacrime.
Benvenuto settembre!

venerdì 30 agosto 2013

Screaming in silence.

Ho cambiato canzone, volevo sentirmi una ragazza che è (quasi) all'esatta metà tra i diciannove anni e i vent'anni, non volevo più sentirmi addosso il peso di tutto quello che sta crollando senza che io possa veramente far qualcosa, non volevo sentirmi più in mezzo a due fronti di guerra, così i New Found Glory cantano Kiss Me, mi convinco che devo studiare, che è l'unico modo che ho per andarmene da qua, che un giorno, riuscirò ad uscire da questa casa, da questi casini, sarò lontana e se mi chiameranno incazzati dirò che ho da fare la spesa, che devo studiare, che sto andando a lezione, che avrò qualcosa da fare di troppo urgente per stare a sentire, per l'ennesima volta, loro due che si inveiscono contro.
Ho cambiato canzone, ma in testa non mi gira francese, mi gira che vorrei prendere carta e penna e dirgli che se questa volta mi mettono in mezzo, io non ne esco mutilata, perché i loro casini mi annebbiano la testa, mi impediscono di studiare, mi è bastato anni fa dover mettermi in piedi rinunciando ai sogni, mi chiudono lo stomaco e mi tolgono un sorriso che mi sono guadagnata sputando sangue e sudore. Vorrei poter dire tutto, dire che io non posso essere il centro di tutto, che ho diciannove anni e voglio dovermi preoccupare di cuore che si può rompere, di sogni tra le mani, una ramanzina perché torno a casa tardi, di raccomandazioni di non andare in macchina con amici che hanno bevuto, di cose adatte alla mia età, non voglio avere quarant'anni quando non ho neanche vent'anni. Vorrei poter dire che basta, che mi lascino vivere senza distruggermi, senza farmi male senza neanche accorgersene davvero, sono già stata distrutta una volta e mentre loro si sono fatti forza con me, per me, io dovevo far da sola e cristosantovaffanculo, non posso rifarcela.
Ho cambiato canzone, volevo preoccuparmi che"oh, kiss me beneath the milky twilight / lead me out on the moonlit floor / lift your open hand / strike up the band and make the fireflies dance / silver moon sparkling / so kiss me" poteva farmi pensare "sì, cristo, baciami" e invece scivola tutto addosso, come la pioggia, come le lacrime.

giovedì 22 agosto 2013

I won't fall.

Vado di corsa, non ho tempo per fermarmi a scrivere quello che vorrei – e dovrei - continuare scrivere; ripetizioni, tornare a casa, battere le cose corrette a computer, stampare i verbi, andarli a studiare, fare gli esercizi, cenare, uscire di corsa, stare un paio d’ore su, con il rischio di un attacco di qualche cinghiale, tornare a casa e rifare tutto da capo.
So che arriverà presto settembre, so che i primi giorni saranno duri, i saluti e l’esame insieme dovrebbero essere, per certi versi, illegali e poi la pace prima della tempesta della scuola, della gente che, se potessi, non vorrei rivedere e quella che vorrei rivedere, ma se seguono le idee che hanno in testa, non saranno lì ad abbracciarmi e/o a darmi morsi sul collo ogni volta che non me lo aspetto (maledetto A.!) oppure non saranno lì per correre a prendere il mukki alle macchinette. Ma è ok, infondo sto imparando a rimanere in piedi, a sopportare la gente che non sopporto, a non farmi tremare le mani né per l’ansia né per il nervoso.
Vorrei un po’ di calma. Vorrei respirare l’aria del mare ancora un po’, vorrei dovermi tuffare in acqua dopo che gli amici mi hanno bagnata schizzandomi, vorrei mangiare ancora le focaccine di quello stabilimento balneare che le fa buonissime, vorrei godermi i sorrisi degli altri, al sole, ancora un po’.
(E vorrei baci. Anche solo in fronte).

giovedì 15 agosto 2013

So please, please, hold me.

Essere più forte, più decisa, saper che, dentro, si ha quello che serve per battere quelle stupide paranoie che avvelenano il cuore e la mente. Essere più sorridente, più leggera, aver buttato via quei pesi che impedivano di correre. Essere nuovi, fermi, ma non meno soggetti alle scosse, alle scosse emotive.
Alle scosse emotive, alle scosse date da un sorriso, da un brutto pensiero, dalle mani che ti sfiorano distrattamente, per tirarti via, per reggerti, non per sentire; scosse emotive date da quel breve momento di comprensione, di affinità mentale e di voce bella da sentire.
Non basta tutta la forza che sai di avere per non tremare, per non aver paura di crollare, per non finire in una strada buia e senza uscita.

sabato 10 agosto 2013

Perché più scappi dalle cose, più queste ti rincorrono diventando sempre più forti ogni volta che tu diventi più forte e più stronze quando tu impari a giocare?

venerdì 2 agosto 2013

On the edge of the world, I've never asked for something more.

Rido per il gusto di ridere.
Sorrido per il gusto di sorridere.
Esco per il gusto di uscire.
Scrivo perché voglio, non per abitudine.
Ascolto (la musica) senza che mi pesi.
Ascolto (gli altri) perché lo so fare, perché mi piace.

Sono tornata da quella vacanza cambiata, non so cosa sia successo, a parte aver scoperto un particolare talento a cucinare le zucchine, forse non è successo nulla e sono solo io che, dopo otto giorni immersa in sorrisi e risate, lontana da casa, sono tornata così piena che dentro di me è scattato qualcosa, tipo una voce che diceva “Cristo Santo, svegliati e torna ad essere chi eri!”.
O forse non saprò mai cosa mi è successo, ma va bene così, per una volta, non mi va di cercare i motivi nascosti. Per una volta, la razionalità la lascio nel cassetto, chiusa a chiave.
Non mi manca nulla, mi sto accontentando delle piccole cose, sto imparando che, forse, è vero che sono i particolari a rendere migliore il tutto, come il mio cane che si mette accanto a me mentre scrivo, come la pizza divisa a metà e mangiata alle undici di sera, come fare la strada di casa di corsa di notte perché questo posto è adatto solo ai film horror, come una cena triste a base di uova strapazzate su un terrazzo di una casa che non era casa davvero ma ero come se lo fosse, come le rose regalate dalle amiche per sopperire ad un proprio rimpianto, come le risate con gli amici, come il cielo con le stelle.
(In realtà qualcosa mi manca. Mi mancano le crêpes, le piadine dell’Alaska, i baci in fronte, gli abbracci ed un origami, ma anche se mancano, non pesa l’assenza).

sabato 27 luglio 2013

"Se sorridi hai vinto".

Il sorriso me lo sono sudato.
Il sorriso me lo sono conquistato.
Il sorriso me lo tengo, lo difendo con le unghie e con i denti.
Il sorriso non lo lascio andare più.

mercoledì 17 luglio 2013

Dopo aver sistemato il blog tutta da sola, mi sento in grado di scalare l'Everest... o di preparare la valigia!

Tra due giorni parto, non trovo più la lista delle cose che non devo dimenticare, quella dove c’è scritto “Caricabatterie" e subito sotto “Spazzolino", perché sono un caso perso, dimentico tutto. Così, per una volta, per evitare di dimenticare qualcosa o di farla di corsa come feci per Milano, la preparo con calma, in anticipo, forse troppo e così canalizzo l’ansia pre-partenza in qualcosa di buono.
Il trolley è troppo piccolo, tra l’altro, non ci starà nulla e diventerò matta.
E dimenticherò sicuramente qualcosa, come il phon o la piastra.
O peggio, il caricabatterie.

lunedì 8 luglio 2013

Ogni botta presa fianco a fianco, stringendo i denti, mai crollando, quanta strada abbiamo fatto.

Prendete qualcosa di semplice, una cosa che non abbiate problemi a descrivere, a cui non siete particolarmente legati. Ora, provate a legare a questa cosa ricordi, la nascita di legami d’amicizia di cui, alcuni, veramente importanti, oltre a queste due cose legateci anche tante cose che ti vengono date, non cose materiali, cose come forza, rassicurazioni, consigli preziosi, una spalla nei momenti bui e la compagnia giusta per le stronzate, le risate fortissime, le lacrime ed i sorrisi da condividere, da smezzare. Bene, ora tra voi e questa cosa, sia essa un oggetto o una o più persone, c’è un legame, un legame forte e questo legame va avanti da anni. Ora, dopo tutto questo, prova a descriverla in pochissime parole. Ti riesce difficile, vero? Ecco, io quando mi trovo a dover rispondere alla domanda “sono il tuo gruppo preferito?”, o peggio “cosa sono loro per te?”, mi trovo in difficoltà, in serie difficoltà, perché alla prima domanda dovrei dire no, perché non lo sono e perché è riduttivo, mentre per rispondere alla seconda dovrei fare un discorso lunghissimo e complicato dove mi ritroverei a spiegare sette anni di legami, di amicizie trovate, perse, che non si perderanno mai, sette anni di gioie, dolori, cadute, sconfitte, piccole e grandi vittorie, conquiste; sette anni di musica, di concerti, di sudore, di giornate sotto al sole, al freddo, al vento, in locali troppo caldi o con le scarpe sbagliate ai piedi. Sette anni della mia vita. Chi avrebbe il coraggio di stare a sentire una cosa simile? Nessuno, o forse ben poca gente. Loro sono sette anni di vita, loro e tante altre persone, provali tu a spiegare in poche parole senza dimenticare nulla o diventare banale.


domenica 7 luglio 2013

Loving every minute 'cause you make me feel so alive.

Ho una gamba di un poco naturale fucsia, la voce che, per qualche giorno, sembrerà quella di un trans e un paio di costole sono rimaste attaccate ad una transenna. A leggere questo viene da dire “ma che ti lo fa fare di ridurti così?”, forse a dirlo non avrebbero neanche tutti i torti, perché tra dolori, voce persa, stomaco ancora sotto sopra e stanchezza sembra essere tutto negativo e invece è tutto il contrario. Se vedi solo la parte “negativa”, ti voglio raccontare di cosa c’è dietro a tutto questo, perché per non vederlo, non devi averlo mai provato.
Dietro a questo ci sono sorrisi grandi come il mondo e belli come una notte di stelle, ci sono mesi di negatività che vanno via in fiumi di sudore, come se ti stessi disintossicando. Ci sono cuori, battiti, che vanno all’unisono e anche se non si conoscono, capiscono perché piangi, ridi, sorridi, urli, salti. E poi ci sono le amiche, quelle vere, quelle che ti salvano. E poi ci sono loro, col sorriso pieno che gli arriva negli occhi mentre capiscono che si sono fan, anzi persone, che non se ne vanno, che cantano con loro e sono lì per loro.
Tutto questo, tutto questo e molto altro che non si può spiegare, non l’avevi visto, vero?
Allora, forse, starai scuotendo la testa e di questo sorriso che ho, nonostante i dolori, non afferrerai mai la veridicità.

mercoledì 12 giugno 2013

Quando ammetti un sogno, in qualsiasi forma tu lo faccia, non puoi più tornare indietro, non puoi più chiuderlo in un cassetto o far finta di niente. Puoi solo andare avanti provando a realizzarlo o finendo per autocommiserarti per non averci mai provato.

giovedì 6 giugno 2013

Homeless.

Mi sono sentita a casa a Firenze, a Milano, in un paesino sperduto tra le montagne, su una pista da sci mentre scendevo a tutta velocità con il vento freddo che mi congelava le guance e mi sono sentita a casa su una spiaggia in piena notte, quando buttarsi in acqua è come buttarsi a fare un bagno in mezzo alle stelle perché il cielo si riflette perfettamente sulla superficie scura dell'acqua. Mi sono sentita a casa in autostrada, su un treno che correva veloce tra una stazione e l'altra, su un aereo che sorvolava montagne innevate, sotto il palco o sulle gradinate ad un concerto.
Mi sono sentita a casa in posti che non sono casa mia, mi sono sentita a casa mentre non ero veramente in un posto, ma ero in viaggia, ero sulla strada eppure mi sentivo a casa più di quanto mai sentita a casa, più di quanto mi senta a casa ora che ci sono veramente. Sono riuscita a sentirmi a casa in posti che non rivedrò mai più, in posti che vedo così raramente che, spesso, quando ne parlo, mi aspetto sempre che qualcuno mi domandi "ma come fai a definirlo "casa"? Non ci hai mai vissuto".
Mi sono sentita a casa in così tanti posti ed ogni volta che tornavo a casa, quella che è veramente casa mia, mi sono sentita fuori posto, ospite nella mia stessa vita quotidiana, spaesata come quando sono scesa dalla metro ad Assago e non sapevo dove andare per trovare l'ingresso del live forum. Conosco quella sensazione di sentirsi fuori posto da così tanto tempo che, oramai, non mi fa quasi più effetto quando mi colpisce o almeno era così prima di sentire un giovane Bruce Springsteen cantare My Hometown, sentire quelle parole cantante con una delicatezza infinita del posto da dove viene e chiudere gli occhi per cercare di vedere la mia di "hometown". Non l'ho trovata. Sono riuscita a vedere mio padre che mi diceva che questa era casa mia, mentre gli parlavo dei miei progetti per il futuro, di andarmene da qua, di andare altrove a studiare, di andare lontano, ma non sono riuscita a trovare casa mia.
Sono nata in un posto, cresciuta fino ai sei anni in un altro e per gli altri tredici divisa tra qua e i posti dove ha vissuto mio padre prima di ora. Vissuta divisa tra posti sperduti in provincia, ripetendomi "la provincia mi ucciderà", senza riuscire a sentirmi a casa. Un'estranea dentro alla mia vita.
Mi sono sentita a casa in posti che non possono essere la casa di nessuno, in posti che non sono mai stati casa mia, in posti in cui forse non tornerò più, ma la mia "hometown" dov'è?
Casa mia dov'è?

mercoledì 29 maggio 2013

Quelle che vi ostinate a chiamare "farfalle nello stomaco", non sono altro che disturbi gastrici. Anziché parlare d'amore, dovreste parlare di cattiva digestione.

domenica 26 maggio 2013

Non puoi scappare per sempre.

Non sarò mai la ragazza per bene che tutti vorrebbero che fossi.
Non sarò mai quella che si comporterà bene, quella che risponderà sempre in maniera educata, quella che non dirà mai né parolacce né bestemmie, quella che sorriderà sempre che non si farà mai prendere da attacchi improvvisi di acidità mangiando la faccia alla prima persona che le parola. Non sarò mai quella che sorride sempre, che sarà sempre forte e pronta a spaccare il mondo. Non sarò mai quella che dicono tutti, quella che vorrebbero.
Non sarò mai neanche quella che voglio io, quella ragazza che avrei sempre voluto essere. Quella capace di far girare la gente per strada, quella che si poteva permettere una lista infinita di successi senza annotare mai neanche un insuccesso, una caduta. Non sarò mai la ragazza solare ed espansiva che dovrei essere, che dovrei imparare ad essere e tantomeno non sarò mai la ragazza che corre incontro alle sfide, rimarrò sempre quella che sfugge.
Non sarò mai queste cose né tante altre cose, ma sarò sempre quella capace di cadere e rialzarsi, quella che canta se è di buon umore anche se è stonata, sarò sempre quella che cercherà sempre di sorridere, perché le hanno insegnato che “se sorridi hai vinto”. Sarò sempre quella che metterà gli altri davanti a sé, anche quando vorrà dire rischiare di cadere in un dirupo.
Sarò sempre la ragazza che girerà con una moleskine in borsa, una canzone per la testa e che, a casa, ha un libro sul comodino che l’aspetta. Sarò sempre quella ragazza che, per trovarsi, dovrà ascoltare mille canzoni, leggere più libri possibili, ma non si troverà mai, ma riuscirà a vedersi ogni volta che i Green Day cantano di Gloria, ogni volta che avrà tra le mani Neve di Fermine. Sarò sempre quella cinica, fredda, che non dimostra mai le cose. Sarò sempre quella che spesso, però, si trova a fare voli isterici di fantasia, ma che sa che solo con impegno e costanza può raggiungere quello che vuole.
Sarò sempre quella che scappa, quella che eviterà di cadere e cadrà mille volte, quella che si nasconderà a scrivere, che non è adatta a vivere. Sarò quella che si porta i colori dentro, senza saperli fare uscire, ma, per una volta, va bene così.
Leggi, leggi per ore, una pagina dopo l'altra, senza sosta, senza pause se non quando la realtà ti chiama a volume troppo alto per evitarla. Leggi, una pagina dopo l'altra, consumando le parole d'inchiostro scritte molte anni fa.
Leggi, leggi per ore, una pagina dopo l'altra, senza sosta, perché è l'unico modo che conosci per evadere da te stessa, per fuggire dal bisogno quasi fisico di gettare fuori parole che non sai dove ti porteranno.
Leggi, leggi senza sosta fino a far bruciare gli occhi, nonostante gli occhiali, perché una penna, in questo momento, fa troppa paura.

venerdì 17 maggio 2013

"E ci sono quelli che si tengono in equilibrio sul crinale della vita".

Ho voglia di scriverti, di scrivermi, come se stessi scrivendo una lettera. Non una lettera qualsiasi o una lettera commerciale come hai imparato a fare l’anno scorso a scuola, ma una di quelle lettere che andrebbero consegnate e lette con avidità che, però, quando vengono finite, finiscono dimenticate da qualche parte, anziché consegnate.
Ultimamente hai la tendenza a perderti e non in senso positivo, come sarebbe perdersi nel sorriso di qualcuno o come sarebbe perdersi in un giardino dove esplode la vita. No, hai la tendenza a perderti in senso negativo, ma non come si può perdere un accendino quando ti serve, perché alla fine arrivi a pensare “vabbè, lo ricompro” oppure “vabbè, chiedo ad un passante se ha d’accendere”. No, peggio. Hai la tendenza a perderti come si perde qualcosa a cui si tiene davvero, qualcosa che non si può sostituire e tu che sei una persona distratta e di cose ne hai perse tante, come quel foulard che ti avevano regalato e che tu amavi tanto che hai dimenticato dentro ad un ristorante per non ritrovarlo più o come quel cappello che hai dimenticato a scuola, nella vecchia scuola, sotto al banco e il giorno dopo non c’era più, sai bene cosa si prova. La conosci quella sensazione di rabbia mista a sensi di colpa e ad un vago senso di ansia, di smarrimento. Ed è quello che stai provando ora, è per questo che sei andata a cercarti indietro nel tempo, rileggendo cose con una data di due anni fa, come se potessi ritrovarti guardando chi eri, dov'eri, cosa pensavi.
A volte dovresti chiedere aiuto, sai? Dovresti chiedere aiuto come fanno con te, quando arrivano e si sfogano, si svuotano e tu ascolti, tutto, senza giudicare, dando una spalla. Dovresti farlo tu, ogni tanto, di prendere una mano da qualcuno e reggerti. Dovresti pretenderla se nessuno te l’allunga spontaneamente, anche se, lo sai bene da sola, che c’è chi lo farebbe. A volte, dovresti dimenticarti di chi sei, dimenticarti del fatto che “sai essere sempre presente”, dimenticarti di quella tua assurda mania di essere forte, di essere una che da sola se la cava e accettare chi ti dice che c’è, che se hai bisogno puoi parlare, che ti ascolta. Dovresti solo smetterla di scappare dalle tue debolezze, perché anche se le neghi, le nascondi, loro restano lì. Ben nascoste, ma sempre presenti.
Dovresti dimenticarti dei tuoi sbagli, delle tue mancanze. Dove pensi di andare se ti crogioli dentro a tutte quello che è andato storto? Sei andata a rileggere cose vecchie per ritrovarti, ma hai finito col perderti ancora di più, perché ti sei ricordata che, due anni fa, eri ancora in quella che hai preso a definire “l’altra scuola”, come se a dire “scientifico” ti vergognassi. Sì, eri allo scientifico e non è andata come volevi, non saprai mai se era perché non c’hai messo testa o perché non era adatta a te. Sei scappata lontano, in un’altra provincia e in una scuola completamente diversa, forse nel tuo scappare hai esagerato troppo e avevano ragione l’anno scorso a dirti che qua sei sprecata, ma che ti importa? Non volevi solo scappare e dimenticare tutto? Ti stai crogiolando nella nostalgia, nei tuoi sbagli, in quei “se” e in quei “ma” che dovresti mettere via, nella malinconia e nella tristezza di dare una qualifica anziché la maturità come dovresti.
Ti stai crogiolando, ti stai struggendo e ti stai perdendo.
Hai mai pensato che ammettere che sentirti sola ti fa male sarebbe più facile che rinnegare? Ammettere che hai paura, che hai freddo, che vorresti qualcuno che ti stringesse, che vorresti solo sentirti ricordare che andrà tutto bene, che piangere non è una cosa di cui vergognarsi, che sei stanca e che non sempre sorridere è facile sarebbe. Ammettere che non sempre sei una combattente, che non sempre hai la forza per lottare, per ascoltare è un atto così abominevole? Ammetti le cose, se non agli altri, almeno a te stessa.
Sei una funambola, ti tieni in equilibrio sul crinale della vita. Cammini su un filo sospeso tra due estremità, sotto di te c’è il vuoto, sopra di te il cielo e neanche ti rendi conto di quanto possa essere spettacolare e mozzafiato quella camminata. Ricordati che per il funambolo la cosa più difficile non è non cadere, ma è trovare l’equilibrio.

Ti ho scritto, per riuscire a parlarti.
Ti ho scritto, per riuscire a trovarti.
Anzi: mi sono scritta, per riuscire a parlarmi.
Mi sono scritta, per riuscire a trovarmi.

martedì 7 maggio 2013

Riparto da me, dai miei obbiettivi, dai miei sogni, con l'ostinazione di chi troppe volte è caduto, ha lasciato andare tutto per paura, perché una nuvola l'ha fatto demoralizzare.

domenica 5 maggio 2013

"Se siamo insieme, siamo a casa".


C’è gente che, quando nomini quel gruppo, alza gli occhi al cielo, chi sospira, chi ti domanda se non è ora di lasciarli, visto che tu inizi ad avere “una certa età” e loro sono “falliti” e tu sorridi, mostri il tuo miglior sorriso e continui sulla tua strada. Un plettro al polso, un sorriso enorme sul viso.
Chi dice queste cose dovrebbe capire che ci sono legami che vanno oltre al semplice legame musicale e non solo con quella band che, bisogna ammetterlo, ti ha aiutato, ma anche con altre fan che non solo sono diventate amiche, ma sono diventate sorriso, spalla, chilometri da superare, forza e orgoglio. E io, tutto questo, l’ho capito oggi più che mai, quando, una volta rientrata in casa, ho incrociato lo specchio e mi sono ritrovata sul viso un enorme sorriso, gli occhi che brillavano e sfiorando quel plettro al polso, mi sono ricordata tutto quello che significa, che significhiamo.
Se siamo insieme, siamo a casa”.
Non importa dove, quando, come e perché. L’importante è essere insieme.

venerdì 19 aprile 2013

Fidati di me, il meglio arriverà o ce lo andremo a prendere.

Cinque mesi e tre giorni fa chiesi ad una persona se fosse vero che “prima o poi il meglio arriva”, quella persona, con tutta la serietà e la bontà di questo mondo, mi disse, dopo qualche domanda, che arriva, prima o poi arriva.
Sono passati cinque mesi e tre giorni e mi sembra ieri che quella persona me lo scrisse sul diario, senza che io gli dicessi nulla, come a lasciarmi un promemoria “permanente”, ma sembra una vita fa se mi guardo allo specchio. Sembra un avita fa, ma non perché i miei capelli hanno cambiato taglio e sono diventati prugna già un paio di volte, non perché le mie labbra hanno il colore del rossetto per la maggior parte del tempo o perché i miei occhi, certe volte, diventano colorati a giorni alterni. No, non è per qualcosa che si vede così chiaramente, è per qualcosa che va cercato più a fondo, sotto tutti gli strati di pelle, in una zona tra costole, cuore ed un posto che non esiste fisicamente. Sembra una vita fa, perché gli occhi e le spalle hanno deciso di star su, di non star più a sfiorare il pavimento, perché il cuore ha deciso che battere all'impazzata è giusto, ma prima doveva concedersi di essere riparato, fissato in modo da non spezzarsi più o almeno da non essere troppo fragile, perché si è deciso di accettarsi, nonostante non si sia quello che si vuole, se non ci si può apprezzare, si può almeno accettarsi; perché era ora di essere quello che si è, senza maschere e paranoie, nonostante, a volte, sembra impossibile e si tremi come foglie. Perché era ora di alzarsi, senza aspettare che fosse qualcun altro a farlo, perché si è deciso di fidarsi di chi ci ha detto che il meglio arriva e ci ha fatto capire che si può andarselo a prendere se non arriva da solo.
Sono passati cinque mesi e tre giorni ed io ora ci credo che, prima o poi, il meglio arriva se si lotta ogni giorno, perché a volte lottare è solo questione di dirsi “io posso restare in piedi”.
Sono passati cinque mesi e tre giorni, io sono inciampata, mi sono fatta male, mi sono fermata per poi ricominciare a camminare, a correre. Sono inciampata nell’aria, nelle belle parole, nella fiducia sbagliata, ma mi sono rialzata nei sorrisi veri degli altri, dei miei.
Sono passati cinque mesi e tre giorni da quando mi hanno scritto “IL MEGIO ARRIVA”, così, tutto maiuscolo e con una “L” persa per strada, dopo avermelo detto a voce, da quando mi hanno risposto di “sì” ad una domanda che chiedeva se dovessi, potessi, fidarmi.
Cinque mesi e tre giorni dove ho veramente capito che “se sorrido hai vinto”, dove ho capito che io mi posso bastare, mi posso salvare da sola.

“Il meglio arriva”
O me lo vado a prendere.

giovedì 4 aprile 2013

I wish I was a radio song, the one that you could turned up.

Se continui a regalarmi (anestetici) sorrisi, io finirò per sviluppare un insano piacere per i colpi al cuore.
E sto scrivendo con una penna blu, sai che non succedeva da anni?

mercoledì 3 aprile 2013

Sento ancora odore di mare e di sabbia, mi sento di nuovo bambina.

A modo mio, avrei bisogno di carezze anch'io.

La sveglia che suona alle sei e mezzo.
La mancanza di forza per alzarsi.
Vestirsi coi primi vestiti puliti che offre l’armadio.
L’acqua gelata.
Il caffè diventato freddo nel thermos.
Le oche in autobus.
Il compito di fare per me e chiunque inizia a chiamarmi.
La gente che mi chiama.
I nervi che cedono.
Le amiche che mi parleranno di tante cose e io che non riuscirò ad afferrarne neanche mezza.
Le amiche che parleranno, io non capirò e mi sentirò in colpa.
Il pranzo con le compagnie di classe e il sentirsi esclusa.
E poi a casa a studiare.
E poi a casa a chiudersi con la musica e un buon libro per sopravvivere ad un fine giornata terribile.

E poi, forse, comparirà lui che, magari, saluterà col sorriso e cambia tutto.
O forse non comparirà e non cambierà nulla.

lunedì 1 aprile 2013

Come una cicatrice di questo nuovo sorriso

Ci sono errori che non puoi smettere di commettere.
Ci sono pesi che non puoi togliere.
Ci sono parole che non puoi pronunciare.
Ci sono parole che non puoi (neanche) scrivere.
Ci sono bugie che una volta scoperte non si posso dimenticare.
E poi ci sono i miei occhi riflessi nello specchio che sono come una cicatrice di questo nuovo sorriso.

domenica 31 marzo 2013

Possiamo urlarci addosso, possiamo demolirci, ma possiamo anche far nascere il sole.

Questa famiglia può starmi stretta, può soffocarmi, deludermi, ferirmi, farmi sentire una nullità, ma quando decidono di dare una bella notizia la sanno dare così grande che ti fa esplodere il cuore.
E forse è vero che il sole arriva, che le cose belle vanno da chi se lo merita... e devono andare bene.

sabato 23 marzo 2013

I feel you in the wind, you guide me constantly.

Ciao nonno,
sto cercando di scriverti da un’ora buona, ma mi sono interrotta troppe volte, così ho cancellato tutte le righe che avevo battuto prima per iniziare una nuova lettera. Il brutto di scriverti al computer, sai qual è? E’ che se cancello, non rimangono i segni. Non resta nulla.
Sarà che hanno “rovinato” una canzone con un grande significato, sarà che quella canzone è stata la mia forza – è la mia forza – nelle sere in cui mi dovevo abituare veramente al fatto che, ogni volta che avrei cercato il tuo viso, i tuoi occhi, avrei dovuto trovarti solo su fotografie che, giorno dopo giorno, svaniscono un po’ di più. Sarà che io sto crescendo, ma ci sono ferite che non guariscono così facilmente o forse guariscono, ma male, perché non le abbiamo disinfettate bene, non c’era nessuno a passarti sopra un batuffolo di cotone imbevuto di Lysoform Medical, quello verde che non brucia. Sono state sciacquate bene, tu e nonna l’avete sempre fatto, avete sempre tolto lo sporco di quelle ferite che nessuno vedeva, che nessuno vede. Se non ci foste stati voi…
Ti scrivo e ho gli occhi lucidi, sai? Non piango, tranquillo. Sono abbastanza forte per riuscire a non piangere, certo, a te non posso nasconderlo che ci sono volte in cui, poi, tutte le lacrime vengono fuori, silenziose ed inesorabili, ma quando ci sei tu di mezzo mi brillano gli occhi, mi pizzica il naso, ma non piango. Come si può piangere per qualcosa che ti dà forza?
Continuo a sentire quella canzone da ore, sai? Sarà che mi manchi, tanto, davvero. Sarà che ho imparato a sorridere, sono andata e ho sorriso, come mi dicesti di fare una volta, poco tempo prima di iniziare a spegnerti davvero, perché noi siamo così, è nel nostro sangue. Siamo legno che si crepa, ma non lo dimostra, resiste fino a quando, un giorno, quando può sembrare di punto in bianco, si spezza e quando il legno si spezza, non si riaggiusta. Non si riaggiusta. Sarà che ogni tanto chiudo gli occhi e ripenso a quella casa che, ora, non ha più lo stesso aspetto, gli stessi mobili, gli stessi colori e gli stessi profumi e cerco di ricordare più quante cose possibili di quel posto che per me era casa più di ogni posto segnato sui miei documenti, più di Firenze, di Milano, del mondo intero, di nonna, della sua cucina e di te che aggiustavi le cose, di te che facevi le parole crociate, di te che mi facevi appassionare alla storia, di te che cantavi… la memoria è infame, lo sai? Ti lascia le immagini che non vorresti ricordare impresse nella mente che, a tradimento, ti tornano davanti come dei flash, mentre le voci, i suoni, sono i primi a sbiadire. Oh, ricordo bene dove ti mettevi a cantare, ricordo bene che spesso chiudevi gli occhi sulla poltrona verde in sala e ti dondolavi leggermente e cantavi piano canzoni che se potessi sentirti ora, ti lascerei cantare guardandoti, magari seduta sull'altra poltrona e dondolando leggermente anch'io, perché lo notai di un giorno di qualche anno fa, io e te avevamo lo stesso vizio di dondolarci sempre un po’, e poi ti chiederei a cosa pensavi mentre le cantavi, perché col senno di poi, sono sicura che le cantavi perché ti ricordavano qualcosa. Sono sicura che quando cantavi l’Inno di Italia lo facevi con più orgoglio, più speranza, più sentimento, di chiunque altra persona, questo me lo ricordo, perché se chiudo gli occhi e ci penso vedo un sorriso che esprime tutto. Sono sicura che Bella Ciao non ti ricordava solo il tuo passato da partigiano, la guerra, tutto quello che hai fatto, che hai rischiato, ma ti ricordasse anche altro, chissà forse nonna… nonna che quando ti si sentiva cantare dal salotto, mentre noi eravamo, ad esempio, nell'ingresso sedute a mangiare il gelato e tu in salotto con le finestre aperte che facevano entrare un po’ d’aria fresca, sorrideva. Oh se sorrideva!
Sai nonno, tu mi hai insegnato tanto. La maggior parte sono cose che mi porto dentro, sotto pelle e tra le costole, per farle uscire, per poterle guardare stando in piedi davanti ad uno specchio, avrò bisogno di pazienza, sopportazione, di un ago e di inchiostro per inciderlo sulla pelle fino alla fine. Mi hai insegnato cose che posso raccontare, cose che un giorno potrò insegnare a qualcuno che, come me, dava importanza alle cose semplici e apparentemente banali, come la colla fatta su un cucchiaio con acqua e farina o come un disegno di una bambina dell’asilo, seconda elementare al massimo, attaccato con il silicone sul muro. Mi hai insegnato la bellezza di cose passate, di cose che restano, delle cose piccole, semplici, come un piccolo gesto, una frase qualunque di cui, nonostante il tempo che passa, non capisci da cosa ti sia venuta fuori. Mi hai insegnato la felicità silenziosa, l’amore quello vero che sia esso per un’ideale, una donna, dei figli, dei nipoti o per la famiglia in generale e che viene espresso in tanti modi, scritto a parole, in baci delicati, in sguardi forti, oltre all'amore, però, mi hai insegnato il dolore che non si può descrivere, urlare, tirare fuori. Mi hai insegnato la vita e la morte, mi hai insegnato l’amore e il dolore. Mi hai dato fiducia prima ancora che mi venisse data da altri, dandomi i soldi in mano per andare a prendere il gelato da sola per la prima volta, senza dirmi “mi raccomando, la strada!” come diceva mamma, come diceva nonna ogni volta che uscivo a giocare nella strada semi-deserta dove vivevate. Mi hai dato testardaggine, forza e orgoglio, ma non mi hai fatto mai vedere la delusione per i miei insuccessi scolastici e non hai potuto vedere le mie rivincite, piccole, perché tra il prima e l’adesso, non c’è paragone, ma son pur sempre rivincite, ma se ti conoscevo abbastanza bene tu mi avresti sorriso dicendomi che ero stata brava, ma non come molti implicando un “potevi pensarci prima a cambiare” o “è il tuo lavoro”, ma credendoci davvero.
Te ne sei andato in quello che per me era un nuovo inizio, il primo giorno in una nuova scuola. Era un lunedì di settembre del duemilaundici, il dodici per esattezza. Io non so cosa è scattato dentro di me quando, ancora prima di rispondere a papà, ho capito che te n’eri andato, ma qualcosa è scattato e da quel giorno, ogni mio successo, te l’ho segretamente dedicato. Ogni obbiettivo che mi pongo per il mio futuro che sia esso un buon voto per la qualifica, la patente, delle medie alte a fine anno, un buon voto alla maturità, l’università, un lavoro part-time per iniziare ad essere indipendente, la laurea, un lavoro serio, la realizzazione personale, l’ho dedicato a te ancora prima che a me stessa e al mio orgoglio.
Queste cose, forse, avrei dovuto dirtele tempo fa, quando nonna era ancora viva, ma già non mi riconosceva più, quando tu stavi su per lei, perché hai sempre pensato prima a lei e dopo a te, e io ero capace solo di salutarti lasciandoti un bacio sulla fronte
 Qualche lacrima scappa, mi hai insegnato anche che anche il miglior guerriero può concedersi di essere fragile.

I've never knew what it was to be alone, no,
'cause you were always there for me
You were always there waiting
And I'll come home and I miss your face so
Smiling down on me
I close my eyes to see

And I know, you're a part of me
And it's your song that sets me free
I sing it while I feel I can't hold on
I sing tonight cause it comforts me”.

mercoledì 20 marzo 2013

L'ultimo giorno d'inverno.

Lo stress di una classe che non ti appartiene (o tu non appartieni a lei?), di una scuola che non ti piace in un posto che ti soffoca, perché non è né Milano né Firenze.
La malinconia della pioggia e la rabbia di chi parla senza pensare alle sue (non) azioni e ai tuoi sacrifici (di cuore).
Lo stress, la malinconia, i tendini della mano che urlano pietà e tu che sbotti di smetterla di chiamarti in duecento. Tu che sei stanca dei pranzi con gente che non sa parlare d’altro che di unghie e di fidanzati e lampade da fare. Tu che vorresti sorrisi e non domande di circostanza.
Tu che poi sono io che non piango per nessun motivo al mondo, perché sennò mi si arrugginiscono le guance.
E poi ci sei tu, tututu.
Tu che salutavi e poi non più, che compari quando uno è convinto che non ci sei e pass(av)i senza salutare, senza sorridere (sorridermi). Tu che, mentre piove, come me giri col cappuccio sotto l’acqua e senza ombrello.
Tu con gli occhi ghiaccio e il sorriso caldo come il sole a primavera quando ti scalda le braccia scoperte per metà. Tu che torni a salutare, a sorridere (a sorridermi) e fai bloccare una come me che alla primavera non ci si abitua mai, una che a questa danza strana non sa prenderci l’abitudine.
Tu che torni a salutare, a sorridere ed io che poco dopo metto un piede in una pozzanghera, ma non impreco, sorrido.
Sorrido.

(E’ l’ultimo giorno d’inverno per il calendario, per gli alberi che hanno già dei fiori e delle gemme, per me. E’ l’ultimo giorno d’inverno e vorrei che fosse l’ultimo giorno di primavera, ma vorrei che l’estate fossi tu e non un qualcosa che si sta scongelando dentro.)

martedì 12 marzo 2013

I heard that your dreams came true.

Ciao D.,
auguri, finalmente sei diventato papà (oggioggi? Ieri? Poche ore fa? Quando? Dove?) e io mi auguro che sia tutto apposto, che lei stia bene, ma soprattutto che siano bene le bambine e che il “nate premature” non crei problemi.
Auguri, so – senza averti parlato – quanto tu volessi diventare papà, nonostante tutto.

Un anno fa, o pochi giorni di più di “un anno fa”, stavamo entrambi piangendo una perdita. Diversa, totalmente forse, ma che ci ha sconvolti entrambi. Una perdita con un nome fa ancora più male.
Un anno non c’erano verità che bruciano più del sole su una ferita, più del fuoco sulla pelle, più di tutto. Ci sono verità che ti fanno diventare cattiva, dire “non ti può mancare. Non era lui” o peggio “per me non è mai esistito” che è peggio di fingere la sua morte, perché è rinnegare tutto, tutto. Ci sono verità che fanno male non perché ti colpevolizzi di non averle viste, ma perché non le hai mai pensate come false. Fiducia cieca, senza dubbi. Ci sono verità che fanno male perché ce le siamo negate e tante verità messe insieme e fanno rabbia, labbra morse a sangue, debolezza, ma su tutto c’è una che va oltre questo, oltre al dolore di averle scoperte. E’ la consapevolezza che le supereresti, senza dubbi.

Sei diventato papà, che effetto fa? Le hai strette? Hai potuto o sono state messe subito nell'incubatrice?
Hai pianto?
Sì, ne sono quasi sicura. Riesco quasi a vederti che ti sciogli e piangi per il miracolo della vita, per le tue figlie.
Le tue figlie.
Ora ci sono grandi responsabilità, scelte da fare, cose da cambiare.
Io non ti ho mai chiesto nulla, se non una volta di camminare sotto il sole con me per andare a prendere una crepes, ma ora vorrei chiederti un paio di cose.
Smettila, con tutto. Smettila non per te, per lei, per me o chiunque altro, smettila per quelle due bimbe dai nomi strani.
Cresci, per non cadere più nelle bugie e nei brutti giri. Cresci, ma non troppo, perché devi insegnare a loro a sognare.
Leggi loro una storia ogni sera, fin da ora. Inventale, se non trovi.
Abbracciale, ma si fermo quando dovrai sgridarle. Stringile forte come facevi con me quando ero debole.
Non farti vedere mai deluso da loro, mai. La delusione di un padre, per una figlia, è peggio di un amore ferito o finito.
Insegna loro che i soldi non sono tutto, insegnali la bellezza di una risata, delle corse sotto la pioggia e del sorriso.
Fai domande, noi figlie non parliamo, ma rispondiamo.
Sii presente e falle sentire belle, anche queste due cose.
E non mentirgli mai, almeno non a loro.
Insegnali il valore dell’amicizia, mi stavo dimenticando di dirti anche questo, perché nonostante le (enormi) bugie, tu l’hai insegnato a me.
Auguri, D..
Con tutto l’affetto possibile.

lunedì 4 marzo 2013

"Ora dimmi cos'hai espresso!"

Ho compiuto diciannove anni seduta su uno scalino con il nove che non voleva rimanere sul muffin e continuava a cadere macchiando le mie calze preferite con la cera.
Ho compiuto diciannove anni seduta su uno scalino con le amiche, quelle che purtroppo non riesci a vedere tutti i giorni, che mi hanno regalato dei sorrisi enormi, di quelli che ti porti dentro per tanto, tanto, tanto tempo. Li ho compiuti lì, davanti ai cancelli del Live Forum di Milano, in mezzo ad un mare di gente che aveva il viso stanco, infreddolito, ma su tutte le facce che ho visto c’era un sorriso, uno di quelli grandi. Ecco, tra quel mare di gente c’ero io con due muffin sfigatissimi due candeline enormi la mano con la sopra della cera ormai raffreddata e un cuore che non smetteva di battere ai duecento all’ora. C’ero io, i miei diciannove anni appena iniziati e niente desideri da esprimere soffiando sulle candeline, avevo (e ho) già tutto quello che volevo.

mercoledì 27 febbraio 2013

Cose che ti fanno sorridere #8

Compagni di banco che dicono di te - me - una persona tanto calma "poi invece..." e ti fanno sorridere, perché c'è ancora qualcuno, forse, che riesce a vedere qualcosa di più dei tuoi ottimi(?) voti a scuola.

lunedì 25 febbraio 2013

lunedì 11 febbraio 2013

The Atlantic Ocean between us.

Se prendiamo la strada più lunga, erano solo trecentodiciannove.
Ora, tutti i chilometri che ci sono tra me e te – me e te, non noi – sembrano una distesa gigantesca, sembrano l’Oceano Atlantico che dividono me, Europa, da te, America. Sembrano una distesa incalcolabile ed inimmaginabile da poter percorrere da sola e tutti questi chilometri sono un insieme finito – o infinito? - di cose che vorrei fare a te, di te e con te.
Vorrei urlarti addosso una lista di perché che tu non riusciresti neanche a pensare, vorrei urlarti addosso che ti odio, che sei sempre stato bravo con le parole, ma rimanevano sempre e solo parole, vorrei urlarti addosso che io sono stanca del tuo continuo comparire e scomparire come il segnale radio in montagna, che sono stanca che sparisci sempre quando capisci che anche senza di te vado avanti. Vorrei prenderti a schiaffi, a pugni sul petto, vorrei farti male anche solo un decimo di quello che mi sono fatta io mentre ti stavo vicina. Vorrei chiederti un abbraccio, vorrei chiederti il tempo di un caffè o meglio di tè, perché ammettiamolo, siamo più due da tè e tisane che da caffè, e chiederti con calma, senza urlarti addosso, le risposte a perché che mi chiedo da mesi, ma poi ti farei parlare di quello che vuoi, perché poi manco di coraggio.
Erano solo trecentodiciannove chilometri, ora sono trecentodiciannove chilometri, una porta che non si chiude e tu che fai quel cazzo che ti pare.

mercoledì 6 febbraio 2013

E mi chiedo che senso abbia comparire, per poi riandarsene, e rimandarmi un passo indietro, quando oramai ero quasi pronta a dire “ci sono riuscita, non mi tocchi più”.

martedì 29 gennaio 2013

May I have this dance?

Continuiamo questo valzer di saluti senza senso e di sorrisi che come una musica antica vengono suonati da un'orchestra oramai dimenticata. Continuiamo questo valzer fatto di una sola parola e di sguardi scoperti quando qualcuno abbassa involontariamente la guardia e non sta attento se l'altro è vigile. Continuiamo questo valzer semplice, senza passi complicati, un semplice oscillare da un piede all'altro o un girare in cerchio come quando si finge di ballare usando un vecchio manico di scopa.
Continuiamo questo valzer o cambiamo ballo, mi ha sempre affascinato il jive.

venerdì 18 gennaio 2013

martedì 15 gennaio 2013

Can you give me another smile?

“Ciao”.
Accenni un sorriso e continui a camminare, a salire le scale.
“Ciao!”.
Sorrido e continuo a stare ferma al termosifone, a parlare, ma incespicando nelle parole e nei battiti che partono per i cavoli loro.
“Ciao” e un sorriso.
“Ciao” o un sorriso.
E’ la solita routine, quella che gira sempre uguale cambiando ogni giorno di qualche lieve sfumatura che forse, un occhio poco attento, non noterebbe neanche ed io, invece, che ci son dentro e che amo le sfumature, quelle piccole ed insignificanti, se cambia qualcosa lo noto, come noto quando ti metti il gel e non lasci i tuoi capelli liberi di andare un po’ dove li pare.
E’ la solita routine, di me che faccio di tutto per arrivare a quel termosifone prima che tu sia passato, di te che passi tranquillo per entrare in quel bagno che visto da fuori sembra una stazione, tra gente che entra e gente che esce di continuo, di te che passi salutando senza un ben chiaro motivo o di te che passi e regali sorrisi così, come se fosse una cosa normale sorridere ad una sconosciuta qualsiasi, di me che ti risaluto e divento rossa e sorrido per ore.
E’ la solita routine ed io non sono abitudinaria, le routine tendono a soffocarmi, ma per una volta, è bello così.

venerdì 11 gennaio 2013

Oggi è uno di quei giorni in cui metti da parte tanto buon umore, tanta forza, tanti sorrisi veri per quando arriveranno giorni freddi in cui non trovi appigli.
Oggi è uno di quei giorni in cui credi che forse, le cose, possono veramente cambiare, brillare.

martedì 8 gennaio 2013

Veloce, veloce come il battito d'ali di un colibrì.

Mi ha sempre affascinato la capacità di cui sono dotate alcune persone, la capacità di dimenticare chi gli è stato accanto, cosa avevano detto a queste persone. Mi ha sempre affascinato, perché certe volte è così rapida, questa dimenticanza, che tu non hai neanche il tempo di dire, di pensare, “ma io ero lì accanto a te solo ieri”.
Avete mai visto un colibrì in volo? Avete mai visto come si muovono veloci le sue ali? Ecco, ci sono persone che riescono a dimenticare alla stessa velocità.
Com’è dimenticare qualcuno alla velocità di un battito d’ali di un colibrì?

venerdì 4 gennaio 2013

Non sono adatta a tante (altre) cose.

Non sono adatta a scrivere a qualcuno con cui non ho mai veramente parlato.
E neanche a rispondergli quando, con molta gentilezza, mi risponde scusandosi persino di non aver risposto prima.
E neanche quando continua a rispondere, sempre con gentilezza.
E neanche a tornare a scuola lunedì, sapendo che lo incontrerò per le scale e diventerò (ancora più) paonazza.

mercoledì 2 gennaio 2013

E' come andare via da casa senza sapere quando si torna.

Firenze che mi accoglie con il calore delle prime stelle della sera, il calore della gente per le strade, arrivate da ogni dove per l'ultimo dell'anno.
Firenze che mi accoglie come se fosse una grande casa calda dove c'è sempre qualcuno pronto ad aspettarti, qualcuno pronto a darti un sorriso, un abbraccio, una parola buona.
Firenze e le sue strade illuminate per Natale, la gente ciuca e non che per la strada la notte di capodanno urla "buon anno!" e "volemose bene!", il suo farmi un regalo dandomi quella forza nuova di cui avevo bisogno allo scoccare di un nuovo anno, ricordarmi che non son sola, che ho delle amiche vicine che son più belle dei fuochi d'artificio.
Firenze che mi aiuta, che mi fa trovare la risposta a domande che mi fottono il cervello da settimane, che mi indica la strada e mi porta per mano tra i primi passi.
Firenze che quando vado via mi saluta con la pioggia che le dona un'aria malinconica, come lo sguardo vissuto di quelle signore che si incontrano per strada. Firenze che sembra salutarmi, dirmi che la prossima volta sarà lì, ad accogliermi di nuovo a braccia aperte, dirmi che quando torno lei sarà sempre lì. Firenze che saluta ricordandomi che una casa, è una casa, anche senza abitarci davvero.